Ciclismo Andino
"Ciclismo Andino"
Attraversamento delle Ande in bicicletta
1-31 Luglio 2006.
1400 Km (piu' della meta' su sterrato, 100 Km sopra ai 4000m di quota,
un passo a 4700m, altimetria 400-6045-0-2500 m.s.l.m.)
File per google maps
Foto del giro in ordine sparso
Indietro
Arriva finalmente il giorno della partenza. Evviva! L'eccitazione e'
alle stelle. Naturalmente c'e' ancora un sacco da fare e nella
concitazione del momento, L prende una storta tale che si ritrova la
caviglia destra dietro all'orecchio sinistro. Paranoia! Per fortuna,
niente di rotto e possiamo caricare le bici (inscatolate alla
perfezione grazie alle scatole del mitico Carlino) sul tetto della
Uno! Partenza! Per poco non perdiamo le bici in autostrada, ma
riusciamo ad arrivare indenni all'aereoporto con un largo anticipo,
che sperperiamo subito aspettando stolidamente al check-in sbagliato:
"Guarda Simo che fila che si sta creando li': che sfortunati!",
naturalmente era la nostra fila! Per fortuna alla fine tutto si
risolve bene, grazie ad un abile intrufolamento di L. L'aereo e' un
antichissimo 737-200 che cade in pezzi e perde olio dai motori: e'
perfettamente in tono con il nostro spartanissimo viaggio! Finalmente
si arriva a Roma, ma le 2 ore di ritardo ci impediscono di ritirare la
torta di cioccolato di Moster. Mannaggia! Il viaggio e' tranquillo e
presto siamo a Buenos Aires: ritiro bagagli, cambio biglietto, cambio
valuta, shuttle per l'altro aereoporto: tutto fila liscio. La
periferia di Buenos Aires ricorda molto il Messico: le case e le
macchine sono demolite, eppure non c'e' eccessivo squallore. Un sacco
di colori e scritte vivaci. Arriviamo all'aereoporto e subito
rifacciamo il check in. Poi svacco sul lungomare. Il tempo per fare un
giro in citta' ci sarebbe (6 ore di attesa!), ma siamo molto stanchi e
il viaggio e' ancora lungo. Comunque le emozioni non mancano, dato che
poco distante un artificiere sta disinnescando una bomba in mezzo
all'indifferenza degli argentini che passeggiano amenamente sul
lungomare con i bimbi. S dorme e non si accorge di nulla, L vede che
c'e' movimento attorno ad un furgone "esplosivos". Dopo un po' ne
emerge un omino bardato di pesantissima armatura verde. Il traffico
viene fermato e lui si mette ad armeggiare sotto un albero. Dopo un
po' si alza e con MOLTA delicatezza si dirige al furgone brandendo
qualcosa che, per la deferenza accordatagli, potrebbe essere il sacro
graal. Lo posa in una scatola blindata e tutti i poliziotti riiniziano
a respirare. Il traffico riparte, tutto normale! Dopo compriamo il
pranzo (pacco di biscotti) da un simpatico ambulante e vediamo l'air
force one argentino. Il parco e' pieno di bimbi che giocano allegri e
qualche barbone che vive in tenda e pesca il pesce. Volo a
Catamarca. Il paesaggio e' piuttosto noioso: saranno cosi' anche le
nostre prime tappe? Atterraggio spettacolare in mezzo al nulla: dove
sara' la citta'? Neanche una luce intorno all'aereoporto! L,
ovviamente, va a visitare la cabina del 737-200 scassatissimo e
completamente analogico: il comandante simpatico illustra orgoglioso
l'antico pannello strumenti. Ci si ferma in aereoporto una
mezz'oretta, ma non si puo' scendere dall'aereo! L prende una boccata
d'aria sul portello e quasi cade dalla scaletta per far passare un
signore ciccione. Si riparte e in meno di 15 minuti si arriva alla
destinazione finale La Rioja dopo quasi 40 ore di viaggio!!
L'aereoporto e' ancora piu' rustico, ma i nostri bagagli ci sono
ancora! La probabilita' che cio' accadesse era inferiore a quella di
trovare un orso polare dipinto di fucsia nell'ascensore del
supermercato. Ormai devastati ci accingiamo a montare le bici. Nel
giro di un'ora e mezza e' tutto pronto, niente e' stato perso, rotto o
dimenticato. Facciamo un orso polare fucsia e una suora viola a
strisce arancioni. La fortuna e' finita perche' il primo albergo e'
pieno e il secondo non si trova. Per fortuna gli orari sono "spagnoli"
e alle 23 tutto e' ancora aperto. Alla fine troviamo una stamberga a
30 pesos (=6 euro in due!) che va benissimo. A Lu verrebbe la
setticemia solo ad entrare, ma in realta' i letti sono ragionevolmente
puliti e la doccia e' calda! Cosa si puo' volere di piu'?! Anche il
senor Jose' e' simpatico e molto cordiale e ci lascia tenere le bici
nella stanza, cosa utilissima per razionalizzare il bagaglio la
mattina dopo. La notte scorre liscissima. Perdiamo entrambi conoscenza
per la stanchezza: fuori della porta (finestre non ce n'e') potrebbe
esserci una guerra termonucleare e non ce ne accorgeremmo. La mattina
si parte un po' basiti e ci fermiamo a fare colazione. "Simo,
prendiamo qualcosa per il pranzo?" "Non ti preoccupare, e' pieno di
paesini" Dopo circa 120 Km senza aver visto una sola casa, a L sorgono
i primi dubbi sull'efficacia della scadentissima (ma unica esistente!)
cartina. Meno male che almeno avevamo preso l'acqua, perche' di
pranzo, neanche a parlarne! Si attraversa un bellissimo deserto in
piano, circondato in lontananza dalle montagne. Nonostante le lunghe
distanze, la bici e' un mezzo adeguato: l'incedere e' evidente. E'
chiaro pero' che, pedalando nel deserto, suscitiamo l'ammirazione dei
locali: i camion e le macchine che incrociamo lampeggiano e
strombazzano salutando con il pollice su! La strada inizia a salire in
mezzo a boschetti di cactus. Che caldo! L e S termalizzano alla
temperatura di fusione dell'acciaio al cromovanadio e devono stare
attenti a non fondere i telai delle bici. Meno male che in questo
emisfero e' inverno! L si diverte a cercare quale degli spinosissimi
cactus assomiglia di piu' a Lu: forse uno con le spine velenosissime
da 20 cm?! No, e' troppo morbido e accogliente. Ad un certo punto
scolliniamo e vediamo la strada che si perde dritta
all'orizzonte. Secondo il GPS mancano ancora 35 Km alla nostra meta,
Aimogasta, ma non si vede! In compenso la cerchia dei monti che si
aprono nel deserto durante la rapidissima discesa e' veramente
spettacolare! Un panorama piu' mozzafiato della bollente
salita... Arriviamo accaldati e disidratati e ci avventiamo in un
"Kiosco" dove il basito signore ci serve. Gli Argentini sono tutti,
TUTTI, cordialissimi e allegri, ma si dividono in due categorie:
quelli attivi e svegli (la maggior parte) e quelli che sembra si siano
presi troppe legnate per poter ancora ambire a qualcosa. Il signore
del Kiosco appartiene a questa seconda categoria e ci guarda bovico
mentre ci scoliamo i suoi sughi di frutta prima ancora di averli
pagati (sara' forse la sorpresa di vedere due turisti pazzi?). Dopo la
rifocillazione ci dirigiamo in centro. Fa ridere un cartello scritto a
mano davanti ad un cortile "robar no es ganar" (rubare non e'
vincere), che probabilmente si riferisce al mondiale di calcio:
l'argentina e' stata eliminata dalla Germania. Qui il calcio e' quasi
piu' importante della religione e quando l'Italia arriva in finale
(eliminando l'odiatissima Germania), L e S guadagnano il rispetto di
tutti. Appena scoprono che siamo italiani, tutti (negozianti
poliziotti doganieri albergatori) ci augurano "buena suerte" per la
finale. Per quanto riguarda la religione "vera", anch'essa e' molto
sentita e i paesini hanno tutti orgogliosamente una chiesetta ben
curata e il deserto e' costellato di croci e madonnine circondate da
festose bandierine rosse, cactus colorati o addirittura spazzatura
"ornamentale" (bottiglie di plastica colorate o copertoni usati
dipinti). E' possibile siano degli ex voto oppure dei monumenti a
ricordo di persone morte. E' chiaro che la religione principale e' il
cattolicesimo, ma non mancano chiese di altre denominazioni, come
appare dai vistosi cartelli sul frontone. L'albergo oggi e' di
categoria decisamente superiore: c'e' pure la finestra e, addirittura,
la televisione! Si torna in paese con l'idea di cenare, ma e' presto
chiaro che prima delle 22 non se ne parla neanche: decisamente sono
orari "spagnoli"! Il nostro tentativo e' equivalente a quello dei
turisti polli che cercano di cenare in Italia alle 5 del pomeriggio!
Acquistiamo il cibo in un supermercato e mangiamo "prestissimo" alle
20 in albergo. E' buffo che, nonostante le numerosissime piantagioni
di olivi subito fuori della citta' (dove c'e' l'acqua), non abbiano
olio di oliva nel supermercato: bisogna andarlo ad acquistare in un
negozio di prodotti tipici! Nonostante l'accattivante etichetta che
promette olio extravergine di qualita', si rivelera' piu' adatto a
lubrificare il motore di un trattore e la sua acidita' Ph1 ci
perseguitera' per il resto del giro. Il giorno dopo si parte di buon
ora, con una spettacolare alba rossa che spunta dalle montagne. La
colazione e' a base di "dulce de leche", una specie di latte
condensato aromatizzato con zucchero caramellato e vaniglia: ha circa
le stesse calorie di una caramella all'uranio arricchito ed e'
perfetto per noi ciclisti. Che freddo! L'escursione termica nel
deserto e' elevatissima e L pedala con i guanti laddove poche ore
prima si stava vaporizzando il cranio. Il deserto cambia ancora una
volta: piatte distese di sabbia con montagne che si ergono dai miraggi
in lontananza, non e' affatto monotono come temevamo! Ci divertiamo a
gridarci insulti a squarciagola nel mezzo del nulla. Questa e'
liberta'! Dopo una quarantina di Km, veniamo fermati ad un check point
della polizia ad un crocevia dominato dalla statua di un santo. Una
signora (sta aspettando l'autobus?) solleva la figlioletta con
devozione in modo che possa toccare il santo. Naturalmente i
passaporti sono in fondo alle capaci borse e quindi ne approfittiamo
per una pausa. Qualche km dopo siamo a Salado, dove ci si ferma per
pranzo. Compriamo alcuni panini da un panettiere che impasta
ascoltando la radio e infornando in un nerissimo forno a legna. Forse
l'igiene non e' garantita, ma la bonta' decisamente si': i panini sono
squisiti, come tutto il pane che compreremo in Cile e Argentina. Sa
veramente di pane, al contrario di quello industriale a cui siamo
ormai abituati noi. La piazza del paese e' carina con le panchine
verniciate di fresco e la chiesa addobbata con scolorite
bandierine. C'e' anche un monumento ad un "valiente" soldato caduto
alle isole Malvinas (quelle che noi conosciamo come Falklands) per
"defendere el nuestro". La stupidita' di tale guerra e' resa ancora
piu' evidente: perche' mai un poveraccio nato in questo desertico
posto dimenticato dovrebbe morire per un inutile scoglio in mezzo al
mare? A Salado c'e' anche una vecchia stazione ferroviaria in disuso
(la ferrovia non va piu'): sembra uscita direttamente da un film di
Sergio Leone: "C'è un cavallo per me?", "Ehi ragazzi, è vero... ci
siamo proprio dimenticati un cavallo...", "Non avete dimenticato un
cavallo, ce ne sono due di troppo... PUM, PUM, PUM!". Una signora
gentile ci attacca bottone, ma non si capisce niente. Gli argentini
sono cordialissimi e molto simpatici ed e' chiaro che non si vedono
molti turisti qui, e ancora meno in bicicletta: ci guardano basiti
come fossimo pagliacci del circo. Scopriremo poi che la voce del
nostro passaggio per questi paesini persi nel deserto arriva
addirittura alla vialidad di Las Grutas a quasi 250 Km da qui:
evidentemente siamo proprio uno spettacolo mai visto! A Tinogasta c'e'
l'ormai rituale sugo di frutta e poi troviamo un albergo discreto: non
ha le finestre stavolta, ma un bellissimo patio pieno di piante per
lasciare le bici. Tornando verso il paese troviamo un supermercato
dove stanno guardando la semifinale Italia-Germania del mondiale di
calcio. Ovviamente gli argentini tifano per l'Italia contro
l'odiatissima Germania che li ha eliminati. Compriamo un pacco di
biscotti come scusa e guardiamo anche noi la partita. S impazzisce
urlando a squarciagola e correndo per le corsie del supermercato a
braccia in su con l'approvazione di tutti i commessi che sono
felicissimi che la Germania ha avuto cio' che si meritava. Andiamo in
piazza a svaccarci un po' per aspettare l'orario (tardissimo, ahime'!)
per la cena. Ci si diverte a guardare le scassatissime auto. Qui il
truzzo di paese (specie in via di estinzione da noi) e' ancora
floridissimo e una teoria spettacolare di auto taroccate si snocciola
davanti ai nostri occhi. Siamo indecisi se dare la palma ad una ancora
piuttosto raffinata fiat 600 (vecchio modello, naturalmente) viola con
finiture nere, ma alla fine vince senza alcun dubbio una fiat duna
amaranto con le fiamme gialle che escono dal cofano: ha il parabrezza
brunito sfondato e, dulcis in fundo, un pezzo di portapacchi e' stato
montato sul baule posteriore a fare da improbabile spoiler a sezione
quadrata. Andiamo a mangiare finalmente: S prende una
(sorprendentemente buona) pizza, mentre L una dozzina di ottime
empanadas de carne. La signora e' gentilissima e ci ringrazia per aver
scelto il suo ristorante! Il prezzo e' di 20 pesos (5 euro) in due. La
mattina dopo, mentre consumiamo una freddissima colazione in piazza
(litrozzo di latte-cioccolato e simil-panettone) ci si avvicina un
simpatico signore strabico e panciuto che sfodera un improbabile
passato da ciclista e ci augura buon viaggio con la solita'
cordialita' argentina. Il giorno dopo si va a Fiambala' con una tappa
tranquilla in mezzo ad un altipiano desertico spettacolare e colorato:
il panorama e' completamente cambiato per l'ennesima volta. Siamo
sorvolati da un rapace che volteggia minaccioso (aspettando di cibarsi
delle nostre carcasse?) Questa e' liberta bis!!! Il panorama ricorda
un pochino il pianeta Tatooine di Star Wars, quando Luke corre nel
deserto con l'auto a levitazione e i suoi robottini. L'entusiasmo e'
alle stelle e gli insulti volano a squarciagola da una corsia
all'altra: il peloso L e' Chewbacca, mentre il lumachevole S e' Jabba
the Hut. Fiambala' e' una cittadina di frontiera (anche se la
frontiera e' a 200 Km, ma questa e' l'ultimo centro abitato!)
piuttosto estesa e con molti negozi. Ci fermiamo all'albergo comunale
dove rimaniamo per due giorni a riposarci e fare provviste in vista
della traversata delle Ande: un salto di 490 Km senza possibilita' di
approvvigionamento (se non per casi di emergenza nei due avamposti di
frontiera argentino e cileno). Per fortuna i negozietti sono molto ben
forniti e riusciamo ad accatastare provviste per ben 14 giorni senza
appesantire troppo le bici gia' cariche: pasta, tonno, alici,
terrificante carne in scatola (che ci perseguitera' per il resto del
giro), salami, frutta secca (uva e fichi), polenta istantanea,
minestrine Knorr, purea di patate liofilizzate, 14 pacchi di biscotti,
te', e infine un paio di saponette di marmellata solidificata di
"membrillo" (che frutto sara'?), un'energetica specialita'
locale. Riusciamo a parlare con Jonson Reynoso, l'unica guida alpina
(andina) della zona, che in realta' fa il tecnico TV (visto che di
clienti scalatori qui ne capitano ben pochi!). E' gentilissimo e ci
riempie di notizie utili per il viaggio. Ci vende anche un litro di
benzina bianca per il fornello ad un prezzo nominale. Finalmente si
parte per la traversata, ma mentre diamo gli ultimi ritocchi alle bici
gia' cariche, si presentano due personaggi della televisione locale
che vogliono intervistarci. Decisamente di turisti ce ne sono pochi
qui!! Gli interessa cosa si sa della loro regione in Italia
(francamente nulla!), perche' siamo venuti qui (per gli spazi immensi
e la natura splendida) e, naturalmente, cosa ne pensiamo dell'Italia
che e' in finale ai mondiali (S rende pubblica la sua scommessa: se
l'Italia vince, attraversera' in bici il paso de S. Francisco, 4800m,
a torso nudo coperto solo dalla bandiera d'Italia che L ha portato e
che fa bella mostra di se' sulla sua bici). L'intervista termina con
l'abilissimo oratore S che espertamente dimostra gli accorgimenti
della sua vecchissima (ma funzionale) bicicletta. Andiamo in piazza a
fare colazione e incontriamo Jonson Reynoso che ci fa una foto bardati
e pronti e ci spiega perche' e' venuta la TV: se riuscissimo ad andare
in cima all'Incahuasi (com'era nei nostri piani), sarebbe la prima
invernale di questa veneranda cima! La nostra confidenza crolla
vistosamente: eravamo convinti fosse una cima molto semplice, come mai
nessuno ci e' mai andato di inverno? Come scopriremo piu' avanti, la
cima e' tecnicamente molto molto semplice, ma richiede un
avvicinamento di qualche giorno che puo' essere non banale, visto che
non esistono previsioni meteo (e' addirittura difficile capire dai
locali che tempo ha fatto nei giorni passati!) e visto che
periodicamente arriva un vento fortissimo e freddissimo. Si parte da
Fiambala' e la citta' bruscamente finisce in un altro deserto ancora
diverso dai precedenti: inizialmente e' una distesa di sabbia nera,
poco a poco diventa coloratissimo: giallo rosso nero azzurro
bianco. L, che e' stato redarguito per telefono da Lu il giorno prima,
si da' da fare con la macchina foto. Speriamo che i colori rendano!
Purtroppo siamo subito messi a terra da un incidente tecnico: un
raggio posteriore rotto dalla parte del pignone. Non siamo attrezzati
per una riparazione simile, mannaggia! Si prosegue lo stesso, ma la
pedalata e' rovinata: sembra di pedalare su ghiaccio sottile con un
carico di uova sul portapacchi. Il terrore di rompere un altro raggio
(sarebbe un vero guaio) e' altissimo. La tappa, anche per questo
motivo, e' molto dura: c'e' molto dislivello, un brutto tratto
sterrato, e molto vento contrario (cosi' almeno ci sembra
inizialmente: poveri noi, ancora non sapevamo cos'e' il vento!). Il
panorama e' pero' spettacolare: la strada si snoda in spettacolari
gole coloratissime: sono piu' colorate le rocce che la rada
vegetazione. Arriviamo al rifugetto (una vecchia e cadente casa di
pastori). L, distrutto, improvvisa una riparazione unendo il moncone
di raggio rotto con uno nuovo usando un paio di pinze. Tale accrocchio
sorprendentemente reggera' alla perfezione per i restanti 1100 Km di
viaggio (molto del quale su sterrato con bici sovraccariche!). Meno
male che c'e' il rifugio che ci ripara dal fortissimo vento che soffia
tutta la notte. Purtroppo c'e' la luna piena, ma ciononostante si
intuisce una stellata spettacolare. Imbastiamo una fantastica
pastaccia marcia e crolliamo a letto. L riesce ancora a trascinarsi a
lavare pentola e denti al ruscello li' a fianco e si gode il deserto
stellato. E' l'ultima volta che la pentola viene lavata mentre siamo
in giro, e arriveremo anche a farci il te' nella pentola sporca di
polenta con le alici! Il sapore non e' poi terribile, se si mette una
quantita' di zucchero sufficiente (cioe' fino a quasi provocare il
collasso gravitazionale della pentola)! Purtroppo siamo ben presto
nuovamente in attivita': il posto brulica di topini che hanno gia'
preso a sgranocchiare la busta della bottiglia di olio. Che pacco! Ci
tocca appendere tutte le borse delle bici agli appositi ganci sul
tetto di paglia del rifugio. Sara' finita questa interminabile
giornata? Ancora no! Alle 3 di notte siamo svegliati da una forte
scossa di terremoto! La catapecchia regge e ci svegliamo ridendo: che
la maledizione degli Inca ci abbia colpito? Il giorno dopo, il
terrore: un vento mostruoso ci castiga e non riusciamo neanche a
goderci il magnifico panorama marziano. Se il cielo fosse arancione
(invece di un intensissimo azzurro), sembrerebbe esattamente il
panorama delle familiari foto della sonda Pathfinder su Marte: dolci
colline arancioni costellate di sassi a perdita d'occhio. Ogni tanto
gli asini selvatici ci guardano allibiti da bordo strada pensando: da
dove sbucano questi multicolorati colleghi? A L viene nostalgia di sua
sorella moster, chissa' perche'.. Arriviamo al rifugio di Casadero
Grande: una casetta in mezzo ad una spianata multicolore
interminabile. Il posto e' fantastico. Ci dirigiamo ad un torrente
'poco' distante per l'acqua e camminiamo per un'eternita'. C'e' anche
un contadino (l'unica presenza umana autoctona di tutto
l'attraversamento) con cui scambiamo 2 parole, ma non e' molto
cordiale. L'acqua e' un po' putrida, ma da' sapore alla polentaccia
che viene fuori fantastica. Il rifugio stasera e' molto piu'
accogliente. La sera c'e' un tramonto spettacolare sull'Ojos del
Salado, il vulcano piu' alto del mondo che e' 'poco' distante. Il
giorno successivo, terrore doppio: il vento e' ancora aumentato e
fuori c'e' una vera tempesta di sabbia. Si parte nonostante il parere
contrario di L... In breve le bici sono letteralmente smerigliate
dalla parte del vento, cosi' come anche ogni cm quadrato di pelle
scoperta: la sabbia sparata punge come scariche elettriche! Un
fuoristrada con un omino della vialidad si ferma allibito vedendo L
barcollare nella tempesta. Si tratta di Ricardo, che conosceremo a Las
Grutas. E' molto cordiale e simpatico (prima di ubriacarsi) e ci dira'
che non aveva mai visto una simile tempesta (e soprattutto due pazzi
in bicicletta dentro). L'incedere e' talmente difficoltoso che
facciamo molti piu' Km di quelli indicati sui cartelli stradali: si
puo' procedere solo a zig-zag. Verso le 12 molla un po' e dopo un
rapidissimo pranzo si procede. Il panorama cambia ancora una volta:
ora sono dei ruscelli bordati da malatissime piante gialle e
frequentati dai vacunas (dei lama selvatici) che ci attraversano la
strada sbalorditi. Accanto alla strada si alzano alte collinette
coniche di probabile origine vulcanica. La tregua dura poco e ben
presto ci ritroviamo a pedalare come se avessimo in faccia lo scarico
di un J58 (il motore del Blackbird SR71): ogni Km e' un anno di vita
in meno. Ci fermiamo al provvidenziale rifugio de Las Peladas, dove
entrambi collassiamo in piena crisi ipoglicemica. Il problema e'
andare a recuperare l'acqua a qualche Km di distanza, ma per fortuna
passa una rarissima macchina con due brasiliani che ci danno un paio
di litri. Il vento gli ha strappato di mano i passaporti alla
frontiera e sono costretti a tornare indietro! Dopo esserci ripresi un
po', usciamo dal rifugio e rimaniamo a bocca aperta per lo splendore
del tramonto rosa sulle dolci colline ricoperte dalla rada erbetta
gialla: i colori sono fenomenali! La mattina dopo si fermano 2 auto e
scende uno con la cinepresa. Aiuto! Saranno mica ancora quelli della
TV? No, sono due famiglie in gita che ci osservano come fenomeni da
baraccone mentre prepariamo le bici. Scopriamo da loro che l'Italia e'
campione del mondo di calcio, cosa che ci procurera' non poca
ammirazione da tutti quelli che incontreremo da ora in poi. La
pedalata fino a Las Grutas (frontiera dell'Argentina) e'
gradevolissima (finalmente non c'e' vento) e la quota non da' alcun
fastidio, anche se siamo ormai tra i 4000 e i 4200m. Le colline,
gialle per la rada erba del deserto e costellate di lamas, si
stagliano contro il cielo blu-nero per la quota. Arriviamo a Las
Grutas e, dopo le formalita' doganali, decidiamo di fermarci li' per
riposarci un po' dal terrore dei giorni precedenti. Abbiamo la
priorita' di attraversare in Cile e non abbiamo troppe scorte di cibo
nel caso il maltempo ci blocchi da qualche parte, quindi decidiamo di
soprassedere la salita all'Incahuasi e di ripiegare su un'altra
montagna, il cerro S. Francisco, che non richiede giorni di
avvicinamento. Andiamo a fare una passeggiata in mezzo alla piana e
attraversiamo uno strano aquitrinio salmastro. Ci svacchiamo su alcune
rocce laviche dalle quali si domina la piana di Las Grutas e si vede
bene tutta la salita all'Incahuasi. Siamo ammirati dal fatto che in
cima a tale altissima montagna sono stati trovati dei reperti
archeologici. Incahuasi vuol dire casa degli Incas, e Jonson ci aveva
spiegato che addirittura esiste in Argentina la figura dell'archeologo
d'alta quota. Per dormire ci fermiamo al posto della vialidad
argentina (gli omini delle scavatrici che tengono la strada in
efficienza e spazzano la poca neve che cade d'inverno). Per 2.5 euro a
testa ci danno un letto (con materasso!!!) una doccia calda (!!!) e
un litro di benzina per il fornello. Ben altro valore ha pero' la
serata con loro: un'improbabile squadra capitanata dall'affabile
Ricardo che lungamente discute con S. Nel frattempo un camionista
ciccione e allegro guarda film porno su una televisione
satellitare. Gli altri discutono amentamente e bevono la bevanda
nazionale, il mate, che va bevuto da un'apposita tazza con cannuccia
di metallo che viene passata in giro. E' un po' difficile concentrarsi
su una conversazione in lingua straniera in mezzo a mugolii e gemiti,
ma (per fortuna) presto l'audio della TV viene spento per far posto ad
una scassatissima autoradio alimentata a batterie che diffonde
un'allegra musica popolare cantata dal figlio di Ricardo (come lui
stesso proclama orgogliosamente). Ben presto la squadra al completo
canta allegramente e il camionista pornomame si lancia in improbabili
e incredibilmente agili piroette tenendosi la pancia con una
mano. Elvis the pelvis non era nessuno al confronto! Ricardo si unisce
anche lui alla danza in mezzo all'ilarita' generale! E' gente
semplice, ma sicuramente si sanno divertire e godere della vita! A
meta' cena arrivano i doganieri. Sono preoccupati per il nostro
programma aggiornato di scalare il Cerro di S. Francisco. Durante il
pomeriggio gia' ci avevano fatto un sacco di storie e ci avevano fatto
firmare un buffissimo e burocraticissimo scarico di responsabilita' in
presenza di uno stizzito testimone. Ora sono preoccupati che, se ci
succede qualcosa, loro non lo possono venire a sapere. Ci viene il
sospetto che cerchino goffamente di intascare una mazzetta, ma
concludiamo che invece sono seriamente preoccupati di dover
improvvisare un soccorso alpino con la loro decisamente inadeguata
attrezzatura: con le loro improbabili divise (cappotti stile Eskimo)
non ci si puo' certo avventurare su una montagna da 6000 m! Non
posseggono neanche un mezzo motorizzato. Dopo un lungo mercanteggiare,
un gentilissimo signore della vialidad si offre di venire a
controllare con il camion se stiamo bene. Evviva! Il gendarme e'
convinto e ci lascia proseguire! La serata procede con allegria e
Ricardo e' ormai completamente ubriaco. In onore a noi, si cerca RAI
international, dove mostrano i festeggiamenti a Piazza del Popolo per
la vittoria calcistica. L e S sono devastati e sprofondano presto nei
sacchi a pelo. Evviva i materassi! Il giorno dopo tutti ronfano
allegramente fino a tardi (non si ammazzano certo di lavoro qui, ma
Ricardo ci aveva spiegato che per loro non ci sono ne' riposi ne'
ferie, quindi e' comprensibile). Quando la squadra si sveglia
finalmente, L e S sono pronti a partire. Ricardo tenta inutilmente di
comunicare con una modernissima radio HF (il principale mezzo di
comunicazione qui). Si parte verso il passo di S. Francisco (l'acme
della nostra traversata in bici: quasi 4800m), ma dopo pochi Km L e'
gia' fermo: ruota a terra. La giornata e' (inizialmente) molto
piacevole e abbiamo solo 21 km fino al passo. Arriva il fuoristrada di
un amico di Jonson: ci scatta foto e fa il tifo assieme a tutta la
famiglia. Esce anche una allegra signora con pelliccia e dentiera che
orgogliosamente vanta le sue ascendenze italiane (Udine). Non mi
sfugge l'ironia di una conversazione mondana vestito da alpinismo,
pedalando verso un passo da 4800m. Ben presto si alza un vento ancora
piu' mostruoso di ogni possibile immaginazione. Siamo piegati in due a
spingere le bici con tutte le nostre forze ed e' utilissimo mettersi
in scia uno dietro l'altro anche se siamo a piedi: chi sta dietro
fatica un decimo! A percorrere gli ultimi 10Km sembra di spingere una
portaerei con una mano a piedi scalzi su un tappeto di vetri. Le
rarissime macchine che passano ci guardano impietosite. Arriviamo al
rifugio completamente basiti e la marcissima polenta sembra un piatto
divino stasera! Dopo un po' ci riprendiamo. L si veste come un
astronauta (scarponi calzamaglia-capilene pantaloni d'alta montagna
sottotuta pile piumino goretex guanti da cascata berretto) e va in
cerca di acqua. Lo spettacolare paesaggio e' ora lunare e l'ambiente
e' ostile per il vento fortissimo. Scopro quali sono state le
sensazioni degli astronauti che si avventuravano fuori dal LEM sulla
superficie lunare e balzavano verso l'ignoto. E quali erano le
sensazioni di sollievo quando si dirigevano nuovamente a "casa" nella
precaria sicurezza offerta dal LEM. E' vero che qui si respira senza
bisogno di tute spaziali, ma i movimenti impacciati dai molti strati
di vestiario, l'incedere faticoso nel terrore ventoso e la sensazione
di ambiente ostile mi fanno sentire su un altro corpo celeste! La
sensazione di rientrare nello spartanissimo rifugetto e' di una
incredibile accoglienza. Si noti che, molto appropriatamente, siamo in
un certo senso fuori dal mondo: siamo gia' usciti dall'Argentina (a
Las Grutas), ma non siamo ancora entrati in Cile. Rimarranno 4 giorni
di buco (documentati dalle date sul passaporto) dove non sono stato in
alcun luogo sulla terra! La notte scorre via tranquilla anche a 4800 m
per L che si e' portato i tappi per le orecchie e puo' lasciare fuori
dalla sua testa il fortissimo soffio del vento. Un po' meno per S che
non chiude occhio. Certo che la scomodita' del luogo (e la quota?)
scatenano delle improbabilissime fantasie oniriche. Il giorno dopo
(12 luglio) si parte per la punta: e' una vetta a 6000m, ma noi ormai
siamo molto ben acclimatati. Il cerro S. Francisco ricorda molto le
piramidi azteche e, se non ci fossero delle rade chiazze di neve,
potremmo benissimo essere sulla luna: il terreno e' vulcanico con
enormi pezzi di ossidiana. S risente della notte in bianco, L va su
sorprendentemente liscio, controllando la quota sul suo fedelissimo
GPS: 5000, 5500, 5700, 5900, 6000! La vetta e' 6045! Purtroppo anche
oggi il tempo ci castiga e c'e' talmente tanto vento in punta che ce
la godiamo poco. Il panorama e' pero' spettacolare e si vede la
fantastica laguna verde in lontananza (dove passeremo nei giorni
successivi) e l'imponente Incahuasi. Il vivido azzurro della laguna
contrasta nettamente con i fantastici colori pastello delle montagne e
fa da contraltare ad un cielo blu-issimo. Stranamente la sensazione di
essere in alta quota e' minore che sulla vetta del Monte Bianco (1200
m piu' basso!): qui e' meno evidente nell'atmosfera la transizione
all'alta quota, anche se il fiato negli ultimi 100 metri di dislivello
viene proprio meno! S ha un attimo di commozione (per il traguardo
raggiunto?), mentre L che stolidamente non ha messo il piumino sotto
il goretex sta lentamente congelando: giusto il tempo per la foto di
rito con la mitica bandiera e poi giu'! La discesa e' molto molto piu'
tranquilla e in breve siamo al rifugio dove una terrificante
minestrina Knorr ci sembra ambrosia! Verso le 6 arriva il camion della
vialidad come promesso. C'e' anche il piu' giovane dei gendarmi e pure
Ricardo con un graditissimo regalo di 4 litri d'acqua! Stasera non
saremo obbligati a sciogliere la neve per ottenerne... Il gendarme si
raccomanda piu' volte di lasciare detto ad una eventuale macchina di
passaggio quali siano i nostri piani. Sembra veramente che ci abbiano
preso in simpatia. Il giorno dopo c'e' un gelidissimo venticello
artico a una temperatura da condensazione di Bose-Einstein (per
fortuna il vento ha un po' mollato), ma S passa il colle vestito solo
della bandiera, come promesso alla TV. Si parte per una
tranquillissima tappa (L la rende un po' piu' interessante bucando e
spingendo la bici per gli ultimi 2 Km). In breve siamo alla
spettacolare laguna verde: un enorme lago salato con sorgenti termali
a 4200m di quota. Il posto e' bellissimo e per fortuna non c'e' quasi
vento. Il rifugio (una stazione dei carabineros senza carabineros) e'
bellissimo! C'e' perfino una stufa che S si affretta ad accendere
aiutandosi con maledizioni e imprecazioni: sembra che alla stufa
piacciono e in breve si diffonde un gradevolissimo tepore che non
intacca minimamente l'enorme barile di acqua di scorta del rifugio che
e' un solidissimo blocco di ghiaccio. C'e' perfino una collezione di
libri (da citare "Los dos colossos" un'enciclopedia anni 60 su
USA-URSS) e vari manuali per le comunicazioni radio (compreso uno
marcato "secreto"). Dal muro occhieggiano il presidente del Cile e un
carabiniere 'eroe nazionale'. Approfittiamo della caldo sole e della
quasi assenza di vento per svaccarci e per far prendere aria ai nostri
puzzolentissimi vestiti e sacchi a pelo. L ripara la bici (ma non si
accorge della spina che rimane nel copertone e che totalizzera', da
sola, ben tre forature!) S tenta di lavare un paio di
mutande. L'acqua, pero', e' troppo salata e le mutande acquistano la
consistenza di cartone da imballaggio. Quando la bici e' pronta, L la
collauda andando a vedere le sorgenti termali. Ci sono dei buchi per
terra a forma di rozze vasche da bagno piene di stranissime
alghe. L'acqua e' calda e la voglia di farsi un bagno caldo e'
fortissima, ma il gelido venticello e il microscopico asciugamano che
abbiamo potuto portarci scoraggiano il tentativo: ci si congelerebbe
uscendo! Quella sera ceniamo con una marcissima pasta all'olio+scatola
di carne mangiate al fantastico tepore della stufa, "e quindi uscimmo
a riveder le stelle". Finalmente, infatti, il GPS comunica che la luna
sorgera' tardi oggi. Lo spettacolo e' mozzafiato: la via lattea
splende talmente forte che e' possibile vedere delle chiazze nere dai
contorni molto ben definiti (nebulose?) Le costellazioni sono
misteriosissime e alcune stelle brillano fortissimo. L pensa a Lu
(come sarebbe bello se fosse qui!) e ai viaggi interstellari. Le
stelle a 4200m di quota sono talmente luminose che gli viene da
piroettare per vedersele ruotare intorno! Il giorno dopo sara' la
giornata piu' spettacolare del giro: in un'unica tappa attraversiamo
paesaggi che sembrano provenire da ogni angolo del pianeta, anzi del
sistema solare e oltre! Dalla laguna a 4200m, si passa alle pendici
dell'Ojos del Salado (che avevamo visto giorni prima dal versante
opposto) in un panorama di colline arancioni. Qui sembra di essere su
Marte e solo la rada neve ci ricorda che siamo sulla "cara vecchia
terra". Poi si attraversa un meraviglioso altopiano (con saliscendi
spezzafiatogambe) a 4600m di quota: Qui sembra di essere in
Antartide. C'e' una sterminata piana innevata quasi con continuita'
che lentamente sale su lontanissime colline e dolci montagne. L
vorrebbe fermarsi, ma la paura che riinizi il vento e ci blocchi li'
ci fa continuare a malincuore. Ci fermiamo piu' avanti a mangiare gli
ormai indigesti fichi secchi in una piana vulcanica costellata di
strane rocce. Una sembra un enorme uovo di dinosauro posato a meta'
pendio. L raccoglie qualche stranissimo sasso colorato. Qui sembra di
essere sulla luna o in una antica pianura del Cenozoico. Quando
finalmente si inizia a scendere, troviamo il panorama piu' bello mai
visto! Un torrente ha scavato un canyon nelle brullissime e rocciose
colline marziane e, dove corre l'acqua (ma solo li'), c'e' una
stranissima vegetazione giallo-verde che sembra un morbido cuscino
costellato di animali. Tutto il resto e' arancionissima roccia e
bluissimo cielo. Sembra che la montagna abbia rigurgitato uno strano
prato vivo e morbido. Il contrasto di colori e la nettezza dei
contorni rendono il panorama di una bellezza incredibile e al tempo
stesso di una bruttezza che colpisce allo stomaco. Un simile panorama
e' del tutto alieno: sicuramente non ce n'e' di uguali in tutto il
sistema solare. Qui immaginiamo nuovamente di essere a Tatooine, ma in
Star Wars non c'e' nulla di simile: nessuno scenografo potrebbe
immaginarsi uno spettacolo simile neanche nei suoi peggiori incubi. L
incerimoniosamente deve correre dietro un dosso: i fichi uniti al
freddo della discesa (o lo spettacolare panorama?) hanno avuto un
effetto indesiderato! Ai piedi della discesa, il torrente si perde in
una enorme (enormissima) piana circondata da altissime montagne
colorate con colori pastello a strisce e orlate di neve. Anche questo
panorama e' spettacolare e qui sembra di essere negli altipiani della
Mongolia! Alla base della discesa la strada taglia dritto nella piana
e si perde all'orizzonte: un rettilineo da quasi 30 km al termine del
quale c'e' Maricunga, la frontiera Cilena (ennesima cattedrale nel
deserto). Maricunga si trova ai bordi di una enorme salina naturale
(salar) che ricorda un pochino le saline di Trapani! Che giornata
spettacolare! L arriva completamente disidratato (il chilometraggio
che avevamo trovato su internet era errato di parecchio oggi e non
avevamo sufficiente acqua!), ma il doganiere e' gentilissimo. Non solo
ci da' un sacco di acqua e ci lascia dormire nell'edificio della
dogana, ma non ci sequestra neanche le nostre scorte di frutta secca
(che sarebbe vietatissimo portare in Cile). Gli dobbiamo promettere,
pero', che mangeremo tutto prima di arrivare a Copiapo'. Ci vorremmo
fermare un giorno intero li' a riposare e a visitare il salar, ma il
doganiere ci dice che domenica sara' brutto e non vogliamo rischiare
di beccarci di nuovo il vento su quell'infinito pianoro. Come ci
conferma egli stesso, quando soffia e' di una violenza
inaudita. Decidiamo a malincuore di scendere il giorno dopo a
Copiapo', anche se sappiamo che le previsioni meteo qui sono
totalmente stocastiche e probabilmente inaccurate. Il giorno dopo c'e'
la "discesa delle colline colorate". Ultimi 2 giorni (172Km) di
attraversata delle Ande: c'e' ancora un passo da 4300m! Si parte
costeggiando il salar e poi si inizia a salire. Al passo, S fa
amicizia con un signore in fuoristrada che porta la famiglia (compresa
un'antica e vispa nonnetta) a fare un picnic al salar. Possiede una
cartina molto dettagliata che non pensavamo esistesse! L invece
collassa e mangia uva passa e fichi secchi a manetta: nuova corsa con
carta igienica di li' a poco!!! Ora inizia la lunghissima discesa (130
Km per andare da 4300 ai 400m di Copiapo'). Si snoda in mezzo a
magnifiche colline multicolorate: sembra che qualcuno si sia divertito
a colorarle con una intera scatola di pastelli a cera: tutte le
possibili sfumature di colore sono contemplate. Deve essere il
paradiso per un geologo e c'e' anche un'enorme miniera d'oro, che in
mezzo al deserto a 100 km da qualunque posto ricorda molto la
Bartertown di "Mad Max". Proseguiamo un'altra 30ina di Km e poi ci
fermiamo a bivaccare in una fantastica valle desertica orientata
est-ovest (buona per il sole alla mattina e alla sera). Seguendo una
pista da fuoristrada ci allontaniamo un bel po' dalla strada, anche se
e' faticoso pedalare nella sabbia, ma il posto lo merita. Per cena
c'e' una fantastica tripla minestrina Knorr (il fatto di apprezzare
tale schifezza ci fa realizzare il nostro reale stato di
abbruttimento). Subito a letto nei sacchi a pelo stesi su un telo
sulla sabbia del deserto: stasera si dorme sul morbido! Siamo ignari
del fatto che, passando in Cile abbiamo guadagnato un'ora di fuso, ma
dal tepore dei caldi sacchi ci godiamo tutte le fasi del tramonto e
l'accensione delle stelle una per una, fino ad ottenere l'ennesima
stellata mozzafiato. Ci sono anche molti satelliti e molte stelle
cadenti. L alterna un desiderio a Lu (che si ammorbidisca un pochino)
e uno rivolto alla torta al cioccolato di moster: che fame! La via
lattea e' strepitosa anche stasera, ma il cielo del sud e' misterioso:
riusciamo a riconoscere a malapena la croce del sud, osservando che la
via lattea ruota attorno a quattro stelle disposte come ai vertici di
un aquilone. La mattina si parte presto e si ritorna a scendere tra le
colline multicolore. S corre avanti, L se la prende piu' comoda e
cerca pepite d'oro, ma trova solo bellissimi sassi colorati: un
fantastico tesoro. Non a caso il Cile e' uno dei due posti al mondo
dove si trovano i lapislazuli. Copiapo' e' una citta' piuttosto grande
che inizia con una periferia molto degradata: bidonville e tende
multicolori che ospitano famiglie numerose e gli immancabili perri
randagi. Ci fermiamo nella piazza principale, ma e' domenica e non
abbiamo soldi cileni. Ci tocca comperare qualcosa al supermercato con
la Visa di L. Un perro ci guarda fisso per tutto il pranzo (una
fantasticissima "empanada de pino"), ma rimarra' a bocca
asciutta. Passa una processione della Madonna capitanata da un soldato
che dirige la banda a spada sguainata. L'enorme statua della Madonna
e' portata a braccia da rudi indios e seguita da dignitose nonnette e
giovani. Il residential Rocio e' carino con un bel patio all'aperto
per le bici, ma i bagni sono in comune e, come direbbe Lu, non bisogna
guardare negli interstizi. Qui rimaniamo un paio di giorni a riposarci
e a decidere cosa fare.
FINE DELLA TRAVERSATA.
Su consiglio della signora dell'ufficio turistico, decidiamo per una
visita al mare. Quella emeritissima testa di legno omette pero' di
spiegarci che in inverno il tempo al mare e' sempre, costantemente
nuvoloso, nebbioso e triste per un gioco di correnti d'aria e correnti
marine. Inoltre ci assicura che fino al mare c'e' una pista ciclabile,
ma ci tocca pedalare per 70 km sulla terrificante Panamericana,
l'UNICA strada che attraversa il Cile da Nord a Sud in quella
zona. Nel caso di un incidente serio il paese veramente e' separato in
due: solo un fuoristrada puo' passare per le poche alternative, le
inospitali piste in mezzo al deserto. Arriviamo a Caldera, che ci e'
stata dipinta come la "Rimini" locale, ma ha l'unica attrattiva di
essere alla stessa latitudine dell'isola di Pasqua qui di fronte, come
testimoniato dalla statua di un Moai in granito nella piazza
principale. Ancora non sappiamo che il tempo sara' sempre brutto e che
le strade sono quasi impraticabili e ci inoltriamo ignari lungo la
costa. Per i primi giorni pedaliamo in monotonicissimi rettilinei in
mezzo al deserto. L'oceano si vede (se si vede) solo a tratti in
lontananza in mezzo alla nebbia. Dormiamo un paio di giorni
all'addiaccio, ma l'umidita' e' molto alta e ci svegliamo sempre
"saunati". Non si capisce proprio perche' la zona sia un tale deserto
cosparso di cactus!! La seconda notte, una volpe impavida cerca di
portarci via la cena sotto il naso: deve decisamente avere fame,
perche' si avvicina fino a pochi metri! Durante la notte riuscira' a
fregarci la spazzatura e troveremo tutto sparso per il deserto e
completamente leccato. L'unica tappa degna di nota e' il paesino di
Puerto vejo, in una conca riparata dal vento sulla
spiaggia. Coloratissime case vacanze si alternano a baracche. La
spiaggia e' dominata dalla coloratissima, curatissima ed,
evidentemente, veneratissima statua di San Pedro che, e' chiaro, e' il
santo protettore dei pescatori. Sulla spiaggia sono ordinatamente
disposte colorate barchette da pescatori gialle e arancioni. C'e'
qualche scafo in vetroresina, ma sono ancora quasi tutti in legno. Un
cartello del governo spiega che c'e' un programma per aiutare questo
tipo di "pesca artigianale", fornendo a ciascuna famiglia di pescatori
un motore marino per le barche. Alcuni pescatori si affaccendano
intorno a un paio di barche sulla battigia: la loro attrezzatura e'
decisamente "artigianale" e non hanno strumenti di navigazione a
bordo, ne' tantomeno radio. Gia' tanto se lo scassatissimo motore
funziona! Probabilmente rimangono sempre sottocosta: decisamente non
sembrano imbarcazioni adatte ad affrontare un oceano!! I pescatori di
una barca srotolano e controllano a mano metri e metri di rete sotto
lo sguardo severo di un vecchietto del villaggio. Qui gli anziani
devono ancora avere l'autorita' della saggezza! L'atmosfera ricorda
moltissimo i racconti di Jorge Amado, anche se li' le barche vanno
ancora a vela. Si riparte per la prossima tappa, ma rimaniamo piantati
in mezzo al deserto quando la strada in costruzione finisce nel
nulla. Le informazioni che otteniamo dalle rarissime persone che
incontriamo sono tutte contraddittorie e impariamo a nostre spese che
gli autoctoni non hanno la piu' pallida nozione delle distanze. Per
fortuna c'e' una pista che, ci assicurano, porta alla prossima
cittadina (Carrizal bajo) in appena "8 Km". Siamo quasi propensi a
crederci stavolta, visto che ce lo dicono gli operai addetti ai
rilevamenti per la strada in costruzione, ma un rapido consulto di GPS
e cartina ci conferma che ancora una volta le indicazioni sono errate:
di km ne mancano almeno 30!!! Per di piu' la pista peggiora a vista
d'occhio e finiamo per spingere la bici nella sabbia: impossibile
pedalare. Come per volonta' divina appare dal nulla un SUV di surfisti
che ci offre un'arancia a testa. Dopo ore in mezzo al nulla, ma ormai
vicini alla meta, incontriamo gli unici altri due turisti incontrati
in tutto il giro: due strani cicloturisti che spuntano dalla pista in
lontananza. L'incontro e' talmente improbabile e le loro figure sono
talmente distorte dalla caligine del deserto che L inizialmente si
chiede se per caso non si tratti di extraterrestri stile "incontri
ravvicinati"! Si rivelano essere due ispanici che sembrano don
Chisciotte e Sancho Panza alla ricerca dei mulini a vento... Chissa'
che impressione gli abbiamo fatto noi, emergendo sozzi e sconvolti dal
deserto piu' impervio! Nel paesino ripetiamo la scena di Aimogasta: ci
avventiamo nel negozietto e gli vuotiamo la dispensa prima ancora di
pagare. Non abbiamo proprio voglia di cercare un posto per la tenda e
sono quasi finiti i soldi cileni. S chiede al prete di poter dormire
sul patio di fronte alla sagrestia o in chiesa, ma il prete
gentilissimo (dopo avergli fatto vedere tutta la sua collezione di
foto naturalistiche) si propone di chiedere al "professor" se possiamo
dormire nella scuola. Fantastico! L intanto e' rimasto nel parco
giochi a badare alle bici, cercando di riprendersi dallo
sconvolgimento. I bimbi arrivano a frotte incuranti del fatto che a
poco a poco si fa buio pesto. Ci spieghera' poi il maestro Jose' che
c'e' luce solo per un paio d'ore al giorno (dalle 20 alle 22) perche'
il consorzio dei cittadini che si occupa della benzina per il
generatore non ha abbastanza soldi per il resto del giorno. I bimbi
interrogano seri L con tutta una serie di curiosissime
domande. Purtroppo L riesce ad intendere ben poco e le loro curiosita'
rimangono largamente inappagate, peccato! Quando ormai L e' convinto
che S sia morto, ecco che spunta in compagnia del simpatico prete
barbuto e ci dirigiamo verso la scuola. Il professor Jose' e'
simpaticissimo e disponibilissimo. Con l'aiuto dei suoi bimbi, subito
ci fa spazio spostando i banchi e, addirittura fa un salto in palestra
a prendere i materassi da ginnastica che ci offre
orgoglioso. Fantastico! Stasera si dorme sul morbido. I bimbi sono
molto affascinati dalla nostra attrezzatura, soprattutto dalle
lampadine a led bianche sbrilluccicanti e dal fornello a benzina sul
quale improvvisiamo la tradizionale pastaccia. Il maestro Jose' ci
tiene compagnia per la cena, mentre una signora gentilissima (la
bidella?) cucina nella stanza a fianco e ci rimpinza di deliziose
focaccette calde appena cucinate da lei! Jose' ci spiega che e' qui da
20 anni a fare il maestro (da quando si e' laureato). Ha una classe di
una 30ina di bimbi sotto i 10 anni su una popolazione totale di 160
persone stanziali. Ad un certo punto viene reclamato dai suoi
bimbi. Ora c'e' l'elettricita' ed e' l'unico momento della giornata in
cui funziona l'ordinador (il computer) della scuola che lui si pregia
di insegnare ai suoi bimbi. Siamo stupiti da tale entusiasmo dei
bimbi, visto che ci aveva spiegato che in questo periodo le scuole
sono chiuse per le vacanze. Evidentemente la scuola e il maestro sono
un punto di riferimento anche durante le vacanze! Finalmente si dorme
bene. La mattina dopo non si trova ne' il maestro ne' il prete. Che
sia troppo presto? Lasciamo due biglietti di ringraziamento per queste
ospitalissime persone e visitiamo la chiesa. Ricorda un pochino la
chiesetta di legno di Nantucket, altro paese di pescatori: una grande
navata di legno dipinta di verde pastello. La statua della madonna e
di S. Pedro sono oggetto di evidente venerazione. Naturalmente la
statua di S. Pedro che conta e' quella che veglia sul piccolo porto,
come in tutti gli altri paesini di mare di questa zona. La spiaggia e'
fatta di nerissimi sassi vulcanici. Un gruppetto di pescatori discute
in una capanna sulla spiaggia, pulendo i pesci e gettando gli scarti
ad un folto gruppetto di avvoltoi e gabbiani che fanno festa sul
molo. Le barche sono identiche a Puerto viejo: solide imbarcazioni a
due punte di legno verniciate di giallo e arancione. La pedalata di
oggi vale finalmente la pena. La strada costeggia l'oceano passando
per splendide spiagge di finissima sabbia bianca. Se ci fosse il sole
sarebbe fantastico e ci fermeremmo qui per il resto dei nostri
giorni!! Le onde qui sono veramente spettacolari, anche se il mare non
e' affatto mosso. Infatti incontriamo varie comunita' di surfisti che
bivaccano sulle magnifiche spiagge. Appena fuori del paese inizia una
riserva naturale che con il bel tempo deve essere magnifica. S e'
veramente stufo del brutto tempo e corre via a testa bassa. Un
problema al ginocchio gli fa chiedere un passaggio ad un pick-up e
guadagna qualche km. L indugia un pochino di piu' e si ferma a
guardare le onde. Che spettacolo! Si rimarrebbe li' delle ore! Man
mano che ci si riavvicina alla civilta' (la citta' di Huasco), aumenta
la spazzatura e le casette di villeggiatura. A Huasco L visita il
porticciolo: sta arrivando una delle famose barchette di pescatori
artigianali: sono in tre sulla barca e hanno pescato una teoria di
pescioni enormi e luccicanti. Sembrano molto contenti della giornata
mentre scaricano il frutto del loro lavoro. Sotto il porticciolo si
intravedono stelle marine e ricci di mare: evidentemente il mare e'
molto pulito. I gabbiani imperversano, ma non abbiamo visto le balene,
i delfini o i pinguini. Non abbiamo visto neanche una foca. Che
strano, nell'altro emisfero il pacifico ne e' pieno! Si va a Vallenar
50Km all'interno (che S si ostina a pronunciare Baggenar). Arriviamo
tardi e stanchissimi, finendo a dormire nel famigeratissimo
residential settembre 18 dove le coperte puzzano di muffa e i bagni
sono costellati dalla cacca di piccione, ma almeno la doccia e'
calda. Il giorno dopo cambieremo decisamente tono spostandoci al
residential Oriental, dove c'e' pure un bell'orto dove stendere i
panni, con un nonnetto cieco che cura con orgoglio le sue piante e le
sue maledettissime galline che cantano a tutte le ore del giorno e
della notte. Decidiamo di proseguire il giro tornando in montagna
verso la lontana laguna colorada, alla ricerca del bel tempo. L, come
ormai e' tradizione, inaugura la tappa con un guasto: catena
tranciata. Si prosegue costeggiando un impressionante lago
artificiale. Il giorno successivo arriviamo a Junta de Valeriano, il
posto piu' sperduto mai visto, dopo aver attraversato una lunghissima
valle agricola. La strada e' ormai ridotta ad una pista da
fuoristrada, dove e' piu' consigliabile passare nei guadi che sui
traballanti ponti. Anche qui suscitiamo l'ammirazione dei bimbi che
osservano incuriositi la nostra attrezzatura e ci guardano preparare
la cena. Il giorno dopo decidiamo di rinunciare alla laguna: e' ancora
lontana una 30ina di Km e probabilmente non si riesce ad arrivare in
bici. Ci fermiamo in "paese" a riposare. L ne approfitta per salire in
cima ad una vicina montagna. Purtroppo il vento non ci da' tregua,
anche se non e' neanche lontanamente paragonabile all'incubo che
avevamo trovato a 4000m (2000 piu' in alto della quota locale). Lo
spettacolo e' anche qui mozzafiato. La desolazione e' totale, le
montagne coloratissime e a fondo valle il torrente sostiene le poche
piante di colore verdognolo di tutta la zona. Lo sguardo si perde in
un orizzonte di montagne infinite con un paio picchi innevati
altissimi a fare da sfondo. In alto volteggiano 2 aquile (o saranno i
famosi pinguini Humbolt?). Dopo una pausa sulla vetta, indeciso se
continuare lungo l'infinita cresta o tornare alla base, lo stanco L
rientra. Il giorno dopo finalmente il vento molla del tutto e la
giornata e' spettacolare. Purtroppo e' ora di smontare il campo e
iniziare il lunghissimo viaggio di rientro che si concludera' in
Italia solo dopo vari giorni. Inizialmente avevamo deciso di arrivare
al primo paesino dove l'autobus giungesse in tempo utile, ma la
pedalata e' oggi talmente piacevole che continuiamo giu' per la valle
per piu' di 80km fino al capoluogo, Alto del Carmen. Oggi, con il
sole, la vallata assume tutto un'altro aspetto! Al capoluogo, ci
svacchiamo sulle tradizionali panchine del parco aspettando il bus: il
giro e' ufficialmente finito, e il contachilometri e' fermo a 1354km
(supereremo i 1400 girando per Santiago). Il bus e' un rudere e le
bici vanno caricate sul tetto! Ci sono addirittura 2 bigliettai oltre
all'autista e discutono animatamente ascoltando la radio a tutto
volume e si divertono a strombazzare davanti alle case dei contadini
(o delle contadine?) Il giorno dopo, il viaggio in bus fino a Santiago
e' tutta un'altra cosa. Non abbiamo prenotato e ci dovremo
"accontentare" di viaggiare in un bus a 5 stelle. Inizialmente si
pensa alla solita truzzata latino-americana, ma ci dobbiamo ricredere
in fretta. E' un bus lussuosissimo con poltrone enormi e comodissime
che diventano dei letti, servizio film (superman II), musica e anche
colazione e pranzo serviti da un bigliettaio-cameriere in divisa. Il
panorama e' magnifico, visto che troviamo una rara (come ci spiega il
bigliettaio) giornata di bel tempo sull'oceano. La strada (la
panamericana, che per ancora 200-300km e' l'unica strada asfaltata
della zona) si snoda tra fantastiche calette cosparse di spiagge
alternate a magnifiche scogliere a picco. Man mano che si scende a
sud, il panorama si fa gradualmente sempre piu' verde e i boschetti di
cactus lasciano il posto a boschi veri. Nonostante ci si consumi lo
sguardo ad osservare l'azzurrissimo oceano, non si vede neanche una
balena o delfino. A Santiago scarichiamo le bici e il traffico ci
massacra (gli argentini al volante sono pazzi), ma arriviamo al
magnifico ostello "casa Roja", pieno di ragazzi americani di buona
famiglia. Ormai abbiamo talmente abbassato i nostri standard, che ci
sembra di essere sbarcati al grand hotel! Ci si sta molto bene e per
la prima notte abbiamo addirittura una stanza doppia con parquet e
soffitti alti, e cortile dove lasciare le bici. Il giorno dopo si
visita la citta', che ci lascia piuttosto delusi: non c'e' molto da
vedere. Iniziamo con il cambio della guardia al palazzo del
governo. E' quello che era stato cannoneggiato dai colonnelli di
Pinochet finche' Salvador Allende non si era suicidato (o era stato
suicidato a seconda delle versioni). Numerosi soldatini marciano
impettiti agli ordini di una giovane tenente donna che cerca di farsi
venire il vocione grosso per gridare i secchi ordini necessari. Arriva
anche la banda guidata da un ufficiale baffone che volteggia agilmente
il bastone da majorette. La scena e' talmente ridicola che non
riusciamo a trattenere sonore risate. Mi chiedo come facciano quei
distinti signori vestiti da soldati a rimanere seri fornendo un tale
spettacolo da circo! Evidentemente i militari hanno il cervello lavato
bene a fondo.. Un ubriaco butta un paio di bottiglie ed e' prontamente
arrestato da poliziotti arrivati in forze. Il cambio della guardia
pare sia l'unica (o quasi) attrattiva turistica. Apprezziamo molto il
Cerro S. Lucia, che e' uno scoglio in mezzo alla citta' che e' stato
addobbato con magnifiche piante ornamentali del sudamerica e riempito
di scalette, chiesette e finti castelli. Trasciniamo le bici fino in
cima per la foto, sotto gli sguardi divertiti degli altri
frequentatori del parco. Davanti alla cattedrale veniamo abbordati da
un simpatico vecchietto tedesco-cileno che ci ha sentito parlare in
italiano. E' chiaro che vuole chiacchierare un po' per rinfrescare il
suo ottimo italiano e noi gli diamo volentieri corda chiedendogli del
lungo periodo (20 anni) di dittatura. Lui ci offre una versione
decisamente destrorsa dicendo che prima della dittatura non funzionava
niente e il governo comunista di Allende (pare sia stato il primo
governo dove il comunismo e' stato eletto e non imposto) non faceva
niente per uscire dalla crisi. Si era arrivati al razionamento del
cibo e le persone (compreso lui stesso, anche se non aveva votato per
Allende) scioperavano tutti i giorni. Dopo il golpe i militari invece
si sono dati da fare a rendere il paese efficiente vietando scioperi e
assembramenti. E' rimasto il coprifuoco per 20 anni! Naturalmente non
ha potuto fare finta di niente riguardo al problema dei desaparecidos,
ma lo ha minimizzato dicendo che solo (!) 4000 famiglie hanno avuto
problemi del genere, mentre in Argentina molte di piu'! Non si spinge
fino ad inneggiare al fascismo, ma si accomiata dicendo che il golpe,
secondo la loro costituzione, era perfettamente legale. Come possa
essere legale il cannoneggiamento del palazzo del proprio governo
rimane un mistero... Comunque, sicuramente e' stato interessante
sentire la voce di una persona che ha vissuto questi eventi in prima
persona. L'unico altro luogo degno di nota a Santiago (anzi, vale
decisamente la visita!) e' la casa di Pablo Neruda. La casa si chiama
Chascona (cioe' scapigliata), dal soprannome della sua amante (poi
diventata terza moglie) per la quale l'aveva fatta costruire. L arriva
per la visita presto la mattina dell'ultimo giorno e la guida in
inglese non c'e' ancora. Allora viene portato in giro dal
simpaticissimo Jorge, che confessa di essere il figlio della curatrice
della casa-museo. Si vede proprio che ha una venerazione per Pablo
Neruda e fornisce una versione del golpe dalla prospettiva comunista
ben diversa da quella del vecchietto del giorno prima. E' una persona
molto colta e ha studiato presso i "gringos" (gli odiatissimi
statunitensi), ma solo perche' loro "hanno i migliori professori",
come subito ci tiene a precisare. I militari, subito dopo il golpe,
invasero la casa (Neruda era comunista) e la devastarono completamente
con una gratuita' becera (ad esempio buttarono vari quadri di Picasso,
amico di Neruda, nel canale). Jorge a piu' riprese ringrazia il
governo italiano grazie al cui contributo la casa e' stata
completamente restaurata. L a sua volta si congratula con lui per
l'ottimo lavoro. Non solo la casa e' perfetta, ma anche l'arredamento
e perfino la cristalleria e' stata rimessa a posto. Dell'Italia Jorge
ringrazia anche l'ottimo film "il postino", che ha contribuito
(secondo lui) non poco alla fama di Neruda. La casa e' costruita per
assomigliare ad una nave, con oblo', scalette e soffitti bassi. Neruda
era, infatti, ossessionato dall'oceano. La sala da pranzo sembra la
sala mensa di una nave, con bassi banchetti lungo le pareti e lunghi
scaffali per gli oggetti. Il pavimento e' in salita per simulare la
prua della nave. Fuori dalla finestra in origine c'era un canale di
acqua corrente che doveva dare idea della navigazione. Purtroppo sulla
collina c'e' lo zoo e l'acqua e' ora contaminata e non si puo' piu'
usare per il canale. C'e' perfino una stanza segreta. La casa e'
pienissima di oggetti di tutti i tipi, molti dei quali
raffinatissimi. C'e' una statuetta indiana regalata da Gandhi, una
tegola decorata regalata da Mao, alcune belle statue di legno
originale regalate dagli abitanti dell'isola di Pasqua (dove gli
alberi sono ora estinti), e addirittura una contestata medaglia
regalata da Stalin. L'elemento comune dell'arredamento in tutta la
casa sono gli oggetti di un designer italiano, tale Fornasetti, dal
design decisamente riconoscibile e molto anni 60. Jorge mi confessa
orgoglioso che il giorno prima e' passato il "direttore del museo di
Firenze" (pare si tratti della galleria Uffizi), che e' venuto a
Santiago appositamente per visitare le case di Neruda e ha commentato
che Neruda aveva un ottimo gusto nella scelta degli oggetti, ma non
era proprio capace di preservarli bene e si e' offerto di restaurare
(gratuitamente) alcune delle opere d'arte. Da una vetrina occhieggia
il medaglione del premio Nobel. Non e' invece possibile vedere la
preziosissima enciclopedia (una rara prima edizione della prima
enciclopedia mai stampata dai filosofi illuministi), che e' stata
acquistata con i soldi del Nobel. Jorge orgogliosamente afferma che
Neruda e' stato il primo e unico poeta che si e' arricchito con il suo
lavoro e si e' anche goduto i suoi soldi! Sicuramente era un gran
donnaiolo. Quando gli dico che conosco Neruda tramite Lu (che lo ama
molto), Jorge vuole a tutti i costi farla ingelosire. Quindi mi
fotografa (sarebbe vietato!) seduto alla scrivania di Neruda, mi fa
toccare il suo fazzoletto e la sua cravatta (acquistata a Roma in via
Condotti) che egli tratta con la devozione di preziosissime reliquie
di qualche santo, e, infine, mi fa un regalo speciale per Lu, che L
promette di consegnarle. Il giro si conclude con la biblioteca: un
finestrone con comoda poltrona domina la citta' dall'alto. I libri di
Neruda sono in una stanza con controllo ambientale, quindi qui si
tengono i libri che gli ospiti illustri si divertono a regalare. Ci
sono anche i libri di Isabel Allende, una delle scrittrici preferite
di L, tutti con dedica autografa. Jorge si fa fotografare assieme a L
nel bellissimo giardino e si fa promettere che gli spedira' la
foto. E' proprio innamorato dell'Italia. E' ora di correre a
recuperare S, rimasto al Cerro S. Lucia, per dirigersi all'aereoporto.
Decidiamo malauguratamente di andare all'aereoporto in bici, tenendo
in mano i cartoni per imballarle che abbiamo acquistato da un
ciclista. Ben presto siamo persi completamente e teniamo la direzione
solo grazie al GPS di L, dove egli ha provveduto a inserire le
coordinate dell'aereoporto prese da internet. Per fortuna alla fine un
gentilissimo signore, che faceva una passeggiata in bici con il figlio
sulla canna, decide di accompagnarci e si infila deciso in autostrada
pedalando nella corsia di emergenza! E' l'unico modo di arrivare
all'aereoporto. Con l'ennesima dimostrazione di ospitalita' e
cortesia, termina cosi' la nostra vacanza sudamericana!