Lu & Lo cross the Andes (twice!)

           17 Luglio - 21 Agosto 2013




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Elenco completo dell'attrezzatura

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Una parola per descrivere il viaggio: IMMENSITA'. Immensita' degli orizzonti che nessuna foto potrea' catturare; immensita' del cielo: uniforme blu cobalto di giorno, ma immensamente popolato di notte; immensita' delle distanze, spesso su strade sterrate; immensita' della natura: la forza del vento scatenato, la potenza energetica del sole d'alta quota, la resilienza degli animali e delle piante dell'arido deserto; immensita' dell'escursione termica (da -13 a +15 in giornata); immensita', ma soprattutto DIVERSITA' dei panorami: le montagne ocra marziane, quelle grigio/nere lunari, l'azzurro intenso e il bianco immacolato delle lagune, la terra rosa del salar di Cauchari e il rosso intenso delle colline che lo fiancheggiano, il giallo delle dune, il bianco delle saline e della neve soffiata d'alta quota, l'incredibile valle della Luna e i fuochi d'artificio dei colori delle rocce della cuesta del Lipan nella quebrada di Humauaca: tutti i colori dello spettro in un incredibile arcobaleno fatto di rocce giallenerebluverdiviola, le rastrellate della pioggia lungo i versanti che ricordano le immagini della sonda Cassini da Titano: in sostanza non troveremo piu' di 20km in tutto il viaggio con lo stesso panorama; immensita' della fatica (una salita di 2400 m di dislivello da 2450 a 4850 con bici da viaggio stracariche da 40 kg l'una); infine, immensita' della puzza di piedi (4 calze sintetiche e un solo paio di scarponi per un mese nel deserto!)

L'incredibile cielo notturno: stelle, nebulose, globular cluster visibili ad occhio nudo, satelliti che lampeggiano, stelle cadenti come se piovesse, via lattea cosi' intensa che si vedono pure le nebulose che la oscurano in parte, l'immensa stella rossa Antares e la luminosissima Alpha Centauri (la stella a noi piu' vicina, una passeggiatina di appena 5 anni luce), la croce del sud (che veramente non e' a sud, ma indica il sud solo indirettamente), la costellazione dello scorpione dalla lunga coda e Venere luminosissima e altissima sull'orizzonte.

Lu e Lo partono per un viaggio ambizioso: attraversare le ande 2 (due!) volte: Argentina-Cile e ritorno. Si renderanno presto conto, poveri, di QUANTO siano ambiziosi i loro piani, ma riusciranno a portarli a termine? Gia' la partenza da Pavia rivela le difficolta' a venire, e il trasferimento (in auto) delle bici fino alla stazione provoca un cardiopalma a Lo che deve fare fischiare le gomme della sua auto: "Lu, ti avevo detto che bisognava uscire prima!" Tutte le volte la stessa storia. Lo, dopo aver finalmente mollato la macchina in garage deve correre alla stazione nella canicola estiva pavese vestito con scarponi e pantaloni da ghiaccio (in questo viaggio bisogna assolutamente essere essenziali e Lo ha un unico paio di pantaloni lunghi e un solo paio di calzature, i suoi fedelissimi scarponi). Arriva sull'autobus alla temperatura della fusione nucleare del ferro in pieno infarto acuto del miocardio e Lu si da' da fare a cercare di rianimarlo. Lo e' devastato anche perche' e' appena tornato (due giorni prima, due!) dal Giappone e questo e' il quarto (quarto!) continente che visita in 6 mesi (America del Nord, Europa, Asia e America del Sud). Il trasferimento di aereoporto a Buenos Aires e' meno sereno del previsto: si scopre che oggi in Argentina iniziano le vacanze invernali e Lu e Lo si devono sorbire delle code infernali sia per prendere l'autobus (stracolmo) che per il secondo check in: una bolgia infernale, ma finalmente riescono a sbolognare le bici ai due ragazzi panciuti dei bagagli fuori misura che si divertono a guardare la bolgia! A Salta per fortuna trovano un tassista con la macchina enorme dove si possono caricare entrambe le bici e tutta l'attrezzatura fino al Palacio Escondido, un pretenzioso affittacamere dove la proprietaria, a cui piace chiacchierare, intrattiene Lu fino a farle colare sangue dalle orecchie mentre Lo stolidamente fa finta di non capire niente di Spagnolo e si da' da fare a ristemare le bici: per fortuna l'attrezzatura ha resistito al viaggio (solo un disco dei freni leggermente deformato) e non abbiamo dimenticato nulla nella frenesia dei preparativi! Fa un freddo porco, pare che mai in Argentina abbia fatto cosi' freddo, e si sentono voci di temperature da -11 a Buenos Aires. Sicuramente c'e' una perturbazione antartica in corso e tutti i passi per il Cile sono chiusi compresi quelli che Lu e Lo volevano fare, speriamo bene... Partenza in bici, finalmente!!! L'uscita da Salta e' abbastanza allucinante: il traffico e' caotico e le persone sembrano rigurgitate in mezzo alla strada da ogni sorta di veicolo. Lu, terrorizzata dal freddo, si ferma a comprare un gilet di windstopper che si rivelera' un ottimo acquisto e un casco da bici. Sbagliamo subito clamorosamente strada, e un signore premuroso ci avvisa di cambiare direzione perche' ci stiamo dirigendo stolidamente verso la parte brutta della citta' dove ci avrebbero sicuramente derubatostupratouccisoespiantatogliorgani. Il primo posto di nota e' Campo Quijano, dove Lu si fa subito ridere dietro cercando le foglie di coca alla farmacia! Inizia una strada sterrata, ma i nostri eroi non si fanno intimidire dai primi guadi e dalle prime famigerate ondine di terra nella strada e proseguono imperterriti fino alla sera, nonostante i guaiti di Lo che vorrebbe fermarsi in un boschetto di cactus: meglio morire delicatamente tra le spine che continuare la tortura della pedalata annebbiata da una serie di jet lags ormai accumulatisi dopo aver attraversato una ventina di fusi orari nella settimana passata. Nonostante tutto, la pedalata e' gradevole in un'ampia valle dove c'e' solo la nostra strada sterrata e l'improbabile ferrovia del Tren A Las Nubes che e' costellata di arditi ponti e viadotti. Il traffico (tranne un mulo solidamente piantato in mezzo alla strada) e' quasi inesistente. Lu imperterrita non vuole fermarsi e viene arrestata solo dalla notte improvvisa, meno male! Dormiamo come papi in un rudere nel deserto ben nascosti dalla strada. Anche se c'e' ancora la luna, si intuisce gia' l'incredibile cielo stellato che si svelera' solo nei giorni prossimi. La mattina dopo, la tragedia! Si e' alzato un vento mostruoso (naturalmente contrario, cosa poteva essere?!?) che ci soffia in faccia la sabbia e la polvere del deserto. Siccome siamo ancora in bassa quota, Lo e' ancora ottimista che il vento non ci impedira' il tragitto, povero illuso. Il vento continua a salire di intensita' e ben presto diventa improponibile stare in sella (Lu viene sbattuta a terra piu' volte e anche la solidissima bici di Lo che ha la stessa massa di una stella di neutroni viene sbattuta a terra in mezzo ad una costellazione di imprecazioni del povero guidatore sbatacchiato senza cerimonie). Ci fermiamo a rifornirci ad un negozietto, ma come al solito le persone sono totalmente ininformative. Uno dice che non ha mai visto un vento cosi', quello a fianco ci dice che succede una volta al mese, l'altro dice che e' cosi' tutti i giorni, ecc. Alla fine capiamo che quando si alza questo vento, tipicamente dura almeno 3-4 giorni e siamo un po' scoraggiati. In tutta la giornata di strenua fatica riusciamo a fare forse una ventina di km, cosi' non va proprio! Ci fermiamo distrutti nuovamente in mezzo al deserto e Lo muore delicatamente nel sacco a pelo che si sta, ahime', gia' riempiendo di sabbia! C'e' da dire che il deserto e' spettacolare con tutti i puntuti cactus, e le prime montagne multicolorate colorate (rosso fuoco e tutte le possibili sfumature di marrone) e per fortuna di notte il vento si placa, ma comunque siamo ben riparati anche stanotte. La mattina dopo, la prima foratura! Cercare l'impalpabile sibilo di un foro in una camera d'aria in mezzo ad una bufera di vento antartico e' improponibile, e Lo presto perde la pazienza: per fortuna si puo' rapidamente cambiare la camera d'aria. L'inizio del viaggio non e' dei piu' promettenti, ma per fortuna presto cambiera' il tono! Anche oggi l'incedere e' improponibile e Luelo perdono presto la pazienza e decidono che non si puo' pedalare in queste condizioni. Ovviamente e' domenica e oggi i numerosi autobus non ci sono (a meno di aspettare le 21!), quindi si decide per l'autostop. Lu, non avvezza a questa forma di trasporto, si lancia sotto al primo pickup che passa e lo ferma imperiosa come se fosse un vigile. Non l'avesse mai fatto, la moglie del gentile guidatore e' completamente psicopatica e si aspetta che Lu e Lo tirino fuori bisturi e pompa per aspirare gli occhi ed espiantino gli organi delle loro bambine... Lo viene fatto "accomodare" nel pianale posteriore del pick up (con un manubrio piantato nella schiena e un paio di borse appoggiate sulla nuca), non sia mai che decida di espiantare un rene con il coltellino svizzero direttamente sui sedili dell'auto, mentre Lu, forse giudicata piu' innocua (gia' questo dimostra la totale psicopaticita' della signora), puo' anche entrare nell'abitacolo. Tutto sommato va bene cosi', ma purtroppo Lo si accorge che nella fretta abbiamo caricato male le biciclette e tutto il peso delle biciclette e dei pacchi e' poggiato sul cerchione di una delle due biciclette (e sono troppo incastrate per muoverle): questo e' veramente un guaio perche' di li' a pochi km inizia nuovamente lo sterrato e saremmo sbatacchiati sicuramente: se si rompesse il cerchione sarebbe veramente un problema. Per fortuna, prima dello sterrato il pick up si ferma perche' Lu e' preoccupata che Lo sia scomodo: decidiamo di non rischiare di compromettere la bici e scendiamo. Ci troviamo in un "villaggio" (tre case) in mezzo al nulla attraversato dal rettilineo del nastro d'asfalto spazzato dal vento furioso. Un indigeno molto gentile ci offre di aspettare dentro al suo garage di lamiera un improbabile autobus che "dovrebbe" passare.. Accende perfino un piccolo braciere per scaldare Lu che sta delicatamente congelando in un angolino. Questa dovrebbe essere la semplice tappa di trasferimento per uscire dalla civilta'?!? Siamo seriamente preoccupati per le condizioni atmosferiche che stanno rendendo impossibile il nostro viaggio: sopra ai 4000m le condizioni oggi saranno completamente improponibili.. Per fortuna le condizioni miglioreranno nettamente nei giorni successivi. Dopo un paio d'ore di attesa diventa chiaro che l'autobus non passera', e iniziamo a pensare nuovamente a fare l'autostop, ma non passa nessuno! All'orizzonte spunta un enorme autotreno a 18 ruote. Lo prova timidamente ad alzare il pollice ed immediatamente si ferma in mezzo ad un polverone immenso, immediatamente trasportato via dal vento. Almeno non manchera' lo spazio se Lo dovesse viaggiare nuovamente sul pianale, abbiamo circa 1000metri cubi di spazio per due biciclette. In realta' il camionista e' gentilissimo e non solo ci aiuta volentieri a tirare su le biciclette, ma le fissa al camion con robuste corde. Lo si chiede il motivo di questa strana solerzia, ma diventera' chiaro una volta che arriveremo al pessimo sterrato prima di san Antonio de Los Cobres. Ci invita (entrambi!) nel caldo, comodo e spazioso abitacolo. E' uno dei numerosi tir che lavorano nelle miniere della zona. Arrivati a san Antonio, un paese di strade sterrate e case di mattoni di fango a 3800m di altitudine, vediamo la "nevicata" delle Ande: si tratta di una nube di cristalli di ghiaccio che vengono spinti in ogni direzione dalla bufera di vento: destra, sinistra, su, dentro, fuori, ogni direzione tranne che verso il basso! Infatti la neve non si deposita in nessun luogo, viene solo spinta dal vento. Vedremo poi in quota che la neve si ferma solo dove viene depositata dal vento, come se fosse stata asportata tutta la neve depositata e fosse stata lasciata solamente la neve ventata. Vedremo accumuli spaventosi alti piu' di 5 metri che nelle alpi potrebbero accumularsi solo per via di slavine. Troviamo una marcissima hosteria scelta da Lu, che di solito ha occhio, ma stavolta sbaglia clamorosamente: la notte senza riscaldamento la temperatura interna alla stanza arriva a 3 gradi e il cesso continua a otturarsi con grande entusiasmo di Lu che gioisce alla vista della cacca spumeggiante che si aggira nella tazza. Per fortuna la doccia e' caldissima (fin troppo) ed in fondo questa e' la cosa piu' importante in questo momento. Mangiamo una buonissima cazuela di llama (spezzatino di carne di lama) e bistecca della medesima specie. Aspettiamo una giornata nella speranza che il vento diminuisca e ne approfittiamo per una passeggiata nei dintorni della citta'. Facciamo la via crucis che arriva a 4000m, ed e' proprio una via crucis in mezzo alla bufera di vento: le antenne e i cavi sulla collina dietro alla via crucis fischiano con un do diesis maggiore a causa del vento. Lo cerca di calcolare la velocita' del vento dalla tonalita' del fischio. Dopo andiamo alla stazione e saliamo sulle dune di sabbia dietro, una lunga passeggiata nel deserto: basta allontanarsi di un km che ci troviamo in mezzo al nulla piu' totale, in lontananza delle altissime montagne. Il giorno dopo, il vento e' finalmente scomparso totalmente, ma il passo Sico per il Cile e' ancora clamorosamente chiuso (rimarra' chiuso per un mese!), e decidiamo di cambiare il nostro giro: andiamo verso Susques passando da Sey. Usciamo dalla citta' con un tempo spettacolare per la pedalata e ci troviamo su uno sterrato comodo e senza traffico. Sosta a Viaducto La Polverina, due case sotto ad uno spettacolare viadotto del treno che pare sia il piu' alto (come altitudine) di tutto il continente. C'e' anche un negozietto per "turisti" molto ingenuo. Per fortuna che siamo in bici, perche' altrimenti Lu avrebbe comprato tutto: berretti, maglioni, ponchi, tisane, tutto a base di lana di lama (anche le tisane). Lu riesce finalmente a comperare le foglie di coca contro il mal di montagna, un intruglio disgustoso: sembra di succhiare francobolli muffiti. L'aria e' comunque molto fredda e i nostri eroi si concedono una tisana di coca (Lu) e una cioccolata calda (Lo): si tratta di latte scaldato con dentro un paio di quadretti di cioccolato sciolti, buonissima. Rifocillatisi, si riparte con un clamorosissimo guado nel deserto che la perturbazione antartica ha reso una impeccabile lastra di ghiaccio scivolosissima. Naturalmente la leggiadra Lu passa senza problemi, mentre il sovraccarico Lo sfonda clamorosamente il ghiaccio in una pioggia di imprecazioni: guai a bagnarsi l'unico paio di scarpe a queste temperature!!! La pedalata e' incredibilmente bella e la strada si snoda in larghe valli in mezzo al completo e totale nulla. I colori delle montagne sono spettacolari e attraversiamo alternativamente paesaggi marziani (rosso ocra) e lunari (grigio/nero), ma con abbondanti graminacee gialle che danno un tocco di colore che contrasta il blu profondo del cielo. Ad un certo punto ci troviamo in un infinito altipiano dominato da una montagna (vulcano?) altissima che si erge nel mezzo della pianura. Verrebbe voglia di piantare la tenda qui e provare a salirci! La strada continua a salire finche' arriviamo al passo a oltre 4500m di altitudine, dove stremati decidiamo di fermarci. Anche oggi siamo in un comodo rudere (ma perche' a questi benedettissimi andini non gli interessa avere un pavimento liscio e in piano!??). Fa un freddo cane, ma siamo ben attrezzati e questo non e' un grosso problema, tranne che alla mattina dobbiamo rompere il ghiaccio delle sacche d'acqua (dromedary) per cercare di spremere quel po' di acqua liquida rimasta per fare il te'. Uno spettacolino che ci diventera' presto familiare durante (quasi) tutti i nostri pernottamenti nel deserto. Gli ultimi giorni ci faremo furbi e (quando non c'e' vento) metteremo l'acqua nella teiera gia' alla sera prima. La mattina dopo, una nuova foratura, ma oggi l'entusiasmo e' alle stelle ed e' quasi un piacere sistemare la bici: in 5 minuti si riparte. Si scende lungo una valle lungo un torrente, valle costellata di enormi roccioni caduti da delle spettacolari falesie che ci circondano come una corona. Ci fermiamo per una seconda colazione (che fame a pedalare!) sotto un sasso al sole in mezzo al nulla, com'e' bella la vita cosi'! Passiamo da Sey, uno degli allucinanti paesini persi in mezzo al nulla. Tutto e' rosso: le case (muri, tetti, porte, perfino finestre), le strade, i lama e perfino i polverosi abitanti! Siamo ora in una infinita pianura che sembra estendersi per centinaia di chilometri (e forse e' proprio cosi'!). La strada e' un rettilineo che si perde all'orizzonte come nei film. Vediamo i primi avvistamenti naturalistici: dei vicunas (lama selvatici) e un uccello che Lu battezza il gufo del deserto. Purtroppo a Lu viene uno dei suoi scleri da pedalata e non vuole piu' fermarsi, anche se attraversiamo posti spettacolari: vuole arrivare a tutti i costi a Susques e finiamo per accumulare una quantita' impressionante di chilometri su sterrato. Susques e' un posto allucinante dove le strade (tutte naturalmente sterrate e attraversate da rigagnoli di acqua putrida) sono tappezzate di lunghissimi tir che sostano a motore acceso ammorbando l'aria. Le case sono tutte mezze demolite o cadenti. Dei tre alberghi in citta' il primo (scelto da Lu via internet) sembra abbandonato e sembra che sia esplosa una granata nel cortile, il secondo e' chiuso, e veniamo scacciati in malo modo dal terzo: una stanza?!? che richiesta assurda. Per fortuna avevamo visto un albergo appena fuori citta' e ci dirigiamo a questo che e' tutto sommato gradevole. Ha anche una stufa elettrica e gia' pensiamo di dormire al caldo ma la stufa cessa irrimediabilmente di funzionare dopo pochi minuti: che sola clamorosa. Almeno la doccia e' calda e la colazione (spazzolata in un microsecondo) e' buona: cubetti di mappazza (una specie di pasta sfoglia salata) con marmellata e latte caldo o te'. Riusciamo a fare la spesa a Susque con gran schifo di Lu, che osserva i cani randagi del paese entrare senza problemi nel negozietto e mettersi tranquillamente a mangiare la spazzatura accumulata sul pavimento. Si parte con molta flemma per il passo di Jama, che e' il secondo passo andino che avevamo in programma. La strada ora e' asfaltata e scorre via veloce. Dopo pranzo, una volpe viene attirata dalla puzza di pesce della pessima scatoletta di alici del pranzo (alici, cubetti di mappazza e banane) e ci accompagna speranzosa per un paio di tornanti. Scendendo per una discesa intravediamo in lontananza una delle meraviglie del viaggio: un enorme salar (Salar di Ollaroz) che costeggiamo per decine di chilometri. In lontananza della altissime montagne svettano all'orizzonte. Le montagne piu' vicine a noi sembrano interamente di sabbia. Rettilinei infiniti durano intere ore di pedalata. Ciononostante il panorama continua a cambiare: in tutto il viaggio raramente vediamo lo stesso paesaggio per piu' di venti chilometri! La bici si rivela ancora una volta il mezzo ideale per visitare queste zone (almeno quando non c'e' vento!). Purtroppo un po' di vento ora si alza, ma e' piu' che accettabile per fortuna. Lo tenta inutilmente di spiegare il concetto di progressione in scia, ma la stolida Lu continua a perdere la scia di Lo. Ci fermiamo in mezzo a due enormi montagne di sabbia in pieno deserto e dormiamo comodissimi sulla sabbia. Siamo sicuri di bucare con tutti i cactus che costellano il deserto, ma siamo fortunati! Il giorno dopo nuovamente sbuchiamo su immensi altopiani marziani e ci aspettiamo di vedere dietro qualche curva i nostri eroi robottini Spirit e Opportunity che stanno esplorando assiduamente. Ad un certo punto vediamo degli animali stranissimi: sono i nandu', una specie di struzzi andini. Arriviamo a Pueblo de Jama a fianco ad un ennesimo salar, e Lo con il binocolo da lontano ha gia' individuato un posto per la notte poco oltre il paesino: povero illuso!! Al paese veniamo messi a terra: il passo e' chiuso e non si puo' attraversare la frontiera che e' appena fuori del paese. Cerchiamo di pietire la inflessibile doganiera: in bici ci metteremo almeno due, forse tre, giorni per arrivare al passo. Se il passo aprira' nei prossimi giorni, ci faccia passare lo stesso! Le preghiere di Lo rimangono inascoltate. Almeno scopriamo che in un paio di giorni il passo aprira' e gia' questa e' un'ottima notizia, visto che e' stato chiuso per oltre una settimana, forse una decina di giorni. Tutto sommato il deserto qui e' molto bello e decidiamo che dedicare un giorno alla sua esplorazione non e' certo tempo buttato. La stazione di servizio ha un paio di stanze ed e' accogliente nonostante la poca gentilezza dei benzinai. Almeno ci fanno mettere le bici direttamente nella stanza e cucinare con il fornelletto (a benzina) direttamente nella stanza: siamo comodissimi tutto sommato, anche se il riscaldamento fa le bizze. La mattina dopo il passo e' ancora chiuso, e, come previsto, decidiamo per un giro nello spettacolare deserto. Seguiamo una strada sterrata che si addentra nel nulla e dopo un paio di chilometri ci troviamo effettivamente nel mezzo del nulla: la strada finisce ad una sperdutissima fattoria abbandonata dietro cui non c'e' piu' niente. Molliamo le bici lungo un torrente paludoso completamente congelato e superiamo delle basse dune: siamo in uno spettacolare altipiano incoronato da altissime montagne. In lontananza una oasi e' circondata da vicunas che corrono velocissimi per il deserto. Ci rilassiamo passeggiando nel deserto e discutendo di cose nostre. Si torna al motel e stiamo tranquilli per il resto della giornata, facendo la conoscenza con alcuni simpaticissimi camionisti del Paraguay e Uruguay che su lunghissimi tir portano scassatissime macchine impilate l'una sull'altra dal Giappone al loro paese per il mercato dell'usato. Sono stupitissimi del nostro giro e ci chiedono divertiti se lo facciamo per qualche competizione. Il giorno dopo, come promesso, il passo viene aperto e si scatena la corsa al passaggio. Temiamo di trovare un traffico mostruoso, perche' i tir si stanno allineando alla frontiera dal giorno prima attirati dalla promessa dell'apertura del passo. In realta', per fortuna non sara' cosi'. Le pochissime macchine passano tutte praticamente assieme a noi e ci lasciano subito indietro, mentre i tir vengono centellinati dalla frontiera (e scopriremo presto il motivo). Dopo la frontiera si sale bruscamente e si attraversa un nuovo lunghissimo altopiano marziano. Si arriva poi ad un salar immenso dove Lu vede i rarissimi fenicotteri cileni ed entra nel Nirvana della piena modalita' naturalistica. Per fortuna Lo aveva portato il suo binocolo compatto che viene consumato visibilmente a furia di guardare. Sopra alla laguna c'e' una doppia montagna marziana che e' identica a quella "twin peaks" della famosa foto della sonda Pathfinder. Si procede fino ad una seconda laguna spettacolare bordata da montagne marziane dove ci fermiamo per pranzo. Nuovamente purtroppo Lu entra in modalita' pedalata e non vuole piu' fermarsi fino allo stremo delle forze. Effettivamente forse vale la pena pedalare finche' non c'e' vento. I nostri eroi quindi si arrampicano verso il passo piu' alto del giro a 4850 metri di altitudine (grossomodo l'altezza del Monte Bianco, la piu' alta vetta in Europa). Attraversano un altopiano costellato da stranissime formazioni di roccia che sembrano enormi menhir piantati da un gigante. Ad un certo punto, uno spettacolo totalmente inaspettato: una fila chilometrica ininterrota di tir fermi nel nulla del deserto. Lu scoppia a ridere: un attimo prima era in ansia da isolamento desertico e di colpo si trova in mezzo ad una congestione stradale degna di Roncobilaccio/Barberino del Mugello. Superiamo agilmente tutti i camion in fila, che putroppo rovinano il paesaggio totalmente alieno di alte guglie di roccia e falesie che stiamo attraversando, ma forse lo rendono ancora piu' surreale: sembriamo personaggi di un quadro di Dali'. Un camionista ci apostrofa divertito dal finestrino: "usted es locos!" Effettivamente siamo una coppia piuttosto improbabile. Dopo un po' scopriamo il motivo della congestione: uno dei tornanti della strada appena sotto il passo e' completamente bloccato per la neve. "Completamente" bloccato e' un understatement: c'e' un accumulo spesso oltre cinque metri e lungo un paio di chilometri (come scopriremo solo molti giorni piu' avanti). Addirittura hanno dovuto aprire con le scavatrici una strada nel deserto e i tir non riescono a fare la salita ripida sullo sterrato e devono essere trainati dalle ruspe uno per volta. Luelo, con i loro potenti mezzi fuoristrada salgono agilmente lo sterrato verticale sotto gli sguardi divertiti dei camionisti e dei ruspisti. Eccoci al passo: il punto piu' alto di tutto il giro! ACTION! Via di corsa: bisogna cercare di arrivare al prossimo muretto perche' a queste quote non ci fidiamo a dormire con la tenda in mezzo al deserto, se si alzasse il vento sarebbe un guaio! Lungo la strada ci sono (a distanze di una trentina di chilometri) alcuni muretti circolari dove ci si puo' riparare dal vento. Arriviamo stremati al muretto mentre il sole sta gia' tramontando e montiamo rapidamente la tenda (la prima volta che la usiamo) al riparo del muretto. Il muretto affaccia su un aquitrino infinito e spettacolare. Lo stellato stanotte e' il piu' bello che Lu e Lo abbiano mai visto: siamo a centinaia di chilometri dal paese e dalla luce elettrica piu' vicini a 4600 m di altitudine in mezzo ad un deserto secchissimo e non c'e' luna. Miliardi e miliardi e miliardi di stelle occhieggiano. Il bianco della neve sull'aquitrino riflette il chiarore quasi abbagliante della via lattea! Nonostante il freddo intenso, Luelo si affacciano ripetutamente dalla tenda avvolti dai loro sacchi a pelo tattici per bearsi dello stellato spettacolare. Il giorno dopo siamo tutti rotti per la pedalata del giorno prima, ma vogliamo approfittare delle condizioni climatiche bellissime. Oggi abbiamo un altro passo ad oltre 4800m. Prendiamo l'acqua rompendo il ghiaccio con gli scarponi: puzza di zolfo terribilmente, ma tutto sommato e' bevibile. Con un sonoro schianto di ghiaccio fratturato, Lo finisce con le scarpe nell'acqua in una nuvola di imprecazioni e risate della perfida Lu, ma per fortuna riesce a non bagnarsi le preziosissime calze. Il passo si affaccia sul vulcano Licancabur che a sua volta si affaccia su una laguna boliviana bellissima (Laguna Verde). Decidiamo, ahime', che vale la pena andare a dormire li' e abbandoniamo l'asfalto per il pessimo sterrato che si avvia verso la Bolivia. La dogana sembra completamente abbandonata e Lu e Lo sono gia' entrati clandestinamente in Bolivia quando vengono fermati dallo strombazzare del clacson di un fuoristrada che scende a rotta di collo dalle pendici del Licancabur: ecco il poliziotto della dogana che probabilmente era andato a farsi un giro con i suoi amici delle fantozziadi che portano i turisti in fuoristrada alla laguna. Certo che probabilmente eravamo i primi turisti a passare la frontiera in almeno una settimana! Lu si arrabatta a spiegare che non siamo clandestini e cerca di compensare promettendo che avremmo fatto un viaggio interamente in Bolivia l'anno prossimo. Il doganiere ci guarda divertito: certo non si aspetta clandestini che vogliono entrare in Bolivia, e sicuramente non attraverso questo passo e magari non su biciclette da 1500 euro l'una (almeno quella di Lu, quella di Lo e' ormai un rottame da 20 euro). Nonostante le false promesse dei cartelli stradali (forse qui non conoscono il sistema metrico decimale?), la pedalata fino all'ingresso del parco delle lagune e' lunghissima. Finalmente arriviamo, ma siamo clamorosamente messi a terra: la guardiaparco ci dice che non si puo' dormire in tenda nel parco. Si puo' solo dormire nel rifugio, ma accettano solo soldi boliviani. Siccome non c'e' certo una banca dietro l'angolo e il pesos boliviano non e' una delle valute principali, la cosa suona strana. Alle nostre proteste, scopriamo che e' anche possibile usare pesos cileni o dollari americani. Siccome noi abbiamo solo pesos argentini ed euro, siamo complementari! Nonostante l'assurdita' della situazione (il parco e' al confine con Cile e Argentina, perche' accettano solo valuta cilena?!) e le nostre offerte di pagare con cio' che abbiamo, la guardiaparco e' inflessibile. Senza neanche offrirci un bicchiere d'acqua ci espelle dal parco. Siamo a pochi minuti dal tramonto, in mezzo ad un deserto, in bicicletta (e il ritorno e' in salita!). Chiediamo almeno di poter mettere la tenda fuori i confini dal parco, ma non c'e' verso: il parco si estende fino alla frontiera, bisogna proprio uscire dal paese. La cosa e' veramente grave: se si alzasse il vento ora sarebbe per noi proprio un guaio serio, non c'e' certo tempo di trovare un riparo prima del tramonto. Per fortuna (molta fortuna) non c'e' un alito di vento. Partiamo arrabbiati neri e il povero poliziotto di frontiera ci rivede stupito poche ore dopo che eravamo passati nel verso opposto. Veramente la Bolivia e' stata poco accogliente (understatement). La laguna, intravista in lontananza, e' pero' bellissima, con un azzurro intenso che riprende il colore del cielo e un bianco immacolato del sale. Ci fermiamo poco dopo la frontiera in mezzo al deserto: Lu e Lo non riescono piu' a muovere un passo. Per fortuna siamo abbastanza comodi nonostante il freddo, e non c'e' assolutamente vento. Il giorno dopo rientriamo sull'asfalto e via fino a san Pedro. Lungo la strada vediamo un campo minato (ci mancava pure questo!), residuo di una guerra dimenticata tra Argentina e Cile. Alla frontiera cilena dobbiamo fare passare tutte le borse attraverso ai raggi X, non sia mai che importiamo illegalmente qualche fico secco! Strano che non dobbiamo smontare i telai delle bici. Dopo una pausa di arrivo alla piazza del paese, troviamo un bel residencial che la preziosa Lu trovi di suo gradimento, gestito dal simpatico Mattias che guadagna milioni di punti anche presso Lo quando ci suggerisce il migliore ristorante di San Pedro: "Le delizie della senora Carmen", dove c'e' un'ottima empanada de pino, lo strudel di mele e lo jugo di mango, una delizia di cibi locali (e un po' meno locali, ma lo strudel era buonissimo!) Diventeremo presto degli habitue', e ceneremo dalla senora Carmen tutte le sere di San Pedro, tranne l'ultima sera dove siamo abbagliati e finiamo nella classica trappola per turisti, dove Lo ordina un pollo al curry (anche questo non molto locale!) e se lo vede arrivare in un improbabile contenitore che e' una noce di cocco svuotata (che cosa c'entri con il pollo al curry o con San Pedro di Atacama bisognerebbe chiederlo al cuoco, ma probabilmente deriva dagli abbondanti funghi allucinogeni che evidentemente il cuoco deve ingerire in quantita'). Lu si diverte un sacco. La mattina dopo, invece di riposare, siamo di nuovo in sella alle nostre fedeli bici: vogliamo assolutamente visitare la valle della Luna. Lo si aspetta di essere catapultato sull'omonimo satellite, perche' sulle Ande aveva gia' visto panorami che sembravano copiati pari pari dalle foto dell'Apollo 17, ma non e' cosi'. A parte qualche scorcio, la valle della Luna non ricorda molto la Luna, ma e' comunque un luogo completamente alieno e sembra di essere sul set di Star Wars. Improbabili canyon scavati nel sale con stranissime stalagtiti e stalagmiti di roccia; goulotte dove colate di sabbia prendono il posto del ghiaccio e della neve; dune liscissime e delicatamente ondulate che sembrano rappresentazioni di funzioni matematiche a 3 dimensioni; coloratissime e ondulatissime creste di colline che unanimemente Lu e Lo decidono essere copiate pari pari dalla casa Batlo' di Gaudi' a Barcellona, oppure dalla cresta di un drago o di uno stegosauro; liscissime e colorate falesie dove uno si aspetta di vedere indiani in agguato pronti a saltare addosso agli sventurati cowboy di passaggio; anche qui l'orizzonte e' immenso e in lontananza tra le guglie della valle della luna spunta l'imponente vulcano Licancabur che domina su tutta la larghissima valle. Lu e Lo scattano foto a manetta, consapevoli che nessuna macchina fotografica potra' dare una pallida idea di tutto cio'. In tutto il parco non c'e' assolutamente nessuno e Lu e Lo devono attendere a lungo per trovare un unico turista che gli faccia la foto, dove sono tutti? Questo e' il posto piu' ovvio da visitare! Viene fuori che le fantozziadi da San Pedro arrivano solo alla sera per via del caldo e quindi i nostri eroi possono aggirarsi ed ammirare i colori e le strutture artistiche naturali tutto il giorno indisturbati. Il caldo si sente, ma e' sopportabilissimo per Lo e fa praticamente freddo per la termofila Lu. Iniziano solo alla sera ad arrivare i pulmini e le macchine in affitto dei turisti, quando noi siamo gia' pronti a tornare a casa. Lo riesce a rendere la giornata piu' interessante decidendo di perdere le chiavi del lucchetto delle bici in mezzo al deserto quando ormai ci stiamo gia' avviando verso San Pedro, e dobbiamo rifare il giro ancora una volta per ritrovarle, nonostante la probabilita' termodinamicamente trascurabile di avere successo in una tale impresa. Eccole! Lo le trova e ha la rivalsa su Lu che dice sempre che lui non osserva niente. Rientriamo al paese (e alle delizie della senora Carmen) totalmente disfatti dalla stanchezza, ma con gli occhi pieni di meraviglie. Il giorno dopo decidiamo di riposare, ma nulla puo' tenere ferma Lu, vediamo la pubblicita' di una fantozziade che pubblicizza un viaggio in bici ad una laguna a "soli" 18 km di distanza e decidiamo di andare a rilassarci sulla riva della laguna. Peccato che la strada di 18 km non appaia nelle nostre scadentissime cartine (possibile che in tutta l'Argentina e Cile non esistano delle cartine geografiche che non sembrano disegnate da un dodicenne con i pastelli a cera tracciando dei segni a caso!?). Quindi partiamo convinti lungo la strada principale e al diciottesimo km di noiosissimo asfalto scopriamo sgomenti che siamo circa a meta' strada per la laguna, e che il resto della strada e' uno sterrato pessimo: ondine e sabbia! Come Dio vuole, dopo aver fatto quello che ci sembra essere 2000km di deserto tutto assolutamente uniforme, finalmente arriviamo alla laguna e sveniamo delicatamente sulla bianca spiaggia di sale. Effettivamente il viaggio ne valeva la pena: ci sono due lagune azzurrissime e bordate di spiagge bianche di sale. Sembra uno scorcio di Seychelles piovuto dal cielo in mezzo al deserto cileno, un contrasto incredibile. Se non ci fosse il Licancabur che occhieggia in lontananza, ci verrebbe il dubbio di essere stati teletrasportati in qualche isola tropicale! Lu e Lo gia' si pregustano il bagno, ma basta infilare i piedi per scoprire che l'acqua e' alla temperatura dell'azoto liquido. Inoltre un, ormai purtroppo familiare, vento polare si alza ben presto e spazza senza mostrare alcuna pieta' l'immensa pianura. Certo non siamo invogliati a fare il bagno. Arriva un rasta che per farsi bello davanti alla sua improbabilmente splendida donna si lancia di getto nell'acqua. E' buffo vedere che non riesce proprio ad andare a fondo: l'acqua (salatissima) ha quasi la densita' del mercurio e il rasta galleggia vistosamente. Lo si sente punto sull'orgoglio e decide che anche lui deve fare il bagno, mentre Lu (che tipicamente non ha problemi a lanciarsi nell'acqua gelata) accampa la scusa che le piaghe al sotto-sedere dovute al sellino si infetterebbero a contatto con l'acqua salata. Effettivamente, e' probabile che le acque siano assolutamente tossiche con sali di litio, potassio, arsenico (e tutto il resto della tavola periodica) come per il mar morto, e forse non e' proprio il caso di farsi il bagno con ferite aperte. Lo opta per la tecnica graduale e riesce piano piano ad immergersi con grande invidia per il rasta che ha esaurito tale temibile tortura in pochi millisecondi tuffandosi di testa. Finalmente anche lui galleggia, ma fa troppo freddo: fuori di corsa. Il costume rimane totalmente rigido di sale e sembra fatto di cartoncino. Grosse croste di sale lo ricoprono da testa a piedi. Per fortuna il ritorno a San Pedro e' meno devastante perche' ora troviamo la famosa strada da 18 km ed e' quasi scorrevole: poche ondine e poca sabbia. La sera decidiamo anche noi di partecipare ad una fantozziade, che si rivela, fortunatamente tutt'altro che una fantozziade: la visita guidata al cielo di Atacama. Un pulmino ci porta fino ad una casa che e' ancora praticamente in citta', ma cionostante il cielo e' scurissimo (non certo come lungo il passo di Jama, ma possiamo decisamente accontentarci!). Un omone entusiasta piu' largo che alto ci illustra con il suo puntatore laser verde il cielo australe e ci fa vedere le sue meraviglie attraverso due bellissimi telescopi amatoriali. Scopriamo cosi' le costellazioni dell'altro emisfero e tutte le ricchezze che esso presenta. Non solo vediamo Saturno e i suoi anelli che da entrambi i telescopi si vedono perfettamente, ma vediamo pure un'altra galassia, la famosissima "sombrero galaxy" che e' visibile (appena appena) solo al telescopio: uno scorcio dell'universo che forse e' il luogo piu' lontano che Lo abbia mai visto ad occhio nudo. Il cielo qui e' talmente luminoso e pieno di stelle che gli antichi andini vedevano le costellazioni non congiungendo le stelle come facciamo noi, bensi' guardando le poche zone scure del cielo. Per loro la costellazione del lama era una nebulosa scura sulla via lattea, ecc. Non solo il cielo e' bellissimo, ma anche l'entusiasmo del nostro largo cicerone e' veramente contagioso. Ci porta anche al piano di sotto dove, dopo un breve rinfresco di biscotti, te' e superalcolici, proietta su una pareta alcune foto spettacolari prese dai telescopi andini: non lontano da qui ci sono i telescopi della rete ESO (European Southern Observatory) che sono i migliori al mondo, escludendo l'Hubble space telescope. Il giorno dopo ci facciamo abbindolare nuovamente da una pubblicita' di fantozziade: pubblicizza i geiser del Tatio, che scopriamo essere dei bellissimi geiser ad "appena" un centinaio di km da San Pedro: che ci vuole?! Scopriremo presto cosa ci vuole!! Secondo la nostra cartina tali geiser sono a 4200m di altitudine (scopriremo dopo che in realta' e' quasi 4400!) e a 90km di distanza. Ingenuamente pensiamo che avremo una salita graduale dai 2400m di San Pedro. Ad un bivio, decidiamo (piu' o meno a caso) di prendere una delle due possibili strade segnate dalle nostre pessime cartine, ma sbagliamo clamorosamente. La strada inizia impietosamente a salire verticale, il fondo stradale peggiora sempre piu', e presto si inizia a spingere le bici cariche su strade verticali che da noi verrebbero classificate free climbing di grado 5a+. Non passa assolutamente nessuno. Ci fermiamo a dormire vicino ad un torrente secco in mezzo al nulla. Ora che sappiamo riconoscere i riferimenti del cielo, ci divertiamo a ritrovarli e a guardarli con lo scassatissimo binocolino di Lo. All'inizio non fa neanche troppo freddo. Cosa c'e' di piu' bello di rintanarsi in un caldo e morbido sacco a pelo, stesi sulla sabbia, guardando con un binocolo un meraviglioso cielo stellato per ore?! Solo l'estrema stanchezza ci fa prendere finalmente sonno e perdiamo conoscenza come se ci avessero anestetizzato. Il giorno dopo purtroppo riprende il vento e la strada continua impietosa a salire! Arriviamo a 4300m e siamo solo a una trentina di km da San Pedro. Iniziamo a disperare di arrivare ai geisers e ormai siamo convinti che abbiamo sbagliato strada: in tutta la giornata non e' passato neanche uno dei pulmini delle fantozziadi che siamo sicuri vanno ai geiser numerosissimi. Abbiamo anche quasi finito l'acqua, nonostante avessimo fatto abbondanti scorte a San Pedro: il paese dove pensavamo di rifornirci d'acqua (segnato su tutte e tre le nostre penosissime mappe) non esiste proprio. Semplicemente, li' dove avrebbe dovuto esserci il paese non c'e' assolutamente nulla, neanche un rudere! Arriviamo ad un altopiano e Lu inizia a dare segni di cedimento. Lo e' preoccupato perche' Lu tipicamente va tranquillamente fino a quando cede di schianto, si siede e decide che non si muove neanche di un micrometro. Qui una situazione del genere non si puo' fare, soprattutto in assenza di acqua. Il vento inizia a prendere forza e presto diventa anche difficile pedalare. Vicino ad un paese completamente abbandonato vediamo che la strada sembra salire all'infinito (scopriremo poi che arriva a 5300m di altitudine) e ci scoraggiamo definitivamente. Lo fa un ultimo tentativo, lasciando Lu a riprendersi un attimo mentre si gode il panorama: va fino in fondo al rettilineo per vedere se per caso ci fosse un bivio (che sembrerebbe ovvio aspettarsi) o almeno un torrente o un accumulo di neve dove prendere l'acqua. Niente! Lu nel frattempo si e' per fortuna ripresa grazie al panorama spettacolare. Domina l'altipiano un altissimo vulcano dal nome buffo quanto volgare, su cui si vede in lontananza la bufera di neve sollevata dal vento. L'altopiano infinito, popolato solo dai vicunas (a parte i pochi ruderi nell'angolino), sembra preso da un altro pianeta. Ciononostante la vegetazione sembra molto rigogliosa, dominata da strani verdissimi cespugli che incuriosiscono molto Lu. Decidiamo che ne abbiamo avuto abbastanza e torniamo a San Pedro, dove scopriremo (guardando google maps dal cellulare) che dal punto dove siamo tornati indietro mancavano solo un paio di km dal bivio che effettivamente avevamo intuito! Inoltre il dislivello era finito: saremmo rimasti piu' o meno alla stessa quota fino ai famosi geisers (e la strada che saliva a 5300 non era da prendere!) Peccato, ma in queste condizioni e' sempre meglio essere conservativi e, viste le informazioni che avevamo sulla strada e l'apparente impossibilita' di fare rifornimento di acqua, la nostra era la sicuramente strategia da tenere. Lu, grandissima, la prende con molta filosofia: decide che comunque ne e' valsa la pena perche' abbiamo attraversato un bellissimo deserto molto diverso da quelli che avevamo visto in Argentina (molto piu' desolato e arido) e perche' l'altopiano del vulcano e il vulcano spazzato dal vento erano veramente spettacolari. A San Pedro perdiamo conoscenza dopo una spettacolare cena dalla senora Carmen che meriterebbe un monumento e una medaglia d'onore per lo strudel. Il giorno dopo, Lu incrollabile vuole visitare altri milioni di posti. Lo si impone: oggi non si muovera' di picometro, che Lu vada pure dove vuole, lui se ne vuole stare tranquillo a recuperare. Lu parte quindi all'esplorazione, fa amicizia con un'improbabile ragazza tedesca che ha un negozio di sapone a San Pedro e visita il museo antropologico e milioni di altri posti interessantissimi, comparendo all'ostello di quando in quando nel disperato quanto vano tentativo di smuovere lo statuario (nel senso di immobile) Lo che si e' avvitato il sedere ad un'incudine da officina e resiste ad ogni tipo di lusinga. Decidiamo che e' ora di tornare in Argentina. Anche se ormai e' solo una domanda accademica, chiediamo se il passo Sico e' stato finalmente riaperto, e il sorpreso doganiere ci guarda come se gli stessimo chiedendo di una strada per Alpha Centauri: certo che e' ancora chiuso il passo Sico, cosa pensavate?! Partiamo quindi nuovamente per il passo di Jama, ma fatto al contrario sembra un altro posto: la prospettiva e' completamente ribaltata. Ad esempio, stavolta l'infinita discesa finale e' una infinita salita: 2400 m di dislivello (da 2450 a 4850) senza soluzione di continuita'. Con le bici stracariche di viveri e acqua, non e' affatto uno scherzo. Il primo giorno riusciamo comunque a farne 1800 prima di svenire delicatamente al lato della strada sotto al vicinissimo Licancabur. Il secondo giorno siamo superaction: passiamo in scioltezza il primo passo godendoci (stavolta ad una distanza di sicurezza) la bellissima Laguna Verde boliviana. Ci fermiamo per il pranzo all'acquitrino dove avevamo dormito all'andata. Visto di giorno e' bellissimo. Siamo supermotivati e si alza anche un po' di vento, finalmente a nostro favore! Decidiamo quindi che cerchiamo di raggiungere il successivo muretto per la notte. Attraversiamo una larghissima valle che all'andata ci eravamo completamente persi per via del vento contrario e del crepuscolo. E' un posto spettacolare, di una bellezza mozzafiato, soprattutto per l'idea di quanto e' totalmente isolato, selvaggio e in mezzo al nulla. In lontananza si vedono delle valli nascoste che vanno verso il nulla piu' totale. Guardando la mappa si vedono buchi bianchi grandi centinaia di km, dove non c'e' assolutamente nulla. Valli, colline e altissime montagne senza soluzione di continuita'. Con l'aiuto del vento a favore, riusciamo anche a fare il secondo passo a 4800 in scioltezza. Questa e' vita!! La strada e' ora stata pulita e vediamo il solco delle scavatrici che hanno sgomberato gli incredibili accumuli da 5 metri: un'opera titanica. La discesa con il vento a favore e' incredibile: a Lo cade l'occhio sul tachimetro e scopre con terrore che sta andando a 87 km/h, quando gli sembrava di stare quasi fermo! Sicuramente ha stabilito il record di velocita' per mountain bike in assetto da spedizione. Anche la prudentissima Lu ferma il "max speed" del suo gps su un rispettabilissimo 60 km/h senza neanche essersi messa il casco. Meglio darsi una regolata: il vento e' ora evidentemente salito parecchio! Ci fermiamo al muretto della laguna e nuovamente montiamo la tenda (per la seconda e ultima volta). La laguna al tramonto e' spettacolare. La mattina dopo Lu, detta occhio di lince, vede un altro fenicottero e scopre anche che la laguna fuma da un angolino. L'intrepido Lo si lancia alla scoperta e trova che effettivamente in un angoletto il ghiaccio e' sciolto e bolle di dubbioso gas sicuramente velenosissimo si sollevano dalla laguna. Sicuramente un effetto geotermico. Arrivati alla frontiera Argentina ci fermiamo allo stesso motel marcio della stazione di servizio, ormai a noi familiare. Il giorno dopo si riparte: ancora il vento a favore ci fa godere il panorama molto piu' che all'andata. Sembra che di qua non siamo passati affatto: colline marziane e il salar sembrano l'ennesimo nuovo panorama da attaversare. Sotto "suggerimento" della perentoria e infaticabile Lu, decidiamo di non tornare fino a Susques, ma di deviare verso sud lungo il bellissimo panorama del salar di Cauchari. Ottima scelta: il salar (lungo cui avevamo gia' fatto decine di km piu' a nord all'andata, a nord e' il salar di Ollaroz) e' uno dei panorami piu' belli che vedremo. Una distesa di sabbia rosa perfettamente liscia, circondata da colline coloratissime. Dal nostro lato le colline sono verdi, scavate dall'acqua che ha portato alla luce la sottostante roccia rossissima. Sembra che un enorme drago abbia dato un'artigliata alla collina che ha iniziato a sanguinare dalle ferite. Le colline dall'altro lato sono invece totalmente rosse di ogni tonalita' dall'ocra a rosso fuoco che viene evidenziato dallo spettacolare tramonto. Ci fermiamo a dormire quando Lo, stremato, si inchioda. Siamo in mezzo al deserto, ma troviamo per fortuna un posto abbastanza riparato. Ci godiamo un meraviglioso riso condito con sgombro direttamente dalla scatoletta e olio extravergine "di Peppino" delle campagne di Lu. Con la nostra fame e davanti ad un tale spettacolo ci sembra un piatto da ristorante a 4 stelle, o forse e' veramente un piatto buonissimo? In ogni caso, e' un'ottima alternativa alla solita polenta istantanea condita con il sugo di pomodoro delle buste knorr che si trovano qui. Nella notte si alza un vento fortissimo e ci svegliamo in mezzo ad una furiosa tempesta di sabbia. Altissime colonne di polvere rosa si sollevano dal salar all'orizzonte, illuminate di lato dalla luce radente della mattina: uno spettacolo della natura di una potenza incredibile, talmente bello da farci quasi dimenticare che la strada di oggi dovra' passare proprio laddove quelle nuvole vengono spinte dal vento! Iniziamo a pedalare e inizia l'incubo. La pedalata e' veramente faticosa all'inizio, finche' il vento e' di traverso. Quando finalmente prendiamo la strada principale (la stessa strada che avremmo dovuto fare scendendo dal passo Sico) speriamo che la situazione migliori con il vento da dietro. Purtroppo il fondo stradale e' patetico: ondine e sabbia profonda. Quasi impossibile procedere. Siamo quasi grati di essere nel pieno di una tempesta di sabbia: almeno ci spinge avanti, perche' pedalare con le bici cariche in queste condizioni e' quasi impossibile. Lu ha la bici ammortizzata, ma la schiena e i muscoli dorsali di Lo risentono ampiamente del dover manovrare il pesante manubrio della sua bici rigida e sovraccarica. La tempesta aumenta di intensita' finche' siamo interamente avvolti da nuvole e nuvole di polvere. La visibilita' e' quasi nulla: per fortuna non c'e' nessuno per la strada tranne noi due che avremmo fatto bene a rimanere a migliaia di km di distanza invece di venire qui a fare gli asini sulle biciclette. Ci fermiamo a prendere un po' di provviste di emergenza ed una bottiglia d'acqua ad un paesino allucinante (Olacapato) in mezzo al nulla. Il vento tiene tutti tappati in casa e sembra uno scenario apocalittico da "the day after". La signora del negozietto e' completamente basita e sembra appena atterrata da un'astronave: non capisce neanche che vogliamo comprare il pane e bisogna ripeterglielo dieci alla ventiquattro volte, "pan" non e' una parola complicata, suvvia! Vivere qui deve essere una sorta di confino volontario. Che posto! Lu e' incrollabile e vuole procedere nonostante tutto. Lo preferirebbe morire delicatamente sul lato delle strada, ma si lascia convincere. Fermarsi a dormire nella tempesta non sarebbe molto gradevole, inoltre, se cadesse il vento, procedere su questa orribile strada il giorno dopo sarebbe una tortura giapponese! Arriviamo finalmente al passo (Alto Chorrillo, 4560 m!) passando attraverso dei panorami bellissimi di valli attraversate da ruscellanti torrenti semigelati, ma non ci godiamo questa pedalata affatto: le condizioni sono veramente estreme. Le bici sorprendentemente sopravvivono senza alcun problema, nonostante l'attraversamento di dune di sabbia che coprono i cerchioni, i colpi secchissimi ricevuti a causa della pessima strada e la continua smerigliatura dalla sabbia che ha ormai quasi cementato ogni parte in movimento. Decidiamo di superare il passo nella speranza (purtroppo vana) che il passo fermi la tempesta di sabbia. Ci fermiamo ad un "paesino" di tre case abbandonate poco oltre il passo, dove dormiamo (si fa per dire) in un rudere senza tetto che ci ripara (piu' o meno) dal vento, ma non dalla sabbia: ad ogni folata di vento arriva una manciata di sabbia direttamente nel naso o nella bocca, come indirizzata con un imbuto. Lu (forse stremata dalla giornata?) dorme come un sasso nonostante il freddo, la sabbia e la quota, ma stavolta Lo non chiude occhio! Il giorno dopo vediamo uno stranissimo animale grigio dalla folta coda pelosa. L'esperta Lu stavolta non si sbilancia e decide che e' genericamente un "mustelide". Oggi (il vento e' calato, meno male) finalmente ci godiamo anche questo tratto di pedalata, intuendo misteriose valli nascoste sotto ad altissimi picchi rosso fuoco. Si arriva a San Antonio de los Cobres e si decide di comune accordo di andare all'albergo super per i turisti occidentali: chissenefrega della scoperta dei costumi locali e del tenere un basso profilo, stavolta vogliamo rilassarci. Un'altra spettacolare cazuela di llama ci cementa lo stomaco e possiamo svenire felici nei comodi letti dopo una fantastica doccia. Addirittura funziona il cesso! La mattina dopo ci accade la colazione migliore del giro: pane caldo, mappazze, croissant dolci e marmellata di pere artigianale in abbondanza. Si decide di andare verso nord per vedere salina grande: dalla ormai proverbialmente scadentissima cartina sembra che la strada costeggi o addirittura attraversi la salina. In realta' passiamo quasi due giorni ad attraversare un deserto stranamente quasi uniforme. La strada e' di nuovo a tratti ondine e sabbia e Lu decide categoricamente che non fara' mai piu' sterrati in vita sua. Dormiamo in mezzo al deserto uniforme vicino al bordo strada. L'indomani finalmente arriviamo alla salina che finora avevamo solo intuito in lontananza. Lu vede una spettacolare laguna azzurra e decidiamo che sara' un ottimo posto per il picnic, ma dopo 5 km durante cui non ci avviciniamo di un picometro, ci rendiamo conto che si tratta di un miraggio! Ci fermiamo quindi in mezzo alla salina a mangiare la nostra mappazza con le alici. Pedalare sulla salina sembra di pedalare sulla neve crostosa. La statale attraversa la salina in un lunghissimo rettilineo e ci fermiamo a comperare l'acqua da un antipaticissimo barista completamente imbacuccato contro il sale (sciarpa sulla bocca che lo copre completamente fino agli occhialoni da sole) alla casa della sal: una casa fatta interamente di mattoni di sale. Perfino le sedie e i tavoli sono fatti di sale! Intorno il sale viene raccolto con enormi ruspe e camion e accumulato in grossissime montagne. Ci fermiamo a dormire nel deserto dopo la salina, ma la strada e' veramente pessima: ci troviamo a spingere la bici sulle dune di sabbia che hanno invaso la strada. Decidiamo quindi di seguire la strada asfaltata per arrivare a Castro Tolay che Simo ci aveva consigliato di visitare. Rimaniamo pero' a dormire su una duna di sabbia e ci barrichiamo con i teli, temendo il vento che si sta alzando, invece abbiamo la notte migliore di tutto il giro, niente vento e soprattutto niente freddo: possiamo goderci lo stellato incredibile senza neanche doverci rintanare nei sacchi a pelo. Decine di stelle cadenti, ma anche dei misteriosissimi satelliti che lampeggiano ritmicamente. Non sono aerei perche' si affievoliscono fino a tramontare andando verso ovest, ma non sono neanche il classico puntino luminoso che si muove nel cielo. Stranissimo. La mattina dopo, arrivati a Castro Tolay vediamo che effettivamente il posto merita: il paesino e' molto carino, anche se pure questo e' poverissimo. Qui pero' sembra molto civilizzato: il parco cittadino con la statua al fondatore, la chiesetta con il cancelletto attorno, la scuola vociante di bambini, dei negozi dove i cani non possono entrare, e addirittura una piccola bibliotechina (chiusa). Il paesino immerso nel deserto (15 km di strada sterrata dalla piu' vicina asfaltata) e' bordato su un lato da una falesia impressionante che si perde all'orizzonte e che lascia cadere enormi blocchi sul deserto sottostante. Un incredibile spettacolo alieno: il paese sembra una colonia perfettamente autosufficiente su un pianeta di una galassia lontana lontana. Lu e Lo, ormai in giro nel deserto da tre giorni pieni, fanno scorta di provviste (comperando i famosissimi mandarini croccanti di Castro Tolay che entreranno nel gergo familiare per il resto dei nostri giorni) e tornano indietro: Lu ha la smania di muoversi e non ha voglia di fermarsi in paese fino alla sera. Si attraversa nuovamente la salina, ma stavolta non ci fermiamo. Ci si ferma poco piu' avanti in mezzo al deserto, godendoci il sole che tramonta sulla salina. Il giorno dopo entriamo nella cuesta del Lipan, senza aspettarci nulla se non una noiosa tappa di trasferimento fino a Pumamarca. In realta' iniziamo lentamente a rifarci gli occhi gia' salendo verso il passo, visto che le montagne iniziano lentamente a colorarsi. Arrivati al passo, ci facciamo una foto in mezzo a incuriositi turisti. Lo clamorosamente vince una pizza quando la quota del passo rimane a 4198, mentre Lu aveva scommesso che sarebbe stata oltre i 4200. Scendendo, appare un enigmatico cartello che dice che la quebrada di Humauaca e' un patrimonio dell'umanita' riconosciuto dall'Unesco. Siamo incuriositi: per ora i panorami, per quanto bellissimi, erano sicuramente paragonabili ad altri che avevamo gia' visto altrove. Piano piano pero' ci ricrediamo, in un crescendo di stupore. Prima qualche montagna leggermente colorata, poi dei solchi coloratissimi, poi montagne sempre piu' colorate in mezzo ad altre normali, poi montagne accesissime in mezzo ad altre colorate, ecc. Il tutto costellato di puntuti cactus in un crescendo di effetti geologici che si puo' solo paragonare ad un esplosione di fuochi d'artificio. Ogni volta che si pensa che sia finito, si gira un tornante e si rimane nuovamente a bocca aperta: magari spunta una intera montagna giallo canarino, oppure una vena di rocce viola acceso su un costone verde. Uno spettacolo incredibilmente bello, soprattutto per noi che non ce lo aspettavamo minimamente. Un crescendo di effetti cromatici e di strutture naturali (canyon profondissimi, guglie aguzzissime, valli e montagne puntute) sempre piu' incredibile. Le guglie sembrano un'altra struttura di Gaudi', prese in prestito dalla Sagrada Familia. Arriviamo a Pumamarca in un'esplosione di colori accesissimi veramente inaspettata e incredibile. Sopra al paese c'e' una collinetta dove sembra che l'arcobaleno si sia cristallizato pietrificandosi nella roccia. Senza volerlo, abbiamo percorso la valle nella direzione corretta: e' praticamente impossibile percorrerla nella direzione che abbiamo fatto noi a meno di non arrivare dal Cile o di non attraversare il deserto con 100km di sterrato (noi abbiamo fatto entrambe le cose), ma l'effetto crescendo si ha scendendo la valle, non salendola da Pumamarca. Lu si mangia le mani fino ai gomiti: la macchina foto ha smesso di funzionare ormai da settimane, e anche il suo telefono cellulare (dopo 4 notti di fila in mezzo al deserto) e' ormai scarico, anche se Lo si da' da fare a cercare di tenerlo in vita con l'attrezzino comperato appositamente in Giappone che usa le batterie caricate ad energia solare dal famoso pannellino di Lo. Senza consultarci, decidiamo autonomamente entrambi che questo e' senz'altro uno dei panorami naturali piu' belli che abbiamo mai visto: l'Unesco aveva ragione. Ci fermiamo ad un'ottima Hosteria, ma il giorno dopo Lu butta giu' il povero Lo a calci dal letto: bisogna rifare (a piedi) tutta la valle, appositamente per rivedere con calma le meraviglie che avevamo intuito dalla bici e fare le foto! Lo si frigge i poveri piedi arrancando dietro alla risoluta Lu che parte spedita e si spara una ventina di km a piedi per rivedere almeno la parte bassa della valle con calma. Lu entra in modalita' naturalista e si studia con gusto e con gridolini eccitati ogni singola pietrina e coccetto. Lo si stende al sole in mezzo al deserto e si mette a ronfare sonoramente. Per il picnic a base di mappazza, ci piazziamo decisi in mezzo ad una distesa di cacti: ahia! Decidiamo di rimanere ancora a Pumamarca un altro giorno: il posto merita sicuramente. La sera siamo a cena all'osteria Entre Amigos, dove il cibo non arriva alle prelibatezze della senora Carmen, ma c'e' l'empanada de llama e soprattutto c'e' la musica dal vivo e la birra artigianale che fanno salire Lu direttamente al Nirvana "senza passare dal via". Il mattino dopo andiamo in bici a Tilcara. Siamo curiosi di vedere se anche la parte principale della quebrada di Humauaca e' cosi' bella come la cuesta del Lipan, ma rimaniamo molto delusi. Le montagne colorate ci sono anche qui, ma sono delle pallide imitazioni dello spettacolo incredibile di Pumamarca. Inoltre la strada del fondo valle e' trafficatissima e le macchine, i tir e i bus ci superano ad altissima velocita' in barba ai ridicoli limiti di velocita'. Arriviamo a Tilcara che e' una citta' completamente caotica come un inferno dantesco di minuscole stradine attraversate da enormi quanto scassatissime macchine. Prendiamo i soldi all'unico bancomat del paese dopo una lunga fila (il bancomat di Pumamarca e' ormai guasto da giorni e non funzionera' per tutta la nostra permanenza, con grande disappunto dei turisti che ormai sono tutti senza soldi!) e scappiamo a gambe levate rientrando immediatamente alla molto piu' gradevole Pumamarca. Lu si dirige verso il mercato del paesino e si studia i maglioni di lana da acquistare. Dopo ci dirigiamo verso il Camino Colorado, il sentiero che attraversa le coloratissime montagne e colline appena sopra al paese. Lo spettacolo e' incredibile: sembra che le montagne siano state pitturate con colori vivissimi e Lu e Lo vagano nel deserto fino al tramonto e alla, ormai scontata, empanada di Entre Amigos. Il giorno dopo Lu non resiste e si deve comperare due maglioni, ma non abbiamo abbastanza soldi argentini: il bancomat e' ancora guasto. Per fortuna trova una bancarella dove sono ben contenti di accettare un pagamento in euro: scopriremo che l'inflazione e' molto alta e quindi le monete straniere sono molto diffuse. Il viaggio sembrerebbe concluso e pensiamo di avere solo due giorni di puro trasferimento per rientrare a Salta. In realta' solo il primo giorno si rivelera' effettivamente un giorno di tappa di trasferimento abbastanza noioso (e anche bruttino quando si tratta di attraversare San Salvador de Jujuy). Arriviamo stremati ad El Carmen dove troviamo sorprendentemente un Hostal veramente carino di un ospitale e sorridente argentino con nonno siciliano. Il giorno dopo abbiamo una piacevolissima sorpresa. La strada piu' breve per Salta e' una microscopica stradina di montagna dove due macchine fanno fatica a passare affiancate. Quindi tutto il traffico passa per l'autostrada e ci troviamo a fare una gradevolissima pedalata in una foresta subtropicale dove non passa quasi nessuno (e i pochi veicoli che passano devono andare piano) e la strada e bordeggiata da piante stranissime. Addirittura c'e' un albero che vive in simbiosi con una specie di palma che gli cresce sui rami! La pedalata nella foresta e' veramente gradevole e costeggiamo anche dei bellissimi laghi: sembra un panorama uscito da una cartolina dell'Africa. Effettivamente la latitudine e l'altitudine a cui siamo sono quelle tipiche dell'Africa! Simo ci dira' che qui vivono dei pitoni da 5 metri, ma non ne vediamo neanche uno, peccato. Arrivando a Salta incontriamo una sagra di paese dove buffi cowboys cercano di prendere al lazo dei vitelli. Lu si ferma da un venditore ambulante a mangiare la sua prelibatezza preferita sulla strada: una specie di piadina (farina e acqua) molto spessa e farcita di prosciutto e formaggio, cucinata alla brace sulla griglia. La signora che ce lo vende orgogliosa rimane a bocca aperta per la risposta di Lu alla sua ingenua domanda "Da dove venite?" Un cane randagio si materializza e immediatamente si siede educatamente fissando la piadina di Lu con uno sguardo piu' intenso di quello della Gioconda di Leonardo, cercando di impietosirla per farsene lanciare un pezzo. Fa clamorosamente finta di non accorgersi che e' evidente che Lu non ha la piu' pallida intenzione di condividere la sua amatissima piadina: e' gia' tanto se getta qualche scarto di crosta (dove non c'e' ne' prosciutto ne' formaggio) all'affamato consorte. L'episodio del cane immediatamente entra di diritto nel lessico familiare! Ultima pedalata nella periferia di Salta e finalmente siamo di nuovo al Palacio Escondido dove la signora ciarliera puo' sfogarsi con Lu mentre Lo stolidamente dimentica tutto il suo spagnolo in modo da poter smontare le bici in tranquillita'. Fine del viaggio in bici. L'odometer del gps si ferma a 1650km, anche se i km percorsi qui hanno veramente poco significato, vista l'eterogeneita' delle condizioni della strada e i dislivelli. Festeggiamo con un gelato (stranamente ottimo) al centro di Salta, seguito dal museo di archeologia d'alta quota, dove vediamo la mummia di una bambina inca, sacrificio umano, trovata sulla cima di un vulcano a oltre 6000 m di altitudine. Nel museo ci sono anche altre 2 mummie di bambini (ma se ne puo' vedere solo una per volta) con tutti i loro elegantissimi corredini. E' impressionante che la bimba aveva il cranio conico: ai bambini nobili inca veniva messo un cappuccio stretto in modo da fargli venire la testa a punta. Ora ci attende solo l'interminabile viaggio intercontinentale fino alla nostra casetta di Pavia, ma tutto scorre liscissimo stavolta: riusciamo pure a montare (5 minuti netti) la bici di Lo alla stazione di Pavia, cosi' lui puo' pedalare fino a casa e possiamo fare un solo viaggio in macchina con la sola bici di Lu. Concludiamo finalmente il viaggio con un piattazzo di trofie al pesto che Lu si sognava da settimane. Addio Ande!!