Lo in Japan 2013
OSAKA, 8-9 Agosto,
HIROSHIMA 10-14 Agosto 2013
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Lo in Giappone ancora una volta! Stavolta direttamente da Benasque, o
meglio, da Barcellona. Quando arriva sull'aereo e' talmente stanco che
riesce a dormire quasi tutto il viaggio, fantastico! All'arrivo a
Osaka, un brutto risveglio: tutte le carte di credito e i bancomat
(italiani e americani) non funzionano! Dopo aver provato 43 bancomat
che assicurano tutti di lavorare con Visa e Maestro, Lo si
arrende... Per fortuna nel portafoglio ha ancora 20 euro avanzati da
Barcellona, speriamo che bastino ad arrivare alla conferenza. Ecco il
primo incontro con l'inflessibilita' giapponese. Per cambiare 20 euro
bisogna dichiarare l'albergo dove uno risiede e Lo non ha nessuna
voglia di tirare fuori il computer e cercare il nome
dell'albergo. L'omino del cambio e' molto deferente con continui
inchini, ma categorico: senza albergo niente cambio. Lo alla fine si
inventa un nome e l'omino e' finalmente sollevato dal suo
evidentissimo imbarazzo nel dover essere deferente e categorico al
tempo stesso! Ora finalmente si puo' iniziare il complicatissimo
viaggio per arrivare alla conferenza. Per fortuna le istruzioni sono
dettagliatissime: treno, metropolitana, monorotaia, altra monorotaia e
poi un chilometro a piedi con cartine via via piu' dettagliate. Lo e'
esterrefatto: la citta' sembra non finire mai e quello che si
aspettava fosse un piccolo trasferimento diventa un viaggio di quasi
due ore durante cui attraversa da cima a fondo tutta l'enorme
citta'. Scoprira' poi che Osaka e' la seconda citta' del Giappone dopo
Tokyo. Il treno e' pieno di piccole iconcine buffe di bimbi che si
schiacciano le manine perche' le hanno messe troppo vicine alle
porte. Il gusto giapponese per i manga e' molto spiccato. Lo fa
amicizia con un ragazzo inglese dello Yorkshire che e' in transito per
la Nuova Zelanda e ha deciso di fare un salto in citta': e'
completamente spaesato poverino e chiede informazioni a Lo, come se Lo
potesse dire qualcosa di sensato, dopo un volo intercontinentale in
una citta' in cui non ha messo mai piede e di cui non riesce neanche a
interpretare l'alfabeto!!! Si arriva alla metropolitana e Lo riesce,
con l'aiuto di un commesso gentile a decifrare l'astruso modo di
acquistare biglietti. Incredibile come si riesca a comunicare
nonostante la totale assenza di un linguaggio comune. Finalmente il
capolinea della metro, si passa alla monorotaia. Si attraversa un
enorme shopping center dove un signore batte su un tamburo, mentre una
scimmietta vestita va a raccogliere i soldi dei passanti. La
monorotaia da' un po' l'effetto di tecnologia retro-futuristica o
antiquariato dal futuro: e' chiaro che e' stata costruita molto tempo
fa e Lo si ricorda il suo abecedario delle elementari dove la
monorotaia veniva presentata come il treno del futuro: magari si
riferiva proprio alla monorotaia di Osaka! La monorotaia su cui corre
il treno e' altissima sul piano stradale, proprio come le figure del
suo libro. Ormai siamo alla periferia nord della citta' e lontano tra
gli alberi si intravede una struttura incredibile, un'enorme stella
bianca e azzurra. Sembra la testa di un robottone stile Mazinga Zeta
che e' stato abbattuto ed e' crollato a terra. Piu' tardi Lo scoprira'
che e' una struttura costruita per una fiera universale di molti anni
fa. Finalmente si esce dalla monorotaia e Lo suppone che il viaggio
(iniziato a Benasque 35 ore prima!) sia finito. Povero illuso:
quell'unico chilometro a piedi e' la parte piu' dura di tutto e Lo
suda circa 24 litri ad una temperatura di 36 gradi con l'80% di
umidita', o giu' di li'. Arrivato alla conferenza deve fiondarsi in un
bagno per cambiarsi praticamente tutto (vorrebbe cambiarsi pure le
mutande)! Viene accolto dal gentilissimo Masazumi che gli ha
organizzato il viaggio impeccabilmente. Entra nella sala conferenza
accolto dall'indispensabile aria condizionata. Ecco Holger, il tedesco
ormai trapiantato qui, che l'ha invitato in Giappone! Il pranzo e'
servito in una sala riunioni molto elegante. Prima di entrare bisogna
togliersi le scarpe e mettersi le ciabatte giapponesi. Lo, che ha
tenuto gli scarponi per 40 ore di fila teme di ammazzare tutti gli
esimi colleghi. Meno male che si era cambiato le scarpe (scarpe
eleganti da conferenza in Giappone) e le calze nel bagno appena
arrivato e i suoi piedi sono quasi accettabili. Carlota, una spagnola
di Barcellona che lavora a Stoccolma, confusa dagli interruttori del
bagno (con etichette solo in giapponese) fa partire un allarme. I
Giapponesi assistono basiti: nessuno sa come spegnere l'allarme e ci
sorbiremo tutto il pranzo con sottofondo di sirena (per fortuna nel
corridoio) e luce lampeggiante rossa. Chissa' cosa dovrebbe succedere
se ci fosse un'emergenza vera? Tutti i conferenzieri stranieri
(Spagna, Italia, USA, Canada) sono molto confusi su come bisogna
comportarsi. Chiaramente qui siamo proprio in un altra cultura,
completamente aliena. Fortunatamente i giapponesi sono molto
tolleranti degli infiniti errori di etichetta che sicuramente facciamo
e continueremo a fare. E' incredibile come, nonostante le
profondissime differenze culturali, di lingua e perfino di alfabeto,
comunichiamo quasi senza problemi finche' si tratta di discutere di
fisica: e' proprio vero che la scienza ha un linguaggio universale. Ci
sediamo nella sala conferenze che affaccia sulla bellissima foresta di
bambu' (prima che fosse costruito, tutta l'area era coperta di
bambu'). Ciascun conferenziere ha un bellissimo bento-box che e' una
scatola nera di legno al cui interno ci sono milioni di piccoli
bocconcini ognuno nel suo piccolo scompartimento. Alcuni sono
veramente ottimi. Naturalmente, in Giappone, l'aspetto del cibo conta
quasi quanto il sapore e tutto e' servito in modo molto elegante. Si
mangia solo con le bacchette e Lo preferirebbe dover risolvere,
bendato, un cubo di Rubik quadridimensionale. Pero' se la cava ancora
bene, nonostante la ruggine. Bisogna avere un po' di pazienza e almeno
si mangia con calma. E' buffo che noi invited speakers e tutti gli
organizzatori della conferenza sono trattati come dei re, ma gli
studenti e i conferenzieri non invitati vengono liquidati senza troppi
complimenti: andate a mangiare alla mensa oppure cercatevi un
ristorante! Forse e' un sintomo della verticalita' della societa'
giapponese? Alla sera c'e' subito la conference dinner, ma questa
volta e' per tutti i conferenzieri. Attraversiamo il campus e la
passeggiata e' quasi gradevole, ma neanche alla sera non si riesce a
stare all'esterno per piu' di pochi minuti. Si va al 15esimo piano
dell'edificio principale dell'universita', dove c'e' un elegante
ristorante "italiano". Si inizia con un brindisi, dove Teich, un
voluminoso professore della Boston university viene obbligato (in
quanto keynote speaker) a fare un discorso formale che precede il
"kampai!", cioe' il brindisi. Lo non lo vedeva dai tempi di Boston, ma
lui si rivela molto affettuoso e lo saluta calorosamente. Tutti gli
invited speakers vengono invitati a fare anche loro un breve discorso
in un ordine gerarchico che probabilmente deve essere stato studiato
con molta attenzione e deve aver causato non pochi grattacapi allo
spumeggiante Shige che e' il simpatico organizzatore locale (ma ha
detto Holger che ha fatto quasi tutto lui e il suo gruppo). Per il
brindisi c'e' la scelta tra birra, sake', vino, aranciata e
l'immancabile te'. Lo commette l'errore clamoroso di brindare con il
vino che sa ancora di succo d'uva! Vabbe' tutto sommato e'
bevibile. La cena e' a buffet e ci sono un sacco di cose molto buone
compresa una specie di interpretazione degli spaghetti al ragu' fatti
con qualcosa che assomiglia solo lontanamente alla pasta (sono udon o
noodles?), ma e' buona. La specialita' di Hiroshima, che Holger
consiglia caldamente, sono delle specie di pallette marroni. L'aspetto
e' veramente poco invitante e Lo aveva saltato, ma chiaramente non si
puo' ignorare la specialita' locale e, incoraggiato da Holger, Lo
assaggia timoroso: ha ragione Holger! Il sapore e' molto buono: sono
una specie di palla di farina e uovo che racchiude un cuore di polipo
o altro mollusco. Lo si riempie prontamente il piatto. La cena e' gia'
finita alle 20 (iniziata alle 18!) Meno male, Lo probabilmente avrebbe
problemi a reggere al jet lag ancora a lungo. Veniamo caricati (solo
gli invited speaker, naturalmente) su eleganti taxi neri guidati da
compassati guidatori in guanti bianchi e veniamo accompagnati al
nostro albergo. Per fortuna la carta di credito miracolosamente inizia
a funzionare e Lo non deve dormire sotto il cavalcavia di fronte. Per
evitare di cedere ad andare a letto troppo presto, Lo si fa una
passeggiata e scopre di essere di fronte alla piazza dove c'era la
scimmietta quella mattina. Molti dei negozi sono ancora aperti. Lo
entra in un enorme supermercato di elettronica per comprare l'ebook
reader per Lu, ma deve arrendersi: il supermercato e' enorme e i
commessi non spiccicano una singola parola di inglese. Questo e' un
negozio di elettronica piccolo, sono solo 5 o 6 piani da 1000 metri
quadrati ciascuno. Lo scoprira' a Hiroshima quali sono i negozi
"grandi". I supermercati giapponesi sono molto buffi: entri e vieni
bombardato da una cacofonia di suoni impossibile. Su molti scaffali
c'e' una piccola televisione dove una pubblicita' per qualcuno dei
prodotti sullo scaffale viene strillata da persone allegre nello
schermo. Tutti i prodotti che possono fare un qualche rumore
(telefoni, televisori, computers, ecc.) fanno i loro versi in
continuazione a tutto volume. Considerato che perfino gli ascensori in
Giappone hanno una vocina che ti dice il piano, praticamente tutti gli
elettrodomestici parlano. La confusione e' indescrivibile. Dopo 15
minuti Lo vorrebbe avere un mazzapicchio da 10 chili per mettere a
tacere tutto e tutti. I commessi di questi negozi devono avere nervi
d'acciaio: proprio dei veri discendenti dei samurai. Il giorno dopo la
conferenza finisce gia', dura solo due giorni. Lo riesce a salutare lo
spumeggiante e rotondeggiante Yutaka, giapponese molto atipico per la
sua espansivita' e sempre molto allegro. Era stato un suo collega a
Boston l'ultimo anno che Lo era stato li'. Fa piacere vederlo e lui
ricorda che Lu l'aveva mazzolato per qualche motivo: che sorpresa!
SuperLu non si smentisce. La sera siamo invitati al ristorante per lo
shabu-shabu, anche se in teoria la conferenza e' gia' finita. Lu e Lo
erano stati a mangiare lo shabu-shabu a Boston, accompagnati dalla
nostra amica giapponese Kay e suo marito Jim, e Lo e' curioso di
provare il "vero" shabu-shabu. Il ristorante e' chiaramente
elegantissimo. Le cameriere, molto carine, vestono i kimono. Dice
Holger che l'apparenza inganna: e' tutt'altro che un abito semplice da
indossare e la complicata cintura e' impossibile da indossare senza
l'aiuto di un'altra persona. Bisogna anche qui togliersi le scarpe e
sedersi sui cuscini appoggiati per terra (sui tatami). Naturalmente
tutto il pasto (tranne la minestra) va mangiato con le bacchette!
Iniziamo subito a pasteggiare a sake' (molto buono, ricorda un po' la
vodka polacca, speriamo non abbia lo stesso effetto a sorpresa!) e
l'allegria aumenta visibilmente. La cena e' un trionfo di cucina
giapponese: mangiamo 1213 portate minuscole, ciascuna presentata con
grande eleganza, ciascuna nel suo particolare piatto, ciotola o
bacinella. Ad un certo punto arriva lo shabu-shabu: ognuno ha davanti
una vaschetta d'acqua, sotto cui le cameriere accendono un fuocherello
dando fuoco ad una specie di pastiglia di paraffina. Ben presto
l'acqua bolle e mettiamo a cuocere la verdura e la carne. Specialmente
la carne e' molto buona. I giapponesi apprezzano molto il taglio: per
poter tagliare la carne cosi' sottile, bisogna essere estremamente
abili e loro sono pronti ad ammirare l'abilita', qualunque sia
l'ambito in cui tale abilita' si manifesta. Nella nostra cultura piu'
pragmatica, avremmo semplicemente usato un'affettatrice, ma Lo non si
azzarda neanche a chiedere perche' non usano un tale strumento:
probabilmente questa domanda apparentemente innocua potrebbe essere
un'offesa mortale per il povero chef che avra' passato 10 anni della
sua vita ad allenarsi a tagliare la carne in modo "perfetto"! La cena
e' molto lunga e quasi tutti i piatti sono veramente ottimi, con
sapori stranissimi. Chiude la cena una specie di dolce fatto di tofu,
il "formaggio" di soia locale. Teich, deve anche oggi fare un discorso
per il kampai e sussurra sotto i denti a Lo che ha le ginocchia
distrutte per lo stare accovacciato! Il giorno dopo Holger e Lo vanno
a Hiroshima assieme. Prendono lo Shinkansen, il treno superveloce
giapponese. La locomotiva elegantissima sembra uscita da un manga o
direttamente dal set di Star Wars. Il viaggio e' molto gradevole e il
GPS di Lo segna 297 Km/h per gran parte del tragitto. Il cambio di
treni e' molto buffo, la coincidenza e' di 3 o 4 minuti, ma la cosa
non sembra turbare nessuno. I treni spaccano il secondo! A Hiroshima,
viene Masataka a prenderci alla stazione. E' un giovane collega di
Holger, molto entusiasta che dirige un laboratorio di ottica
quantistica. E' molto simpatico e in gamba: ci tiene molto a mostrare
i suoi esperimenti. Anzi, ci tiene a far spiegare i suoi esperimenti
ai suoi giovani studenti che cosi' si allenano a parlare inglese, cosa
di cui hanno effettivamente un disperato bisogno. Il suo studente
Riugi (la "R" iniziale va pronunciata come un misto di "r", "d" e "v",
spiega Holger con naturalezza, come se la cosa fosse possibile) non sa
spiccicare una parola ed e' imbarazzatissimo. Lo teme che compia un
gesto inconsulto, ma lui prende il suo tremendo imbarazzo con una
divertente autoironia. Se Lo capisce qualcosa dell'esperimento, e'
solo grazie alle integrazioni del capace Masataka! La sera Masataka ci
tiene molto a portare Lo a cena fuori. Per l'occasione viene cooptato
l'imbarazzato Riugi che pero' assorbe bene il colpo e da' addirittura
l'impressione di divertirsi. C'e' anche un altro studente che parla
inglese molto meglio. La cena si svolge in un bar della citta' ed e'
fatta di solo cose fritte. Tutto fritto dall'inizio alla fine: pesci,
tofu, carne, bacon, verdure. Il tutto accompagnato da una teoria di
bottiglie di Sake'. Lo dorme nel faculty club del campus, una
struttura estremamente elegante che affaccia su un enorme lago che
domina il campus, dove era gia' stato la volta scorsa. Lo decide,
ahime', di fare una corsa anche se deve per forza correre con gli
scarponi per mancanza di meglio. Dopo mezz'ora ha sudato circa dieci
litri, anche se ormai e' buio. Deve stendere tutti i vestiti fuori
dalla finestra ad asciugare. In stanza bisogna dormire di necessita'
con l'aria condizionata accesa per evitare di transire allo stato
liquido o gassoso durante la notte. Il giorno dopo per pranzo si va a
mangiare alla mensa: dopo la lunga discussione di fisica della mattina
ci voleva proprio. La mensa e' sorprendentemente buona e molto
economica: si mangia Soba, una specie di piatto di spaghetti di riso
(?) freddo che bisogna intingere in una ciotola di delicata minestra
fredda: molto rinfrescante, anche se pescare gli spaghetti dalla
minestra con le bacchette non e' l'attivita' piu' semplice del
pianeta. Perche' non e' cosi' anche la mensa di Pavia, mannaggia?! La
sera Holger decide che e' una buona occasione per fare un'uscita di
gruppo e una serie di vocianti studenti giapponesi (ma anche un
cinese, un coreano e un malesiano che ci raggiunge solo dopo per via
del ramadan) si dirige a piedi fino al ristorante: in questo modo
tutti possono pasteggiare con il sake', non solo quelli che non
guidano. La serata e' molto gradevole e a poco a poco gli studenti si
sciolgono e iniziano a fare domande a Lo su un po' tutto, a partire
dalla fisica per arrivare alla bellezza delle ragazze australiane:
Riugi ha vinto una borsa di studio per un viaggio in Australia
(condizionato al migliorare il suo inglese, anzi il suo non-inglese) e
sembra molto interessato a questo particolare, che sicuramente e'
molto piu' importante di tutta la fisica messa insieme! La cena
sembra non finire mai: il cameriere continua a portare portate su
portate. Alla 15esima portata non e' neanche piu' divertente e Lo non
ne puo' piu' di cibo, per fortuna sono piatti comuni e gli studenti
sono forzati a finire tutto dallo spumeggiante Masataka! La cena
finisce allegramente alle 23. Lo si offre di pagare una buona fetta
della cena, ma chiaramente ha commesso una gaffe e Masataka sembra
dispiaciuto. L'indomani infatti restituira' a Lo buona parte dei
soldi. Holger spiega che c'e' un'etichetta particolare per dividere i
soldi della cena: in Italia con la divisione "alla romana" la facciamo
troppo semplice! Qui ciascuno deve mettere una quota proporzionale al
proprio "rango". Dice Holger che in teoria quindi lui avrebbe dovuto
mettere una quota piu' grande, ma alla fine Lo, Masataka e Holger
fanno parti uguali e gli studenti mettono una quota piu' piccola. La
cena e' stata molto gradevole, anche se la stanchezza di Lo si sta
accumulando (due congressi di fila forse e' un po' eccessivo!) Il
giorno dopo Lo deve dare il suo seminario all'universita' di Hiroshima
e gli studenti del gruppo di Holger sembrano seguire con attenzione,
tranne Riugi che probabilmente ha passato il resto della notte a
continuare i folleggiamenti e si addormenta clamorosamente! Masataka
fa un sacco di domande e il seminario termina con una interessante
discussione. Ora si visita nuovamente il suo laboratorio dove viene
mostrato un nuovo esperimento. Lo studente di oggi e' molto meno
imbranato e quasi riesce a spiegare l'esperimento da solo: questo e'
veramente un esperimento molto elegante e Lo fa i complimenti a Holger
e Masataka (nonche' allo studente). Il giorno dopo, e' sabato:
finalmente sono finiti gli impegni di lavoro. Sotto consiglio di
Holger, Lo si dirige a Miyajima in treno+traghetto. Si parte con
l'autobus urbano dall'universita', ma e' difficilissimo capire come
funziona! Bisogna prendere un biglietto di carta con un numero da una
macchinetta all'ingresso. Arrivati alla fermata giusta, bisogna
guardare su un monitor il prezzo corrispondente al numero sul proprio
biglietto e mettere le monetine in un contamonete davanti al
guidatore: un sistema complicatissimo che funziona solo grazie
all'efficientissima elettronica giapponese. Lo ci arriva solo perche'
una signora impietosita gli mette in mano il bigliettino preso dalla
macchinetta: i grugniti del guidatore non erano stati finora di molto
aiuto e l'autobus era bloccato in attesa che Lo riuscisse a trovare il
benedettissimo bigliettino che esce da un'apertura seminascosta! Alla
stazione si parte subito: gli autobus urbani, puntualissimi come i
treni, sono in coincidenza con i treni! Dal treno, Lo spia la campagna
e poi la citta' di Hiroshima. Le case di campagna sono proprio quelle
dei cartoni animati: i tetti curvi a punta e i pannelli scorrevoli al
posto delle porte. Ovunque ci sono microscopici campi di riso. In
citta' prevalgono le casette monofamiliari, anche se ci sono diversi
condomini e anche molti palazzi. Le strade sono piccole, le macchine
sono piccole, tutto e' piccolo. Le macchie di colore sono le "bending
machine" (come scrivono qui, forse e' vero che la "v" e la "b" sono
intercambiabili) che vendono incredibili intrugli di bevande. Miyajima
e' un'isola con dei bellissimi templi. La sua caratteristica
principale e' che il tempio piu' importante e' costruito sopra alla
spiaggia (su delle palafitte) e viene completamente allagato durante
l'alta marea. Lo e' molto curioso: come sara'? Scendendo dal
traghetto, si viene accolti da una serie di cartelli (anche in inglese
per fortuna) che avvisano i turisti dei cervi "selvatici" che ti
portano via il cibo e possono addirittura diventare aggressivi: e'
severamente vietato cibare i cervi. Cervi aggressivi!? In effetti il
parchetto davanti allo sbarco e' pieno di cervi e i maschi hanno
imponenti corna: certamente non vogliamo farli arrabbiare! Sono tutti
molto mansueti. Lo si avvicina e ne accarezza uno, ma a quello delle
sue carezze non gliene frega niente: e' chiaro che vuole del cibo! Lo
si avvia sul lungomare verso la zona dei templi, se non ci fossero 85
gradi all'ombra sarebbe anche gradevole! Il viale e' fiancheggiato da
enormi lanterne di pietra. Fanno la guardia delle enormi statue di
leoni (?) molto arcigni. Sotto uno dei leoni, un costume da samurai
con una serie di katane sono a disposizione dei turisti che si
divertono a farsi fotografare vestiti da samurai con un improbabile
elmo con una specie di antenna sopra. Il rosso portale del tempio e'
in mezzo al mare: infatti siamo praticamente al picco di alta
marea. Lo si dirige al primo tempio, in cima ad una salitina. Un bimbo
sta cercando di avvicinarsi di soppiatto ad un cucciolo di cervo che
sembra bambi e che fa finta di niente (o forse sta facendo "hiding"?)
L'imponente tempio di legno grezzo e' fiancheggiato da una
impressionante pagoda a 5 piani. Come al solito e' sempre buffa la
punta delle pagode: sembra un'improbabile antenna per comunicare con
qualche avamposto alieno su Marte. Bisogna togliersi le scarpe per
entrare nel tempio, ma per fortuna al tempio mancano le pareti e
sembra l'unico punto ventilato di tutta l'isola: Lo, che per
l'escursione ha ritirato fuori i suoi fedeli scarponi, riesce ad
evitare di ammazzare qualcuno... Il tempio contiene molti artefatti
curiosi, inclusa un enorme guscio di tartaruga marina appeso ad un
architrave. In un angolo una teca contiene due antiche barche: sono
delle minuscole barchette o degli enormi modelli? Si opta per la
seconda, ma il dubbio rimane. Non ci sono muri e la brezza bollente
offre un minimo di "refrigerio". In assenza dei muri, appesi al
soffitto ci sono molti dipinti e soprattutto molte scritte in
giapponese. Probabilmente sono dei capolavori di calligrafia, ma il
buzzurro Lo non puo' ne' accorgersene ne' goderne neanche sotto la
minaccia di un mitra. Tocca ora al tempio piu' famoso, quello
costruito sull'acqua. Qui bisogna pagare l'ingresso a dei monaci con
vistosi costumi bianchi dai pantaloni a sgonfietto verde pisello. Uno
esibisce con orgoglio un cappello nero a forma di pinna di squalo. Se
non fossero serissimi monaci scintoisti, sembrerebbero usciti da un
circo. Chissa' se le stole dei nostri preti fanno lo stesso effetto ai
giapponesi? All'ingresso ci sono delle fontanelle e Lo ne approfitta
per rinfrescarsi la faccia, ma nota gli sguardi incuriositi degli
astanti: ha sicuramente commesso l'ennesima gaffe. Infatti, scopre
piu' tardi che bisogna seguire uno specifico rito prima di entrare nel
tempio: prendere la paletta di bambu', riempirla d'acqua alla fontana,
lavarsi la mano sinistra, lavarsi la bocca, e poi far scorrere l'acqua
avanzata sulla mano destra e sul manico della paletta per purificare
pure il manico! Certo che un rituale cosi' complicato non puo' essere
indovinato, cosa pretendono, uffa! E' l'ora dell'alta marea ed e'
probabilmente il momento migliore di visitare il tempio, come
testimoniano i continui scatti di macchine fotografiche di ogni
tipo. Il tempio e' colorato di un allegro rosso e ci sono una serie di
camminamenti coperti che collegano i numerosissimi edifici che sono
tutti sospesi sull'acqua: tra le palafitte un granchietto si da un
gran daffare a portarsi dei pezzetti di cibo alla bocca. Lo dimentica
per un attimo il contesto e rimane affascinato ad osservare il
granchio. Sembra un misto tra un robot e un extraterrestre, mentre con
le chele afferra e porta alla bocca, afferra e porta alla bocca. In un
gabbiotto, un monaco riceve dei libricini dai fedeli e con un pennello
scrive elegantemente delle parole, intingendo il pennello in una
ciotola rettangolare di china. Ogni tanto prende una saponetta di
inchiostro solido e lo sfrega nella ciotola. Dopo passa il libretto ad
un altro monaco che con grande cura mette un enorme timbro rosso sulle
parole e restituisce il libretto al fedele in cambio di alcune
monete. Lo rimane affascinato a guardare lo scriba che con enorme cura
traccia questi segni misteriosi. C'e' un pontile che si affaccia verso
il portale in mezzo al mare, guardato da feroci leoni con la coda
fiammeggiante. Alcuni fedeli pregano nel tempio principale: monetina,
preghiera, battito di mani, monetina, preghiera, battito di mani. Dopo
il tempio acquatico, Lo si dirige verso il parco per il picnic. Fa una
breve deviazione per entrare nel bosco: e' curioso di entrare in un
bosco giapponese perche' volando sul Giappone si vede che le citta'
sono densissime e i boschi e le montagne sono completamente
disabitati: non solo non ci sono case, ma sembra che non ci siano
neanche strade sterrate o sentieri. Di notte sulle montagne non c'e'
neanche una singola luce, anche se in pianura sembra una distesa
solida di luce. Chissa' perche'? Lo lo scopre subito: si tratta
praticamente di una foresta sub-tropicale (il suo gps segna 34 gradi
di latitudine) ed e' chiaro che qualunque sentiero non battuto
verrebbe ricoperto di vegetazione nel giro di pochissimo tempo. La
foresta e' un denso bosco e molto disagevole. Lo prova a seguire un
vecchio sentiero, ma il sentiero si perde immediatamente: meglio
tornare sulla strada principale. Arrivato al parco, si trova da solo,
forse per il caldo insopportabile? Tutti i turisti sono rimasti vicino
ai templi. Gli unici astanti sono un paio di cervi, ma questi sono
meno addomesticati di quelli del porto e non si avvicinano. Uno dei
cervi ha un enorme cornacchia appollaiata sulla schiena: sembrano due
vecchi amici che guardano con curiosita' Lo. Questi goffamente
inciampa e mette in fuga la cornacchia e il cervo. Peccato, altro che
la grazia di Biancaneve! Finalmente il picnic, su un tavolo
all'ombra. Non che l'ombra serva a qualcosa: si continua
abbondantemente a sudare anche stando fermi! Ieri al supermercato Lo
si era comperato due oninidi: sono dei triangolini di riso pressato
con dentro vari possibili condimenti, avvolti in un foglio di
alghe. Lo si era fatto ridere dietro da una imbarazzatissima signora
alla quale aveva chiesto di tradurre i geroglifici: nonostante
l'imbarazzo, la signora aveva capito! Effettivamente Lo e' riuscito
ad acquistare l'oninidi al salmone. E' molto buono, ma la cosa piu'
divertente e' che sono incartati in modo estremamente elaborato, quasi
un origami. Riuscire ad aprirli senza rovinarli e' un'impresa che
richiede un PhD in topologia geometrica. Finiti gli oninidi Lo
commette un clamoroso errore tattico: un cartello avverte che il
sentiero fino alla cima della montagna e' molto duro e faticoso. Come
evitare la sfida? "Fatica" non inizia neanche a descrivere la tortura
giapponese a cui Lo si deve sottoporre. Ci saranno 40 gradi all'ombra
con 80% di umidita'. Quella misera passeggiata di 200m di dislivello
su sentiero pavimentato risultera' l'escursione piu' estrema di tutta
la sua vita. Il sudore scorre a fiumi. Con sorpresa Lo vede che
addirittura ha due macchie di sudore sulle ginocchia dei pantaloni!!
La maglietta e' ben presto zuppa e i pantaloni pure. Le mutande sono
una specie di spugna intrisa di acqua salata che iniziano a segare
l'inguine di Lo fino alle ascelle. Inizialmente un ruscello scorre a
fianco al sentiero e Lo si ferma ripetutamente a mettere la testa
nell'acqua, ma ben presto anche quell'apparente quanto inutile
sollievo cessa e il sentiero inizia a salire impietosamente verticale
su dei gradini di pietra. Il bosco e' molto interessante ed e' chiaro
che l'isola e' un luogo di culto. Ogni roccia interessante, ogni
albero grande ha una statuetta di qualche santo (?) su cui i fedeli
hanno lasciato una monetina (monetina-preghiera-battitodimani). La
passeggiata sarebbe veramente gradevole se ci fossero 30 gradi
centigradi in meno e Lo assiste stupito alla discesa di un paio di
gruppi di giapponesi tutto sommato abbastanza freschi: che siano dei
super-eroi? Solo dopo scoprira' che c'e' una funivia per arrivare in
cima alla montagna, cosi' non vale!! Nessuno, a parte Lo che ha
commesso un evidente errore tattico, sale a piedi. Comunque, dopo un
po' Lo arriva al passo e inizia ad aprirsi un meraviglioso panorama:
ne valeva la pena dopo tutto. Finalmente in cima con il vapore che
esce dalle orecchie si vede tutta la baia di Hiroshima: il panorama
merita veramente, anche se tutti i turisti arrivati in funivia tolgono
un po' il gusto della vittoria. Lo si cimenta in una arrampicata per
arrivare sulla roccia piu' alta. In lontanza si vede la citta' di
Hiroshima, e Lo non puo' fare a meno di pensare che cosa si deve
essere visto da qui il giorno in cui fu sganciata la bomba atomica. La
discesa e' un po' meno massacrante della salita, ma i vestiti marci
sono proprio fastidiosi. Si scende da un percorso diverso, dominato da
una cascata che sembra presa da un film del Vietnam. Al fondo del
sentiero, Lo stremato arriva ad un altro tempio. Sembra molto
interessante e non riesce a resistere alla tentazione di visitarlo,
anche se, ahime', bisogna salire una lunghissima scalinata con al
centro dei curiosi rulli di metallo sul corrimano: mentre si sale o si
scende, bisogna farli ruotare con una mano. E' un tempio buddista, ed
e' molto piu' simpatico del piu' famoso tempio scintoista visitato
prima. Ci sono molte statue di animaletti del bosco che porgono dei
vasi, sembrano piu' consone alla sezione della bella addormentata a
Disneyland. Ai bordi del tempio c'e' un improbabile statua verde di
cartapesta che rappresenta un grassissimo furetto o volpe, accanto ad
una enorme testa di legno sferica e rossa di un ciccione dal diametro
di un metro: sarebbe difficile immaginarsi un paio di oggetti meno
improbabili. Un altro angolo contiene i resti di un falo':
evidentemente e' usato per bruciare le tavolette rituali dove i fedeli
scrivono le loro preghiere. Lo si avventa su una "bending" machine e
si scola (anzi si inala da una narice) una bottiglia d'acqua senza
neanche prendere fiato. Uno dei templi contiene un enorme esercito di
statuette di legno alte una ventina di cm. Saranno 4000 tutte
assolutamente identiche: fanno la guardia ad una specie di altare
centrale. Per entrare nel tempio principale bisogna nuovamente
togliersi le scarpe. Lo ora e' seriamente preoccupato di far cadere le
papille olfattive ai presenti e di uccidere tutta la fauna dell'isola,
ma per fortuna ci sono solo due ragazze che stanno pregando
intensamente e/o fanno finta di niente. Il tempio e' pieno di
tesori. Molti quadri bellissimi (un quadro di una cascata notturna:
rapide pennellate bianche in uno sfondo nero), un cristallo di quarzo
trasparente alto mezzo metro, una elegantissima stautetta fatta da una
sfera sorretta da uno stelo affusolato. In un angolo c'e' un altare
dedicato al Dalai Lama che e' ritratto sorridente in un paio di
fotografie. E' molto bella come "foto ufficiale": effettivamente
irradia serenita' perche' sembra un benevolo nonno che ti guarda con
affetto. La parte piu' bella del tempio pero' e' sicuramente il
giardino. In cima alla scala c'e' una campana appesa dentro ad una
impalcatura, proprio come nei film e nei cartoni animati: i turisti si
divertono a suonarla con sonori gong. Sotto ad una scala c'e' il
giardino delle statue: si inizia con statuette di bambini ciccioni
molto buffe e poi ci sono centinaia di statuette alte mezzo metro di
compassate persone con grosse orecchie (sono tutti dei Buddah?). Sono
tutte diverse le une dalle altre: ognuno fa qualcosa di
diverso. Fiancheggiano il sentiero nel parco e lungo la discesa hanno
tutti dei buffi cappellini di lana colorati, tutti diversi l'uno
dall'altro. A Lo il solo pensiero di un cappello di lana fa venire una
sincope da ipertermia, ma per fortuna il cielo si e' annuvolato e
inizia a tuonare. Se anche iniziasse a piovere, poco male: piu'
bagnati di cosi' e' impossibile, a meno di finire in fondo all'oceano
pacifico. Di nuovo Lo arriva al mare e vede i cervi "selvatici", di
cui non c'era alcuna traccia in tutta la foresta. Uno particolarmente
intraprendente infila il naso nella tasca di un compassato signore che
si prende un mezzo infarto, un altro sta leccando con gusto un
bicchiere di plastica ai piedi di un signore in carrozzella. Poveri
cervi, fanno un po' pena, sembrano aver perso ogni segno della loro
compassata regalita'. Ora la marea si e' abbassata notevolmente: il
tempio e' rimasto all'asciutto e ormai la spiaggia arriva quasi al
portale. Lo, assieme ad altre 10000 persone vi si avvicina. Tutti si
fanno fare le foto e alcuni temerari si tolgono le scarpe per passarci
sotto. La marea e' notevole: il segno dell'acqua e' quasi all'altezza
della testa di Lo e non siamo ancora alla bassa marea. Lo decide che
e' ora di tornare a casa e si dirige al porto ma passando per la
cittadina di Miyajima. Le strade sono pedonali e molto graziose con le
casette tipiche, peccato che e' una teoria continua di negozi per
turisti. Lo decide di fermarsi a Hiroshima per cercare il lettore di
ebook per Lu, ma anche per evitare di beccarsi una broncopolmonite
virulenta e purulenta: tale epilogo sarebbe certo se dovesse passare
un'ora nel treno completamente fradicio di sudore con l'aria
condizionata a -10. Ad Hiroshima, Lo, ancora non pago del disastro,
decide di andare a piedi al negozio di elettronica che gli aveva
indicato Holger. Nel giro di dieci minuti e' nuovamente marcio, anche
se ormai e' sera e la temperatura e' scesa. Purtroppo e' aumentata
l'umidita' che ormai condensa spontaneamente. Infatti, ben presto
inizia un temporale tropicale con fiumi di pioggia improvvisa. Lo, in
uno stato patetico, tira fuori il gore-tex che si era portato in caso
di pioggia, ma si rende conto che non ha senso metterlo sulla
maglietta fradicia di sudore-pioggia: si denuda in mezzo alla strada
con grande scandalo dei compassati giapponesi che non suderebbero
neanche a fare una passeggiata sulla faccia esposta al sole del
pianeta Mercurio. Sotto la pioggia, Lo sbaglia clamorosamente strada,
ma questo e' un bene, perche' arriva alla capitale di tutti i negozi
di elettronica: due edifici affiancati di nove piani ciascuno dove si
vende solo roba elettronica: dal puntatore laser, al saldatore, alle
celle fotovoltaiche, agli impianti stereo da audiofili. Qualunque cosa
abbia elettroni che scorrono al suo interno per conduzione elettrica
si puo', qui, trovare in vendita! Lo rapidamente trova il lettore
ebook per Lu, ma e' difficile capire le caratteristiche: tra i 2100
che lavorano qui non c'e' un solo commesso che spiccichi una parola in
inglese!!! Una commessa gentilissima si da' da fare con il suo
elaboratissimo smartphone. Un po' a gesti, un po' scrivendo (per
fortuna usano gli stessi nostri numeri!) e un po' con il traduttore ci
si accorda per il lettore. Lo poi passa religiosamente in rassegna
tutti e 20 i piani (ce ne sono anche un paio sotterranei!), trovando
cose che neanche immaginava potessero esistere. Purtroppo anche qui
non trova tutto quello che vorrebbe, ma ne esce soddisfatto e con il
portafogli di molto alleggerito! E' ora di tornare a casa: Lo e' in
uno stato pietoso e non vorrebbe essere arrestato per accattonaggio.
Arrivato alla guest house si butta nella doccia senza quasi togliersi
i vestiti. Il giorno dopo e' il giorno della partenza, ma l'aereo
parte alle 1930, quindi c'e' tutto il tempo per visitare la citta' di
Hiroshima, tanto, nelle parole di Holger, c'e' da vedere solo il punto
dell'esplosione nucleare, non c'e' nient'altro visto che la citta' e'
stata completamente rasa al suolo da quell'evento. Stavolta Lo prende
il tram per arrivare al parco della pace, ma bastano 300m appena sceso
dal tram per termalizzare nuovamente alla temperatura del nucleo di
una supernova. Lo attraversa il famoso ponte a "T" che era stato usato
dai piloti come bersaglio per lo sgancio della bomba e si trova sotto
alla famosa cupola di Hiroshima, che e' il simbolo dell'era delle armi
nucleari. Fa molto effetto vedere con quale cura e' stato
preservato. Addirittura sono state lasciate le macerie cadute dai
cornicioni: fa impressione vedere una casa diroccata, ma
"perfetta". In pieno stile giapponese, anche le macerie sono curate
nei minimi dettagli. Dopo la guerra era stata lasciata in piedi solo
perche' era troppo difficile da demolire. Poi ci fu un grande
dibattito se abbatterla (i sostenitori dicevano che era solo un
ricordo triste) oppure se lasciarla in piedi come simbolo. Per fortuna
ha prevalso la seconda opzione, ed e' diventato un simbolo molto
potente che tutto il mondo ora conosce. E' stato eletto come monumento
dell'Unesco e, con una punta di polemica, un cartello ricorda che gli
Stati Uniti e la Cina hanno votato contro. Inizia un viaggio nel tempo
tristissimo. Anche se la cupola e' la cosa piu' famosa, e' sicuramente
la meno triste, forse perche' e' cosi' familiare. A un centinaio metri
di distanza c'e' un cippo di marmo che ricorda l'epicentro, in mezzo a
due grattacieli e ad un parcheggio. La bomba e' scoppiata a 600 metri
di quota proprio qui sopra, ma quello che fa impressione e' la statua
di un Buddah dedicata alla cura dei bimbi o qualcosa del genere 40
metri piu' in la': la bomba atomica ha lasciato il segno dell'ombra
della statua sul suo pedestallo. La pietra e' stata cotta dal calore
dell'esplosione che qui ha raggiunto i 3000-4000 gradi centigradi. Sul
pedistallo della statua sono state incollate delle tegole cotte
dall'esplosione che probabilmente sono tutto cio' che rimane del
tempio dove si trovava la statua. Come molte altre statue giapponesi,
anche questo buddah e' stato rivestito da un vestitino rosso, ma qui
fa molta piu' tenerezza del solito: quali sofferenze ha visto questa
statua! Il parco e' costellato di memento che tutte le citta' del
mondo hanno donato a Hiroshima, alcuni di buon gusto, altri meno. Il
parco e' molto elegante. Il centro e' una specie di arco allungato da
cui si vede la cupola che spunta in mezzo agli alberi. L'arco e'
evidentemente una specie di cappella, e molte persone si fermano a
pregare a farsi la foto. C'e' anche un'anziana signora che forse ha
vissuto questi eventi in prima persona: chissa' se ha perso qualche
caro qui? Lo si dirige al museo, anche per scampare alla
calura. Sicuramente e' il museo piu' triste che si sia mai visto. Il
contrasto con il museo della bomba atomica di Los Alamos e' cosi'
stridente che fa quasi male: laddove li' si celebrava tale strumento
di morte, qui si fa vedere quali sono le conseguenze. Non c'e' dubbio
su quale sia il messaggio piu' forte. Persino il muro del museo di Los
Alamos che era stato dedicato alle vittime (dopo le proteste ricevute)
ha un messaggio che non e' lontanamente paragonabile. Il museo e' a
pagamento, ma e' una quota simbolica: 50 yen, cioe' circa 40
centesimi. E' ovvio che i giapponesi, giustamente, ci tengono a fare
in modo che il messaggio che questo museo comunica arrivi ovunque. Il
museo inizia un po' sottotono, con la storia di Hiroshima. Poi
iniziano i reperti che fanno via via salire il groppo alla gola in un
abile crescendo di tristezza. Si parte dalla storia della citta', si
passa alla lettera firmata da Einstein che convinse il presidente
degli USA ad avviare la costruzione della bomba e tutta una serie di
documenti di guerra. Fa impressione una serie di documenti che
dimostrano che gli USA avevano impedito che le citta' predestinate al
bombardamento nucleare fossero bombardate da bombardieri
convenzionali: volevano studiare l'effetto del bombardamento
nucleare. Che razza di esperimento. Ovviamente la gente di queste
citta' era molto tranquilla e quel giorno proprio non si aspettava
nessuna sorpresa: stavano tranquillamente facendo le cose che la gente
fa tutti i giorni. La banca stava per aprire e i bambini stavano
andando a scuola. Un orologio da polso in una teca e' fermo alle 8:15,
il momento dell'esplosione. Segue poi una sezione sui vari tipi di
bombe nucleari. La bomba atomica a fissione e' un petardo se
confrontata alla bomba a fusione di idrogeno: la piu' potente mai
detonata e' alcune MIGLIAIA di volte piu' potente. A Hiroshima ci sono
stati 280.000 morti. Chissa' se e' stato un bene che sia stata usata
la bomba qui, prima che la tecnologia delle bombe a fusione fosse
pronta?! Naturalmente, questa e' una mia riflessione, non certo il
messaggio del museo, ma se la bomba di Hiroshima ha ucciso la gente in
un raggio di pochi chilometri (3-5), la bomba a idrogeno ha ucciso
(durante un test nel pacifico del sud) alcuni pescatori che si
trovavano per sbaglio su una barca a 150 CHILOMETRI di distanza. La
fortissima (giustificatissima) reazione che Hiroshima ha suscitato ha
per fortuna impedito che bombe nucleari venissero usate nei conflitti
successivi quando una simile esplosione avrebbe avuto conseguenze ben
piu' catastrofiche, per quanto impossibile possa sembrare! Ormai le
generazioni che hanno vissuto in prima persona questi episodi stanno
scomparendo, e' importantissimo che non passi questo sdegno. Questo
museo ha veramente un ruolo cruciale in cio'. Finora il museo e' stato
solo informativo, come qualunque altro museo, ma la carcassa di un
cavallo imbalsamato con i segni delle radiazioni fa capire che ora si
cambia tono. Si entra in un'altra sala attraverso un corridoio fatto a
forma di macerie: dai buchi nei muri si vedono le scene della citta'
distrutta, prese da vecchie foto. Girato l'angolo si vedono dei
manichini con pezzi di vestiti e di pelle che cade. Sembra una scena
di pessimo gusto, ma serve a preparare alla terribile sala successiva,
dove alcune teche che contengono i vestiti dei bambini uccisi. Non
solo ci sono i vestitini tutti bruciati, ma c'e' il nome e cognome e
la storia dei bimbi che quel giorno li indossavano. C'e' una
sottoveste annerita di una bimba con la spiegazione che se l'era
cucita da sola. La scarpetta di un'altra bimba (nome e cognome) che
aveva un buco che lei aveva rattoppato con della carta. I pantaloncini
di un bimbo sono tutti bruciati sulle coscie. C'e' anche la gavetta
con il pranzo di un bimbo, tutta mezza fusa e con il pranzo
carbonizzato ancora dentro: la mamma l'aveva trovata sotto il corpo
carbonizzato del figlio. Fa un'impressione fortissima pensare a questa
mamma che gli prepara il pranzo, e dopo poche ore quel rimasuglio
carbonizzato e' tutto cio' che le rimane del figlio: solo il pensiero
che lei l'ha conservato per decenni e' una testimonianza
fortissima. In un'altra teca ci sono degli occhiali con le lenti fuse
dal calore. La didascalia racconta la storia della proprietaria: una
signora gentile che abitava li' e che non se li toglieva mai. Nella
sala successiva hanno portato gli scalini della banca: una persona che
stava aspettando che la banca aprisse e' stata letteralmente
vaporizzata. Tutto cio' che rimane e' un'ombra stampata dal fuoco
nucleare sui gradini. Naturalmente nessuno ha mai potuto sapere di chi
si tratta, ma molti hanno suggerito che potesse essere un loro
familiare che quel giorno doveva recarsi in banca. Poco distante ci
sono delle sezioni dei piloni del ponte a "T" che non e' crollato, ma
e' stato deformato in maniera impressionante dalla forza
dell'esplosione. In mezzo a tutta questa tristezza c'e' anche un'opera
d'arte spontanea: la bomba ha scoperchiato una casa e la pioggia nera
radioattiva successiva all'esplosione ha segnato con lunghe lacrime
nere il muro bianco. E' anche questo un messaggio
potentissimo. Purtroppo le conseguenze dell'esplosione si ebbero anche
a distanza di decenni. Forse la testimonianza piu' triste di tutto il
museo e' la storia di una bimba, Sadako, che sopravisse all'esplosione
avvenuta quando lei aveva due anni. Una decina di anni dopo, quando
era un'adolescente piena di vita e amante dello sport si ammalo' di
leucemia. Qualcuno le aveva detto che alla millesima gru di origami un
suo desiderio sarebbe stato esaudito, e al museo hanno raccolto alcuni
delle suoe mille gru, ma il suo desiderio non e' stato esaudito ed e'
morta. Lo si commuove veramente a leggere di questa storia sotto una
teca piena di delicati gru di origami colorati. Una gru di carta
colorata contro l'arma piu' potente della storia. Eppure e' chiaro
quale dei due trasmette il messaggio piu' forte: stranezze della
psiche umana... Non si puo' parlare in termini astratti della bomba
atomica: si tratta di persone con un nome e un cognome e una storia,
bambini di due anni, bambine di 13 che si erano cucite il vestitino da
sole, bimbi che andavano a scuola con il cibo preparato dalla
mamma. Dopo queste storie cosi' tristi, i soliti oggetti fusi
(bottiglie, monete, statue, tegole) che tanto avevano impressionato Lo
quando li aveva visti da piccolo al museo dell'ONU a New York non
vengono quasi notati. Ci sono perfino delle mattonelle cotte dal fuoco
nucleare che si possono toccare per vedere come la loro consistenza
sia stata alterata. Il museo e' un colpo veramente forte e Lo deve
sedersi un attimo per riprendersi. Dopo c'e' un mausoleo delle
vittime: contiene un mosaico della citta' distrutta composta di 280000
mattonelline (una per ogni morto), per dare un'idea di quante sono. Le
mattonelline sono delle tessere di un mosaico e riempiono un'intera
parete circolare molto alta con un diametro di 50 m: veramente
impressionante. Anche qui si punta tutto sull'evitare la
spersonalizzazione: in un angolo su una serie di monitor scorrono le
immagini delle persone uccise con foto, nome cognome. Una percentuale
molto alta sono bambini, molti neonati con foto sgranate, altri
adolescenti che guardano la telecamera con fierezza... Uscendo dal
mausoleo su una parete hanno messo una stratigrafia del terreno che
hanno ottenuto scavando per creare il mausoleo che e' sotterraneo. Si
vedono tutti gli strati storici dell'occupazione della citta'. C'e' un
evidente strato di detriti anneriti che si riferisce al giorno
dell'esplosione nucleare: il tempo seppellisce, ma i segni in
profondita' rimangono. Lo compra una sciarpa della pace per Lu: a lei
piacciono tanto le sciarpe e dopo tutta questa tristezza e' importante
avere un minimo di speranza per il futuro. Lo esce dal parco e si
reimmette nella caotica via cittadina: la vita continua per fortuna,
ed e' giusto cosi'. La citta' sembra essersi ripresa completamente dal
suo terribile passato. Una via pedonale coperta e' piena di
negozi. Davanti ad un negozio di telefoni un supereroe uscito da un
manga fa pubblicita' ai telefoni. Passa una sfilata di gente con
palloncini gialli preceduta da una allegra e vociante ragazza: un
signore ha in testa un'enorme testa a pallone che e' l'evidente
caricatura di qualcuno: che sia una sfilata a favore di qualche
politico locale? Sembra una scena importata pari pari dal Messico! Lo
entra in un famigerato Pacinko parlor, dove giapponesi inebetiti
guardano delle palline d'acciaio che cadono lungo una specie di
percorso stile flipper. A differenza del flipper, non pare che qui si
possa influenzare la traiettoria delle pallette piu' di tanto: c'e'
un'unica manopola che pero' non viene praticamente toccata. La musica
(anzi la cacofonia di centinaia di macchinette sommata alla fortissima
musica giapponese/tecno) e' assordante. Un campione locale ha i tappi
per le orecchie e siede trionfante su una serie enorme di cesti di
sfere di accaio. Lo riesce a resistere per ben 30 secondi prima di
scappare a gambe levate, pensando a Giulio che non riusciva neanche ad
avvicinarsi ai Pacinko parlor: per lui erano la "morte
dell'illuminismo". Se Lu si inorridisce per le slot machines dei bar
della Duchessa, ad entrare in un Pacinko le verrebbe un sintomo! Lo
entra in un altro negozio di elettronica e acquista le ultime cose che
gli servivano (cuffiette nuove e microfono per il computer, chissa' se
ora finalmente si riesce a comunicare via skype con Lu?!). E' ormai
ora di partire e Lo si dirige all'aereoporto di Hiroshima sperduto in
mezzo alle montagne. La fine della pista di atterraggio e' su una
specie di cavalcavia, in Giappone bisogna sfruttare ogni singolo
spazietto. Decollo, finalmente: che viaggio! Breve, ma emotivamente
molto intenso!