Lu & Lo in Iceland
Islanda, Westfjords, 8-28 giugno 2014:
1305 km di pedalata nei fiordi.
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Diario di viaggio
"Lo, perche' quest'anno non andiamo in
Islanda?" "Ma Lu, piove sempre!" "Ma va, ti prometto solennemente che
se andiamo a giugno piove solo un giorno su tre!!!!". Lo si fa
convincere facilmente, ma le promesse di Lu... Si parte con procedura
ormai collaudata: macchina piena di bici con scatoloni fino alla
stazione, Lu rimane di guardia, Lo torna a casa a posare la
macchina. Ora abbiamo imparato la lezione e quest'anno partiamo con
largo anticipo. Riusciamo addirittura a prendere il treno prima e
presto siamo a Malpensa, fossero tutte cosi' facili le nostre
partenze! Riusciamo pure a fare un paio di telefonate a qualche amico
invidioso. A Malpensa sembra sia esplosa una bomba di neutroni, ed e'
completamente deserta perche' il nostro e' probabilmente l'ultimo volo
della giornata. Lu, che voleva prendere un panino si deve accontentare
di un pacchetto di patatine muffite da un distributore e promette
incandescenti lettere di protesta al presidente del mondo per
lamentarsi di tale scandalo! Il contrasto con l'aereoporto di
Reykjavik, dove riuscira' a fare colazione alle 3 di notte e'
piuttosto stridente in effetti. Devastati dalla settimana, riusciamo a
guadagnare preziose ore di sonno in aereo, ma osserviamo incuriositi
dal finestrino le prime scogliere islandesi alla splendida luce
soffusa della "notte" artica all'atterraggio. Il panorama della tundra
e' interrotto solo da conici vulcani e da immensi campi di lava
coperti di muschio. Neanche un albero degno di tal nome in tutta
l'isola! Abbiamo guadagnato due ore di fuso orario e qui sono solo le
due di notte. Ci azzeriamo su una scomodissima panchina
dell'aereoporto per sonnecchiare ancora un po', ma ben presto il
richiamo della strada si fa sentire. Ci mettiamo a spacchettare le
bici davanti al terminal (un minaccioso cartello vieta di farlo
dentro, evidentemente ne hanno abbastanza di peones come noi). Lu
immediatamente fa conoscenza con un gruppo di tre barcellonesi che
stanno montando anche loro le bici e sfoggia il suo impeccabile
spagnolo, mentre un basitissimo Lo cerca assonnatamente di avvitare
tutti i portapacchi correttamente. Lu guadagna un'informazione
preziosissima: a 5 km dall'aereoporto c'e' una guesthouse ("Alex") che
per un prezzo nominale conserva gli scatoloni delle bici! Questo ci
risparmiera' non pochi grattacapi. Purtroppo, nonostante sia il primo
edificio che si incontra dall'aereoporto, 5km con due scatoloni
sottobraccio non sono pochi, ma Lo (che a Santiago ne aveva fatti
circa 25 attraversando favelas e autostrada) non si fa certo
spaventare! Finalmente le bici sono montate e i bagagli sistemati:
tutto pronto? Partenza!!! NO! Lu ha forato, non e' possibile, non
abbiamo neanche fatto un nanometro di strada! Eppure e' cosi': camera
d'aria demolita, da sostituire prima ancora della partenza. Mollati
gli scatoloni dalla locanda Alex ci avviamo lungo la strada costiera
(evitando accuratamente l'"autostrada" per Reykjavik). E' ancora
prestissimo e la giornata e' spettacolare e immediatamente stiamo
pedalando in mezzo al nulla su una stretta stradina che si snoda in
mezzo ad un campo di lava. Lu e' in pieno entusiasmo da viaggio e
vorrebbe fermarsi a fotografare ogni uccello nuovo, piantina e stelo
di muschio, nonche' tutti i sassi del campo di lava uno per uno. Ci
fermiamo a fare colazione: biscotti grancerealefavedicacao
illegalmente importati, naturalmente (dovremmo centellinare questa
preziosa risorsa, ma vengono aspirati alla frequenza del
gigahertz). Vediamo una stranissima bestia che attraversa la strada:
un incrocio tra una volpe, una puzzola e un gatto. Cosa sara' mai? In
breve arriviamo a Reykjavik dove ci immettiamo nella spettacolare rete
di piste ciclabili. Lu fa amicizia con una coppia di islandesi
tatticissimi sulle loro bici. E' in totale paranoia per aver gia'
perso una camera d'aria e chiede disperata aiuto per trovare un
negozio per rimpiazzarla, ma oggi e' il weekend di pentecoste ed e'
tutto assolutamente chiuso, forse anche le chiese! Sono veramente
gentili e ci lasciano il loro indirizzo di casa se vogliamo passare a
prendere una camera d'aria da loro. Soprassediamo, ma Lu rimane in
PTSD (post-traumatic stress disorder) e comprera' una camera d'aria ad
ogni posto dove ne troveremo: Lo finira' il giro con una delle borse
piena a meta' di camere d'aria di ogni marca e misura. Ci fermiamo a
fare pranzo (acquistato in un marcissimo supermarket aperto nonostante
la festivita') su una scogliera del parco di Reykjavik: si sta proprio
bene oggi. Lo vorrebbe un po' di svacco, ma Lu sente la strada
chiamarci e presto lo pungola all'azione. Dopo una breve sosta al
centro di Reykjavik (no, non ci sono negozi di camere d'aria qui), ci
dirigiamo verso la parte opposta della citta', sempre seguendo
l'ottima rete di piste ciclabili. Intravediamo la citta' che e' molto
carina: ci vivono ben 2/3 dei 350 mila islandesi. In tutta l'Islanda
c'e' la stessa popolazione di Bari! Attraversato un ponte solo per le
bici, ci troviamo di nuovo in mezzo alla campagna. Inizia a diventare
difficile seguire le piste ciclabili (le indicazioni stradali sono
solo sulle strade carrozzabili), ma l'abilissima Lu riesce a circuire
un pancione che sta pedalando assieme alla moglie: non solo ci da'
dettagliatissime istruzioni, ma si incarica di mostrarci la strada e
si lancia con inaspettata agilita' sulla sua elegante bici imboccando
a tutta birra stradine microscopiche e noi dietro sovraccarichi. Che
insolita carovana: sembriamo dei panzer che tentano di inseguire una
Ferrari. Stiamo pedalando da tutta la giornata (siamo partiti
prestissimo!) e 85 km carichi e senza nessun allenamento si sentono!
"Lu, tutto bene?", "Si' certo continuiamo per altri 30 km!", ma dopo 5
minuti Lu esplode: "Fermiamoci qui!" Tipico!! Per fortuna si
materializza dal nulla il camping comunale di Mosfelbaer e ci fermiamo
grati. Come da tradizione, invece di montare la tenda, stendiamo un
telo e ci svacchiamo all'addiaccio. Poveri illusi: impareremo presto
il rischio che abbiamo corso, ma per stanotte ci va bene per fortuna!
Si sta proprio bene e usiamo il binocolo Swaroski di Lu (costato un
intero suo stipendio e occupante ben meta' di una sua borsa Ortlieb)
per guardare il fiordo sotto. Ben presto collassiamo nei sacchi a
pelo. Il giorno dopo partenza di buon'ora (stiamo ancora adattandoci
al fuso). In mezzo al nulla troviamo una pesa per i camion e proviamo
incuriositi. Lo perde tutti i suoi (pochi) rimanenti capelli quando il
display si ferma su 120 kg! E' vero che oggi e' ben carico e ha anche
un bel po' d'acqua, pero' 50 kg tra bici e bagagli non e' uno
scherzo... Speriamo che ci sia un errore di arrotondamento verso
l'alto e non verso il basso. Lu si ferma ad un piu' ragionevole 100
kg, ma considerato che sia lei che la sua bici sono piu' leggere di Lo
e la sua bici, anche il suo bagaglio e' ragguardevole! La giornata e'
gia' meno spettacolare e iniziamo a vedere le macchine che vengono in
senso opposto tutte bagnate. Lo, preoccupato, chiede a un tizio che
scende da un SUV ad una stazione di servizio (pausa caffe' per Lu e
acquisto prima camera d'aria) se piu' avanti piove. Lui se la ride di
gusto e dice di non preoccuparsi: effettivamente la pioggia e'
leggerissima, e chiedere a uno se piove in Islanda e' equivalente a
chiedere ad un italiano se c'e' aria da respirare a Roma. La strada
principale passa da una galleria vietata alle bici che taglia un
fiordo e ne approfittiamo per seguire tutto il fiordo: il traffico
scende praticamente a zero. Inizia la natura per cui siamo venuti fino
a qui. I fiordi sono spettacolari con le loro nere scogliere e verdi
prati. Le "montagne" sono ripidi pendii che portano a piatti altipiani
verdi di prati oppure rocciosi. La strada e' un nastro grigio che
cerca di passare tra il mare e i pendii. Vediamo la prima cascata
vicino a dei ruderi di un antico villaggio vichingo. Certo che avevano
buon gusto questi vichinghi, ma scopriremo che questa cascata e'
patetica per gli standard islandesi. Procediamo fino ad Hvalfjordur,
dove una stazione di servizio fa anche da microscopico museo delle
balene. Scopriamo con sgomento che qui c'era una fiorente industria
baleniera e ancora oggi uccidono una balena ogni tanto, anche se
praticamente gli unici che le mangiano sono i turisti! (Troveremo una
pubblicita' di un ristorante di carne di balena sulla cartina di
Reykjavik!) Nella stazione ci sono pezzi di balena e alcuni filmati
d'epoca in cui si vedono microscopici omini che sbuzzano e affettano
enormi balene. Lu non riesce a guardare e Lo rimane piuttosto
stomacato. Il campeggio e' chiuso (per fortuna perche' in un paese di
tre case, tre, il campeggio e' stato costruito esattamente sulla
strada principale!), ma vediamo una deviazione verso una chiesetta in
mezzo al nulla e decidiamo che il parroco non obiettera' se noi
piantiamo la tenda li' vicino, anche perche' non c'e' nessun parroco
visto che ci saranno 10 abitanti in tutto il paese. Lu mette a frutto
la sua specializzazione, studiando tutta la vegetazione e scegliendo
il posto con quella piu' arida, ed effettivamente dormiremo
all'asciutto anche se inizia a piovere: il terreno in quel punto drena
perfettamente. Oggi e' il caso di montare la tenda, ma il panorama sul
fiordo e' comunque spettacolare se si dorme con la tenda aperta. Tanto
qui c'e' luce 24 ore al giorno! Il giorno dopo colazione alla stazione
di servizio/museo e poi salita verticale su strada sterrata circondata
da profumatissimi fiori viola che sembrano la pianta principale
islandese. Lu ha visto una deviazione all'interno che ci evita un po'
di strada, ed e' un'ottima idea: vediamo un assaggio dell'interno
dell'Islanda. Costeggiamo un lago e arriviamo ad un passo piuttosto
alto, circondato da vette basse ma comunque maestose e ancora piene di
neve e cascate: passiamo anche accanto ad una puntuta montagna che
sembra una presa in giro del Cervino. Una ripida discesa su sterrato
(dove Lo sovraccarico brucia il suo record di velocita' in fuoristrada
al costo di rischiare 18 vertebre cervicali) ci riporta al livello del
mare lungo il successivo fiordo. Procediamo fino a Borgarnes dove Lu
si vuole fermare al posto turistico e facciamo un ottimo pranzo in un
ristorante dove, poveri ignari, ci offrono il buffet nonostante sia
chiaro che siamo affamati ciclisti. Il buffet si trasforma
immediatamente in abbuffet e gli spazziamo via tutto con gusto. C'e'
perfino il wireless e Lo deve rispondere a dei mail urgenti mentre Lu
si fa un giro al (noiosissimo) museo. Se e' noioso per Lu,
probabilmente Lo sarebbe mummificato a impedenza infinita, che rischio
che ha corso ma le mail lo salvano. Rapida spesa al supermercato
(seconda camera d'aria) e via di nuovo: la strada ci chiama. Oggi c'e'
di nuovo il sole e la pedalata e' gradevole, ma d'improvviso inizia
qualche goccia di pioggia. Proseguiamo ignorandole, cosa sara' mai
qualche pioggia con il sole, ma nel giro di tre minuti, tre, inizia
uno scroscio in cui l'acqua scende a secchiate. Non c'e' neanche il
tempo di recuperare le giacche a vento o di mettere via la macchina
foto che siamo in pieno diluvio universale ed e' a tal punto
impossibile aprire le borse senza che si riempiano immediatamente. La
macchina foto viene salvata da un provvidenziale sacchetto di plastica
e noi pellegrini ci facciamo una (effettivamente necessaria) doccia
totale. Ci laviamo a tal punto che pure i pantaloncini da bici di Lo
(che gia' necessitavano di una lavata) sono come nuovi. Lo non tanto,
e si congela delicatamente. Pedaliamo vigorosamente per asciugarci ed
effettivamente il sottotuta di lana merinos di Lo e' all'altezza del
suo potenziale: si asciuga rapidamente e mantiene Lo caldo anche da
fracico. Anche gli ottimi pantaloncini da bici di Lu della Gore sono
all'altezza della situazione, mentre i pessimi pantaloni sottomarca di
Lo fanno schifo, ma almeno ora sono puliti. Siamo in una zona di
fattorie lungo il mare e chiediamo ad una fattoria persa in fondo alla
strada se possiamo accamparci sulla loro spiaggetta. Un bimbo biondo
chiama la sorella bionda che chiama la madre bionda che sorridendo
acconsente senz'altro. Una serata spettacolare con "tramonto" su un
arcipelago di isolette rocciose davanti ad una campagna pratosa
suggella la giornata, mentre ci rifocilliamo con la pasta al sugo
portata dall'Italia. Il giorno dopo proseguiamo verso nord e iniziamo
a vedere in lontananza le prime montagne innevate e il ghiacciaio dove
siamo diretti. Attraversiamo un campo di lava piu' recente di quello
di Reykjavik e c'e' anche un piccolo cratere da cui e' uscito: sembra
una pustola nella piatta pianura. Ci fermiamo in un inquietantissimo
albergo in mezzo al nulla piu' assoluto. Sembra un incrocio tra un
collegio di suore ed un caseggiato sovietico. Siamo gli unici
clienti. Lu decide di dormire in tenda nel prato che funge da
campeggio, ma l'albergo ha un'amenita' da non sottovalutare: le docce
calde della piscina termale (purtroppo la piscina e' in riparazione),
superfantastico! Lu nella doccia delle donne (costellata di lozioni di
bellezza e shampi), Lo nella doccia degli uomini (costellata di
lattine di birra vuote di ogni tipo e denominazione): siamo persone
nuove! Il giorno dopo una strada desolatissima ci porta ancora piu' a
nord. All'unico incrocio per 120 km c'e' un improbabile "autogrill"
dove ci sbafiamo un ottimo hamburger. Fuori, degli operai stanno
installando dei tubi per convogliare acqua bollente (termale) che esce
da un buco nel terreno creando delle enormi nuvole di vapore. Seconda
foratura di Lu (ma la camera d'aria e' riparabile stavolta). La bici
e' come nuova in dieci minuti, ormai siamo esperti in questo genere di
cose. Proseguiamo in una piccola pianura stretta tra il mare da una
parte e l'altipiano da cui scendono delle meravigliose cascate
dall'altra. Vediamo un'altro campo di lava e si puo' vedere tutto il
percorso fatto dalla lava che e' partita da un'apertura nell'altipiano
e sembra che la montagna abbia rigurgitato la cena di sassi. Vediamo
una cascata spettacolare: avra' un salto unico di 100 metri. Poi
arriviamo in una spaccatura nella montagna: c'e' una leggenda di un
qualche troll che abita qui e uno strettissimo torrente ci passa
attraverso. Lu ha la claustrofobia, ma viene lo stesso ad esplorare
incuriosita. Lo si intrufola mentre un fotografo russo cerca di fare
una foto e viene mandato a quel paese dal poveretto. Altro campo di
lava da attraversare: guardando l'altimetro del GPS scopriamo che e'
spesso oltre 30 metri! Arriviamo al paese di Arnastapi e decidiamo di
fermarci al campeggio, ma sulla scogliera c'e' un'enorme statua di un
troll e ci dirigiamo incuriositi con le bici ancora cariche. Dietro
alla statua c'e' una spettacolarissima scogliera nerissima, con tubi
esagonali di lava solidificatasi in improbabili fasci contorti su cui
gli uccelli hanno fatto il loro nido. Ci godiamo lo spettaccolo, e il
binocolo viene ripescato per l'occasione. Il giorno dopo, anche se
piove, non possiamo esimerci dalla famosa camminata lungo la scogliera
e ci avviamo avvolti nei nostri goretex guardando con sdegno i
patetici ombrellini (completamente inutili nel vento) degli anziani
turisti francesi. Lo ha poco da fare lo sdegnoso perche' ha dovuto
cedere i suoi pantaloni Marmot a Lu (stendiamo un pietoso velo) ed e'
dovuto venire in Islanda con i suoi vetusti pantaloni viola-anni 80
che sono stati in Sarek, avranno venticinque anni buoni e hanno perso
la loro impermeabilita' da almeno un decennio. La passeggiata merita
veramente e la pioggia aggiunge atmosfera alla scogliera lavica e al
campo di lava sovrastante. Si vedono i blocchi pietrificati nell'atto
di rotolare in mare e i pinnacoli e le guglie piu' improbabili si
ergono laddove si sono solidificati centinaia di migliaia di anni
prima. Recuperiamo la tenda (un po' umida per la verita', ma
ringraziamo di aver investito su un'ottima tenda anni addietro) e
proseguiamo lungo il promontorio. E' inutile anche pensare di visitare
il ghiacciaio: le nuvole basse ridurranno la visibilita' a zero
sicuramente, e non siamo entusiasti di farci 1400 metri di dislivello
con le bici cariche per vedere un whiteout totale. Invece il
promontorio e' molto bello. Prima deviazione suggerita dalla guida per
andare alla spiaggia nera: arriviamo con una tempesta oceanica in
corso, ma siamo talmente affamati che non apprezziamo lo spettacolo
finche' non aspiriamo e vaporizziamo un intero sacco di pane a
testa. La spiaggia e' bellissima con i ciottoli nerissimi levigati, e
l'oceano in tempesta e' spettacolare e intimorisce quando si frange
con violenza sugli aguzzi scogli di basalto lavico con il rombo tipico
dell'oceano Atlantico (che noi conosciamo bene, ma dall'altra
sponda). Facciamo una seconda deviazione incuriositi verso quella che
la guida promette essere una spiaggia caraibica. Effettivamente,
girato un promontorio, ci troviamo davanti un'improbabile spiaggia di
sabbia bianchissima arrivata chissa' da dove, visto che tutte le
verticali scogliere che la circondano sono di lava nerissima. La guida
prometteva un mare azzurro cristallino, e si intuisce che
effettivamente sara' proprio azzurro con il cielo adeguato, cioe' non
oggi! Proseguiamo ancora per lo sterrato fino alla fine della strada
dove un faro arancione fa da contrasto visuale al nerissimo campo di
lava e al verdissimo prato pingue che lo circonda. Siamo ormai
piuttosto stanchi, ma purtroppo questo e' un parco naturale e non si
puo' fare campeggio libero. Siccome e' uno dei pochi posti in Islanda
dove e' vietato, decidiamo di rispettare il divieto (anche se nessuno
ci vedrebbe mai!). Lo propone di dormire in un tubo di lava, ma Lu
decide che sicuramente ci crollerebbe addosso con una logica
inarrivabile: a rigore, se ha veramente paura che ci crolli proprio
stanotte un tubo di lava che ha resistito probabilmente per 700mila
anni, lei non dovrebbe piu' mettere piede in casa sua che sicuramente
crollera' molto prima di 700mila anni. Quindi ci dirigiamo
faticosamente verso il bordo del parco, che e' evidenziato da
un'altissima antenna per trasmissioni transatlantiche ad onde lunghe
con tanto di cartello che orgogliosamente presenta l'altezza (400
metri) e la frequenza: Lo rapidamente calcola che e' un dipolo a
quarto d'onda. Il giorno dopo arriviamo immediatamente ad un paesino
(forse addirittura 200 persone) e ci fermiamo alla stazione di benzina
a comprare la cioccolata e un cappuccino per Lu. Chiediamo
informazioni sugli autobus ad un viaggiatore in attesa, ma Lo nota che
ha lo zaino Ferrino: e' un italiano! Questi strabuzza gli occhi quando
sente altra gente che parla il suo idioma, probabilmente gli unici
italiani che ha visto per tre settimane. E' di Ravenna, dove dice ci
sono 40 gradi in quei giorni (noi siamo completamente avvolti di
gore-tex e sottotuta di lana merinos). Usciti dal paese subiamo il
primo di tanti attacchi delle sterne reali. Vedono gli innocui
ciclisti come dei temibilissimi pericoli per i loro nidi e attaccano
con tecnica infida degna di cacciabombardieri Stuka: ti arrivano in
picchiata alle spalle silenziosamente e poi fanno un urlo fortissimo
che ti fa venire un infarto e una puntutissima beccata sulla zucca. Lu
utilizza il suo caschetto da ciclismo per la prima volta, mentre Lo
subisce le dolorosissime beccate. Passa un'improbabile gara
ciclistica, e i ciclisti se la ridono a vederci sotto attacco e ci
gridano di pedalare piu' forte: facile per loro con le loro bici in
carbonio da 6 kg, noi abbiamo dei simil-trattori in ghisa carichi da
50 kg! Ci fermiamo ad Andenes dove facciamo di corsa la spesa per
cercare (invano) di salire sulla barca per il whale-watching. Oggi e'
tutto prenotato e non c'e' piu' posto neanche per uno spillo: oltre a
noi anche una simpatica famigliola viene rimbalzata. E' buffo che
quando chiediamo dove avremmo potuto lasciare le bici (cariche)
durante il whale-watching, la ragazza della barca ci dice di lasciarle
abbandonate al porto, come se fosse la cosa piu' ovvia del mondo. In
effetti in Islanda pare non ci sia criminalita' e abbiamo sempre
lasciato senza nessun problema le nostre bici in giro (magari anche
con il gps e la macchina foto sul manubrio). Assieme agli occhiali da
sole (ahime'!), il lucchetto e' stata la cosa piu' inutile che ci
siamo portati. Dopo un passo collinare con poco dislivello ci fermiamo
a dormire a fianco di un enorme e spettacolare lava field che arriva
fino al mare. Bisogna spingere le bici un po' nel fango ma ne vale la
pena: il posto e' molto bello, piantiamo la tenda tra un gorgogliante
ruscello a pochi metri dalla riva del mare e il bordo del campo di
lava che incombe su di noi. Usiamo gli enormi blocchi di lava coperti
da morbidissimo muschio come comode poltrone per la cena. Il campo di
lava e' spettacolare ma troppo accidentato per avere due metri
quadrati per piantare la tenda. La mattina pedaliamo fino a
Stykkisholmur, dove vogliamo prendere il traghetto per saltare i
prossimi 10 alla 32 fiordi per arrivare piu' rapidamente nella zona
piu' bella. C'e' tempo fino al traghetto e decidiamo di pranzare ad un
ristorante. Spettacolare pesce fritto fresco per Lu, mentre Lo
vaporizza un altro clamoroso hamburger. Finito il pranzo vorremmo
riiniziare da capo, certo che la bicicletta fa venire una fame
mostruosa! Il viaggio in traghetto e' molto carino e guardiamo
incuriositi l'arcipelago di isole che attraversiamo. Un urlo da un
turista ci avvisa di un avvistamento naturalistico! Un delfino, anzi,
puntualizza Lu, un tursiope attraversa la scia della nave
balzellon-balzelloni. Ci fermiamo all'isola piu' grande
dell'arcipelago dove c'e' un paese dove abitano ben due famiglie, ma
e' una rinomata meta turistica e molte persone scendono. Noi
proseguiamo pensando di arrivare ad un altro paese, ma il traghetto ci
scarica nel nulla piu' assoluto. C'e' solo una casetta dove comprare i
biglietti e nient'altro nel raggio di decine di km. Siamo arrivati nei
Westfjords, un posto ancora piu' desolato dei fiordi che abbiamo
lasciato. Vediamo una ragazza sola con la bici quasi piu' carica delle
nostre che prende il traghetto in direzione opposta, salutandoci
calorosamente. La pedalata e' molto gradevole, anche se ormai e' molto
tardi, ma qui c'e' luce sempre (secondo i nostri gps, la notte dura
ben 31 minuti, probabilmente il sole non riesce neanche a scendere
completamente sotto l'orizzonte). Si ferma un signore gentilissimo con
il fuoristrada che ci offre un passaggio a noi e alle bici, ma gli
spieghiamo che non dobbiamo arrivare da nessuna parte e che pedaliamo
solo finche' ne abbiamo voglia e poi ci fermeremo a montare la
tenda. Infatti, poco piu' avanti c'e' un microscopico paesino e
proviamo a chiedere alla signora che gestisce la piscina termale se
possiamo mettere la tenda li' (gia' ci pregustiamo il bagno bollente
dopo aver montato la tenda), ma per la prima e unica volta non
riusciamo a comunicare: la signora non parla una parola di inglese e
noi parliamo un'unica parola di islandese (tak, che vuole dire
grazie). Lo le fa vedere una foto della tenda dallo schermo della
macchina foto sperando che capisca quello che vogliamo, ma non c'e'
verso. Forse ci sta dicendo che non possiamo mettere la tenda perche'
c'e' troppa acqua? Boh, alla fine rinunciamo e piantiamo la tenda poco
lontano vicino al mare. Una famiglia sguazza nel mare con bimbi che
urlano e starnazzano, che coraggio!! Oltretutto sono ormai le nove di
sera e qui al nord fa decisamente piu' freddo. Il giorno dopo
proseguiamo verso nord e troviamo il primo passo impegnativo (almeno,
impegnativo con le bici cosi' cariche, in realta' sono poche centinaia
di metri di dislivello). A Lo inizia a bollire l'acqua del radiatore e
presto si trova a pedalare a torso nudo nonostante il freddo e i
nuvoloni. I (pochi) automobilisti lo guardano a occhi sgranati. Certo
che in discesa bisogna coprirsi bene e arriviamo in fondo battendo i
denti per il freddo. Scopriamo subito che l'interno dell'Islanda qui
al nord e' abbastanza monotono: sono gli stessi prati alpini che da
noi si trovano tra 2000 e 2500 metri di quota (qui a una quota dieci
volte inferiore) e vanno avanti identici all'infinito, punteggiati da
stagni. In fondo alla discesa ci troviamo all'estremita' di un fiordo
molto molto selvaggio e, ovviamente, "decidiamo" per una deviazione
non asfaltata che ci avrebbe portato al paradiso del bird
watching. Meglio, decide Lu e se Lo non avesse acconsentito, lei gli
avrebbe infilato la bici in bocca, per traverso. Come vedremo, Lo si
divertira' ancora di piu' di Lu, ma per tutt'altri motivi. Prima (ma
non ultima!) sorpresa: girato il primo promontorio ci troviamo una
nave enorme adagiata sulla spiaggia. C'e' tanto di cartello turistico
e notiamo che la nave e' anche stata riverniciata di fresco. E' un
incidente (come e' possibile in fondo ad un fiordo? Non ci sono
tempeste qui) oppure e' stata arenata di proposito? Non riusciamo a
capirlo, ma Lo scala e visita tutta la nave (c'e' anche la sala da
pranzo e il bagno con ancora la tazza del cesso), nonostante il
cartello preghi "per favore" di non farlo perche' e' pericoloso e Lu
passi tutto il tempo a starnazzare di tornare giu' per l'amor del
cielo. La nave e' un ottimo riparo dal vento lo sfruttiamo volentieri
per il nostro picnic a base di "Caviar", una specie di dentifricio di
pesce da spalmare sul pane che viene dalla Norvegia (e' difficilissimo
trovare prodotti locali: non si riesce neanche a comprare pesce in
scatola islandese!). Continuiamo lungo il fiordo e ci troviamo davanti
una spettacolare spiaggia di sabbia gialla bordata da alte dune che
sembra uscita da una cartolina delle Maldive. Poi la strada prosegue
bordeggiando un mare blu profondo che sembra di essere tornati in
Corsica! Ormai siamo molto stanchi e il campeggio che Lu vuole
raggiungere e' ancora lontano, ma quando arriviamo alla prima fattoria
dobbiamo necessariamente fermarci. Lo (pur pedalando senza occhiali
per la pioggia) intravede qualcosa di veramente strano, cosa puo'
essere? "Secondo me e' un DC3" dice dubbioso. Lu, che in teoria non
avrebbe bisogno di occhiali, afferma sicura che si tratta di un
autobus vecchio. Invece ha ragione Lo! Si tratta di un DC3
completamente smontato, con fusoliera da una parte, ali accuratamente
accatastate da un altro e gruppo motori con carrello principale
poggiati su un prato. Che ci fa qui!? Il DC3 e' un bimotore a elica
degli anni 40 con enormi motori a pistoni, uno degli aerei che hanno
fatto la storia dell'aviazione grazie alla sua straordinaria
robustezza, tanto che ancora oggi viene usato spesso per i voli verso
le zone piu' impervie, come l'Antartide. Per Lo e' famoso per la
esilarante scena di apertura del film "piu' forte ragazzi" di Bud
Spencer e Terence Hill, i suoi miti, che e' girata su un'improbabile
DC3 rosa! Ovviamente ci fermiamo ad esplorare e ci intrufoliamo nella
fusoliera. Purtroppo tutti gli strumenti e le cloche sono stati
cannibalizzati dalla cabina di pilotaggio, ma ci sono ancora i pedali
e le manette dei motori e dei flaps, e Lo si siede sulla sedia del
copilota e si immagina di atterrare su un ghiacciaio artico, mentre Lu
starnazza che e' sicuramentevietatovieniviadili'. Dietro l'aereo c'e'
un hangar chiuso, ma dalle finestre intravediamo un altro antico
aereo, con "Aereoflot" scritto in cirillico lungo la fusoliera. Cosa
ci fara' qui? Ora si e' fatto veramente tardi, siamo stanchi e si
vede chiaramente che c'e' una salita sterrata da fare. Decidiamo di
fermarci qui ad una guesthouse molto carina che avevamo passato poco
prima: ottima scelta. Il proprietario e' gentilissimo e ci offre un
ottimo prato per la tenda (scopriremo che la guesthouse e'
gettonatissima ed e' praticamente sempre piena per tutta l'estate), ma
soprattutto la doccia calda e perfino la cucina. Ovviamente ci
prenotiamo per la colazione della guesthouse. Lui ci racconta che e'
stato a Roma a visitare il vaticano e francamente non possiamo pensare
ad un posto che sia piu' complementare a qui. Roma: al centro del
mondo, solare, calda, caotica; qui: in mezzo al nulla, freddo, cupo,
totalmente selvaggio. Lo chiede la storia del DC3 e il tipo si lancia
in un'appassionatissima descrizione della storia di quell'aereo che ha
fatto il giro del mondo ed e' stato decommissionato qui dalla marina
militare USA negli anni 70 (c'e' un piccolo aereoporto poco
lontano). Ora e' una specie di monumento. Ci chiede se vogliamo avere
le chiavi dell'hangar per visitare l'aereo dell'Aereoflot. E' come
chiedere ad un bimbo se vuole le chiavi di una fabbrica di caramelle:
c'e' da chiedere? Ovviamente ci avviamo immediatamente (giusto il
tempo di tuffarsi in tenda a recuperare la torcia). E' un antico
Antonov degli anni 40 che era in volo verso il sudamerica per essere
venduto li', ma fu danneggiato durante lo scalo in Islanda e rimase
qui, impossibilitato a volare ancora. Al contrario del DC3 che e'
stato cannibalizzato, questo e' perfettamente integro, con tutti gli
strumenti antichi (rigorosamente etichettati in cirillico) ancora al
loro posto. Perfino la batteria e' ancora al suo posto. A Lo non
sembra vero potersi sedere al posto del comandante e illustra
divertito a Lu tutti i vari strumenti. Lu ha un collasso
cardiocircolatorio da noia (che Lo scontera' il giorno successivo
quando i ruoli si invertono durante il birdwatching) e si dirige verso
la tenda, mentre Lo non riesce a staccarsi e decide che questo e'
l'albergo migliore della sua vita: poco importa se c'e' la doccia in
comune e se si dorme in tenda, quale altro albergo possiede un DC3 e
un Antonov su cui si puo' salire e sedersi nella cabina?! Il giorno
dopo piove a dirotto, per fortuna abbiamo la colazione al caldo e non
dobbiamo smontare la tenda! Facciamo una colazione infinita
nell'attesa che smetta, ma alla fine decidiamo di partire lo stesso e
ci tocca la salita nella pioggia. Lo ha un vistoso calo di
motivazione, ma Lu ha un fuoco sacro dentro e non vede l'ora di essere
alle famosissime scogliere del birdwatching, una specie di metropoli
di uccelli marini. Ovviamente Lu buca, e ovviamente Lo ha dimenticato
il kit di riparazione in tenda. Per fortuna mancano pochi km alle
scogliere che Lu si fa a piedi. Smette di piovere e riusciamo a fare
il picnic riparati dal vento, la giornata riprende quota. Lu e' nel
suo paradiso, peccato che ha il terrore che Lo cada dalla scogliera e
ha attacchi di vertigine ripetuti: le scogliere piu' alte sono 400
metri di salto verticale a picco sul mare, ma qui dove siamo noi
arrivano "solo" a 170 metri! Alcuni intrepidi fotografi naturalisti
si sporgono fino al ciglio e oltre, ma basta che Lo si avvicini a 5
metri che a Lu cessi ogni funzione vitale per lo spavento. Lo,
perfido, si diverte a fare finta di inciamparsi e alla fine si
inciampa davvero e batte uno stinco contro una roccia puntuta e si fa
malissimo, ben gli sta. Lu finalmente riesce a dimenticarsi del
coniuge beota ed entra nel Nirvana del birdwatching. Colonie
fittissime di Urie (delle specie di pinguini, che pero' sanno volare),
di gabbiani e di buffissimi puffins, con la faccia da pagliacci con
occhi tristi e becco sorridente. Sono molto buffi mentre volano:
chiaramente le loro ali sono adatte piu' al nuoto che al volo. Le
scogliere sono spettacolari e c'e' uno svolazzio continuo: come
faranno ad evitare le collisioni senza un controllo del traffico
aereo?! C'e' anche un discreto numero di appassionati, alcuni con dei
teleobbiettivi che sembrano dei bazooka, anzi dei veri e propri
obici. Dopo un paio di decenni di osservazione naturalistica,
finalmente Lo riesce a scollare Lu a fatica e si decide di
rientrare. Per fortuna si e' ricordato che in fondo alla borsa che ci
eravamo portati per il picnic c'e' una delle duecento camere d'aria di
ricambio che ormai abbiamo accumulato, e possiamo riparare al volo la
bici di Lu (non banale senza attrezzi!) La pedalata al ritorno senza
pioggia e' piu' gradevole e ci godiamo le spettacolari spiagge gialle
enormi e vuote, in mezzo al nulla. Stasera abbiamo la tenda gia'
pronta e non ci rimane che imbustarci nei sacchi a pelo e dormire come
sassi! Naturalmente anche il giorno successivo facciamo la colazione
alla guesthouse e ripartiamo. Potremmo fare un'altra deviazione per
andare a vedere una spiaggia dove vivono le foche, ma inizia
nuovamente a piovere forte e la motivazione non e' sufficiente a fare
un altro passo su sterrato con pioggia battente e bici carica:
decidiamo di soprassedere con la speranza che vedremo le foche piu'
avanti. Raggiungiamo l'incrocio con il passo da cui eravamo scesi due
giorni prima e vediamo arrivare un cicloturista, anzi una cicloturista
belga, Jean, che si sta girando l'Islanda da sola. E' chiaro
dall'attrezzatura che non e' una sprovveduta: giacca Arcteryx (le
migliori giacche da alpinismo), borse Ortlieb e portapacchi tubus,
nonche' bici perfetta per il cicloturismo: super-tatticissima. Ci
chiede aiuto per un problema che aveva avuto al manubrio. Lo non ha le
chiavi adatte, ma la tranquillizza: basta stringere la flangia con la
mano ogni volta che si allenta. Jean non pare molto convinta, ma
quando Lo le fa notare che sulla sua bici la flangia si e' rotta circa
3000 km prima, lei si rasserena. Le consigliamo senz'altro di prendere
la deviazione fino alla scogliera degli uccelli, ma un'ora dopo,
mentre pranziamo su una spiaggetta, la vediamo arrivare: ha deciso che
non ha voglia di fare una deviazione che la obblighera' a ritornare
sui suoi passi. Pessima scelta (ma non glielo diciamo) perche' quel
tratto era veramente bellissimo. Pranziamo assieme, e Lu,
ospitalissima come sempre, le offre il suo preziosissimo parmigiano
(tesaurizzato per i momenti di crisi) e i suoi gianduiotti. Offrire
cioccolato ad una belga forse non e' una buona idea, ma Jean apprezza
tantissimo il parmigiano che ama come tutti. Noi ripartiamo verso il
passo successivo e lei si ferma perche' vuole salutare un suo amico
spagnolo che lavora in una farmacia in un paesino in fondo al
fiordo. Cosa?!? Che ci fa uno spagnolo qui?! Mentre noi lemme lemme
arranchiamo in salita, la vediamo spuntare in fondo e ci raggiunge in
men che non si dica. Sicuramente e' molto piu' in forma, ma
probabilmente ha anche l'attrezzatura e la bici un pochino piu'
leggere dei nostri cancelli! Facciamo un tratto di strada assieme, ma
poi lei si ferma (aveva fatto un passo la mattina che noi avevamo
fatto giorni prima) mentre noi proseguiamo. Ci fermiamo dopo il
secondo passo della giornata a Bildudalur. Il campeggio e' proprio
all'imbocco del porto popolato da colorate barchette. Si paga il
campeggio dentro al centro sportivo e scopriamo con gaudio e tripudio
che i campeggiatori hanno accesso libero alla piscina termale!
Montiamo la tenda in trenta picosecondi netti, peschiamo i costumi e
via! Diagrammi molto dettagliati negli spogliatoi spiegano che bisogna
lavarsi i "punti critici" senza costume prima di entrare nella
piscina. Il piacere di una doccia bollente ci rende estremamente
rigorosi nel seguire i dettami alla lettera. Finalmente ci immergiamo
nella vasca termale (che e' all'aperto). Inizia pure, naturalmente, a
piovere, ma noi siamo immersi fino al collo nell'acqua bollente! Che
spettacolo, dopo una dura giornata di pedalata (iniziata pedalando
sotto la pioggia gelata battente e finita con ben due passi montani),
ci ammolliamo nella vasca termale finche' la pressione sanguigna
arriva a 50-20 e rischiamo di svenire e affogare. Lu non riesce quasi
neanche a rimettersi in piedi per tornare allo spogliatoio. La
giornata e' conclusa con un fantastico hamburger al
localino/supermarket/ristorante/ufficio turistico del paese. Il giorno
dopo, seguendo il consiglio della guida di Lu, andiamo a visitare il
museo dei mostri marini. Che pacco allucinante! La peggiore
pseudoscienza con improbabili modelli di plastica di ridicoli mostri,
improbabili reperti che non c'entrano niente e video di interviste ad
evidenti ubriaconi che raccontano di aver visto delle macchie nella
nebbia: sicuramente dei terribili mostri marini che non aspettavano
altro che spolparli se non fosse che erano respinti dal tasso
alcolemico del sangue delle loro potenziali vittime. Il classico
specchietto per le allodole per incantare i turisti tonti (e noi,
tonti, ci siamo fatti incantare). Si riparte verso il nulla e ben
presto stiamo pedalando in mezzo ai fiordi piu' sperduti. Il prossimo
"paese" e' a 140 km, eppure vediamo una ragazza da sola con un
improbabile zaino strabordante che tiene in mano una tenda: dove crede
di andare questa qui? Ci interroghiamo sul suo stato di salute
mentale, ma concludiamo che si dirige al microscopico aereoporto del
paese a una decina di km in cima al fiordo. Dopo un'altra decina, in
fondo al fiordo arriviamo alla famosa piscina termale in mezzo al
nulla di cui ci aveva parlato Jean. Lu, superschizzinosa, non si osa
perche' l'acqua e' un po' sporca (c'e' qualche alga verde in
sospensione). Lo non si fa pregare, pesca il costume e si tuffa a
pesce, rimanendo poi coperto di alghe per giorni. Dietro alla piscina,
c'e' anche uno stagno di acqua ancora piu' calda e Lo si immerge pure
li', discutendo con due turisti tedeschi che pero' sono arrivati in
macchina (facile cosi'!) Gli dicono che dormono nelle guesthouse, ma
hanno dovuto prenotare tutto (e pagare) prima ancora di partire,
quindi hanno tutte le tappe gia' predisposte, guai a sgarrare. Che
modo diverso di viaggiare: certo in bici/tenda e' molto piu' libero:
ti fermi dove vuoi e puoi sceglierti il posto migliore! Continuiamo la
pedalata in mezzo al nulla (ormai da tempo la strada e' sterrata) e si
ri-inizia a salire: un altro passo, ma questo con la strada
sterrata. E' veramente impegnativo e inizia anche a piovere. Le bici
soffrono vistosamente, coprendosi di fango. Mentre scendiamo ormai
devastati vediamo una figura arancione, ormai familiare: Jean ci ha
nuovamente raggiunti! Una bella impresa, questo passo allucinante per
lei era gia' il secondo della giornata ma lei sembra fresca come una
rosa. In fondo alla discesa c'e' la famosissima cascata. C'e' un
campeggio libero non gestito dove l'unica struttura e' un piccolo
casottino con i cessi pulitissimi (con carta igienica e sapone) e un
lavandino per prendere l'acqua e lavare i piatti. Lo inizia a fumare
dalle orecchie: si era accollato circa 6-7 litri d'acqua per la notte
per tutto l'allucinante passo (ma perche' l'acqua pesa cosi'
tanto?!). A sapere che c'era qui! Montiamo la tenda e immergiamo le
bici nel torrente per pulire la catena completamente solida di
fango. Invitiamo Jean a cena da noi (pasta al pesto comprata
nell'ultimo paese), e lei viene portando la sua cena (ottimo cuscus di
verdure secche). Il cuscus e' un'ottima idea per questo tipo di pasti:
usa pochissima acqua, usa pochissima benzina perche' non deve cuocere
e soprattutto si prepara in pochissimo tempo. Diventera'
immediatamente anche il nostro piatto principale. Jean racconta che e'
stata appena licenziata e ha deciso di prendersi sei mesi per fare un
po' di viaggi e appena tornera' si cerchera' un lavoro qualunque
"pero' deve essere almeno 1500 euro". Certo che in Belgio c'e'
un'altra situazione del mercato del lavoro che in Italia!! Dai suoi
discorsi diventa chiaro che e' una esperta alpinista, come del resto
la sua attrezzatura e la sua disinvoltura ci avevano fatto
sospettare. Non e' il suo primo viaggio in Islanda, ma e' il suo primo
cicloturismo: l'Islanda non e' certo il posto per un principiante del
cicloturismo, ma lei e' veramente molto sgamata. La mattina dopo Lo
sale fino alla base dell'imponente cascata, ma Lu preferisce fare una
passeggiata sulla spiaggia del fiordo. Jean, ci aveva salutato la sera
prima dicendo che sarebbe partita la mattina presto da brava
alpinista, ma noi preferiamo prendercela con piu' calma. Guardando la
carta scopriamo che c'e' un altro passo su strada sterrata e non siamo
molto entusiasti. C'e' anche segnata una pista da fuoristrada che
segue il promontorio e decidiamo che, gia' che siamo entrambi in
mountain bike, tanto vale sfruttarle: "andiamo al promontorio che
magari dal mare aperto vediamo le balene!" Poveri illusi, non avevamo
capito niente delle balene. Ci avviamo incerti oltre un cartello che
avverte che la strada non e' accessibile alle auto, bisogna avere un
fuoristrada (e ci renderemo conto ben presto che non basta un
fuoristrada qualunque: ce ne va uno ben serio!) Riusciamo ad
attraversare il primo torrente su un vecchio ponte quasi demolito, ma
il secondo va guadato! Lo si toglie gli scarponi e prova ad
attraversarlo: a meta' l'acqua arriva oltre le ginocchia! Decidiamo di
provare a spingere le bici togliendo solo le borse anteriori, ma la
bici di Lo quasi gli sfugge di mano e Lo fa il collaudo definitivo
delle sue borse Ortlieb che finiscono quasi completamente sott'acqua:
rimangono completamente asciutte! Riesce anche a trasbordare la bici
di Lu, e ora tocca a lei. "Lu, lanciami gli scarponi!", ovviamente
l'atletico lancio di Lu fa finire lo scarpone di Lo dentro il torrente
a non piu' di un metro dalla riva DALLA PARTE DI LU! AAARGH! Lo si
tuffa a pesce a recuperare il suo scarpone prima che la corrente lo
porti chissa' dove e si distrugge tutte le dita dei piedi, mentre Lu,
causa di tutti i mali, rimane impietrita. Lo scarpone viene recuperato
e lanciato dalla parte opposta (giusto per mostrare come si fa). Lu e'
tanto brava e buona, e ha tante belle qualita', ma come lanciatrice di
scarponi oltre i torrenti lascia proprio a desiderare! Ora tocca a Lu
attraversare, ma ha i piedini da Cenerentola troppo delicati e Lo le
deve lanciare i suoi sandali perche' lei possa
attraversare. Finalmente dalla parte opposta, Lo inizia a sperare che
non ci siano troppi altri guadi, pero' e' stata un'avventura
divertente e lo scarpone non si e' neanche troppo bagnato grazie al
dito di grasso applicato prima della partenza. Per fortuna i guadi
successivi sono tutti molto piu' agevoli da attraversare e si riescono
addirittura a fare tutti senza togliersi le scarpe, anche se in un
paio di occasioni le bici vanno dentro quasi fino ai mozzi. La
pedalata e' veramente spettacolare, una delle migliori pedalate mai
fatte. La strada e' tutto sommato agevole (tranne per alcuni punti con
enormi roccioni), e non c'e' assolutamente niente e nessuno. Dalla
parte opposta del fiordo le nuvole scorrono veloci sui pendii e
sembrano liquide per come si avvolgono rapidamente attorno alle pareti
delle montagne evidenziando le correnti d'aria, il fiordo stesso e'
attraversato da formazioni di uccelli migratori, mentre dalla nostra
parte delle puntute montagne fanno da contorno alla strada, un
panorama veramente spettacolare. Ad un certo punto, la strada scende
dalla scogliera e prosegue lungo il mare, passando tra gli scogli e
sotto le falesie a picco da cui scendono numerose cascate che dobbiamo
guadare: un posto di un selvaggio quasi da fare paura. Ci fermiamo su
una spiaggia per il picnic: in tutto il giorno, da quando abbiamo
lasciato la strada, non vediamo una singola persona fino alla sera,
quando incontriamo due ragazzi a piedi, mentre cerchiamo un posto per
la tenda. Lui sembra un giovanissimo vichingo dai capelli lunghi e lei
ha capelli lisci talmente biondi da essere quasi bianchi. Decidiamo di
mettere la tenda in cima alla scogliera vicino al faro proprio
all'estremo del promontorio, sicuri di vedere le balene, ma niente
(nonostante Lu passi delle ore incollata al suo fedele Swaroski),
vediamo solo una povera foca ammuffita. Il posto e' spettacolare e
siamo cullati dalle onde dell'oceano che si frangono sotto la nostra
tenda. Lo dorme come un sasso, potrebbero lanciargli una granata a
frammentazione sotto al suo fedele cuscino gonfiabile senza
minimamente disturbarlo, mentre Lu veglia alla ricerca delle balene e
vede il famoso sole di mezzanotte (e' qui al nord che la notte dura
mezz'ora!): il sole finalmente appare perche' quando scende
all'orizzonte passa SOTTO alle perenni nuvole basse. La mattina dopo
ci schiodiamo a malincuore: e' un posto veramente spettacolare e
sarebbe bello rimanere qui. La strada sterrata e' ancora lunga, ma
presto arriviamo a Pyngeri (si legge Thingeri) dove c'e' un
improbabile bar che serve waffle belga e Lu se ne prende uno con
cappuccino. Lo preferisce un classico biscotto. Si riparte subito dopo
perche' Lu, incontentabile, vuole andare a dormire a Sudureyri dove si
possono visitare le fabbriche di pesce. Per fortuna durante la sosta
per la merenda buca nuovamente e decidiamo che si fa troppo tardi:
meglio fermarsi. E' un posto bellissimo su una spiaggetta in fondo ad
un fiordo ed e' una soluzione di ripiego che e' sicuramente
preferibile al programma originario, anche se c'e' un po' di vento
alla sera, ma almeno ci asciuga la tenda umida in dieci minuti. Il
giorno dopo c'e' da attraversare il tunnel e Lu e' terrorizzata:
tiriamo fuori (e finalmente ne giustifichiamo l'esistenza) le torce,
le lampade frontali e la lampada posteriore, e ci prepariamo come
alberi di natale. Tutto cio' e' praticamente inutile perche' in 7km di
galleria incroceremo due automobili. Lo pensa ai troll che chiaramente
vivono qui, mentre la claustrofobica Lu canta per evitare di pensare
al worst-case-scenario, che e' uno scontro frontale in nostra
corrispondenza tra un'autocisterna carica di benzina avio ad alti
ottani e un camion di scorie radioattive. Arriviamo finalmente a
Sudureyri, ma e' domenica e le fabbriche di pesce che volevamo
visitare sono chiuse e la guida turistica che doveva illustrare il
paese e' malata. Ci accontentiamo dei cartelli illustrativi che
pomposamente indicano una forest district: si tratta di un boschetto
di venti pini nani il piu' rigoglioso dei quali sembra l'albero di
natale di Fantozzi. Ci consoliamo con la fantastica piscina
termale. Lu immediatamente fa conoscenza di una simpatica francesina
di Parigi che e' in ammollo con noi e che ci dice che sta lavorando
per un mese al locale dei waffle belga di Pyngeri, forse per sfuggire
al caos di Parigi? Sicuramente una cosi' qui non passa inosservata e
ci racconta di una folle festa durata tutta la notte a cui e' stata
invitata la sera prima ad un faro in mezzo al nulla raggiungibile solo
via barca. Ci dice che questa e' la piscina termale migliore di questa
zona perche' e' l'unica veramente di origine geotermica qui. Lo fa la
sua solita figura da pesce lesso perche' inciampa nei gradini e
finisce come una patata nella piscina annaffiando tutti
abbondantemente. Di nuovo rimaniamo in ammollo fino ad azzerare la
pressione arteriosa e ci dobbiamo trascinare a quattro zampe fino agli
spogliatoi. Ci fermiamo al localino del paese a mangiare la classica
zuppa di pesce islandese che non e' altro che una clam chowder senza
clams, ma fa un freddo notevole (fuori dalla vasca della piscina) e
una zuppa calda va giu' molto volentieri. Appena fuori dal paese le
lingue di neve arrivano fino al mare. Ritorniamo alla strada
"principale" (l'incrocio con la strada principale e' a meta' della
galleria e quindi ne dobbiamo rifare un lungo pezzo, ma di nuovo siamo
fortunati con i camion di scorie radioattive) e ci dirigiamo a
Isafjordur che e' la "capitale" dei Westfjords. Qui facciamo un minimo
di spesa e poi in una pasticceria aspiriamo una mezza dozzina di
ciucciarie sotto lo sguardo divertito delle commesse. Appena fuori
dalla capitale siamo di nuovo in mezzo al nulla nel giro di pochi km,
basta girare il primo promontorio. Stasera c'e' un bellissimo sole
(finalmente!) e cerchiamo di fare evaporare la muffa, nonche' di
tornare allo stadio di creature terrestri eliminando le branchie che
opportunamente avevamo sviluppato. Lu e' inarrestabile e Lo deve
pregarla di fermarsi prima di sbiellare un ginocchio, ma la pedalata
extra ha pagato perche' ci fermiamo su una spiaggetta spettacolare con
tappeto di muschio in mezzo ad un fiordo di un fiordo davanti ad un
branco di cigni che starnazzando ci libera il campo. In lontananza si
vede il fiordo principale, sulla cui altra sponda le montagne sono
completamente coperte di neve fino al livello del mare. Stasera il
nostro campo sembra una pubblicita' per le tende MSR, meraviglioso, e
ci gustiamo un fantastico cuscus con pesto rosso che siamo riusciti a
recuperare al paese. Il giorno dopo e' talmente bello che nessuno ha
voglia di schiodarsi e poltriamo a lungo, fantastico. Alla fine la
strada chiama e si parte, con una pedalata estremamente gradevole
(perche' il tempo non e' sempre cosi'?!) lungo i fiordi completamente
selvaggi. Al secondo o terzo fiordo Lo, cercando una spiaggetta per
pranzare, vede uno stranissimo oggetto in mezzo al mare. Cos'e'?
Inchiodata con proteste vivaci dei freni: e' una foca che sta facendo
basking in the sun!! Nel frattempo arriva anche Lu che e' estatica. La
foca ci guarda chiaramente piu' incuriosita di noi: noi sappiamo
cos'e' una foca, ma e' difficile che lei sappia cos'e' un
cicloturista. Inoltre siamo piuttosto pittoreschi con i colori
pangalli delle nostre bici e vestiti. Rimaniamo a lungo a vedere la
foca notando che nessuna delle (poche) macchine di turisti che passa
si accorge di niente: certo che viaggiare in bicicletta si ha
veramente il contatto con la natura e la visione a 360 gradi. Ci
fermiamo a fare il picnic su una spiaggetta poco oltre e anche noi
facciamo a lungo basking in the sun finalmente. Dopo qualche ora Lu
deve sverniciare Lo dalla spiaggia perche' altrimenti non si schioda
piu'! Dietro ad un promontorio ci sono delle macchine di turisti fermi
a vedere una foca, ma si sono fermati solo perche' un vistoso cartello
stradale indica che questa e' la spiaggia delle foche! Questa foca
anche sta facendo basking in the sun, ma e' molto piu' lontana da riva
e si vede bene solo con lo Swaroski. In serata il tempo inizia a
guastarsi (il sole era durato ben quasi 24 ore, non vorremmo forse
abituarci?!). Decidiamo che gli islandesi devono avere un sistema
metereologico binario: se non c'e' un diluvio universale che sradica
le strade, allora per definizione e' una giornata di sole. Solo cosi'
si puo' spiegare la bacata statistica di un giorno di pioggia ogni tre
e il fatto che essi girino costantemente con gli occhiali da sole,
anche quando la giornata e' grigia e gloomy. Lu sprona Lo a pedalare
almeno fino al pizzo del promontorio, e i fatti le daranno ragione!
Arriviamo demoliti alla punta del fiordo e vediamo un bel prato pieno
di pecore panciute dove mettere la tenda sulla spiaggia. Mentre
cerchiamo un posto dove piazzare il campo si continuano a sentire dei
lunghi sospiri. Lo continua a cercare la foca con la tosse che deve
averli emessi, mentre Lu guarda oltre il fiordo pensando che siano
slavinette di neve che scendono lungo i pendii dall'altro
lato. Improvvisamente si alza agitatissima sbattendo le mani senza
parole. Lo pensa che finalmente le e' andato completamente in pappa il
poco cervello rimasto e che sta cercando di scacciare disperatamente i
fastidiosissimi moscerini di questa spiaggia. Invece no: ha visto le
balene a poca distanza dalla riva! Le sue borse vengono svuotate sul
prato alla ricerca frenetica dello Swaroski e sembra che sia esplosa
un'autobomba: l'attrezzatura e' sparsa in tutto il prato. Lo si deve
accontentare del suo binocolino da quattro soldi che sembra uscito
dall'uovo di Pasqua al confronto dello Swaroski, ma le balene sono
vicinissime e si vedono tranquillamente anche a occhio
nudo. Calcolando il delay (3-6 secondi) tra la visione e il suono
dello sbuffo (ecco cos'era quel sospiro!), decidiamo che le balene
sono a un chilometro e mezzo da riva!! Rimaniamo estasiati a
guardarle per ore e si capisce chiaramente che sono almeno tre,
probabilmente anche di piu'. Fanno tre respiri prima di tuffarsi: al
terzo respiro si vede chiaramente la coda che spunta. Qui non deve
essere molto profondo perche' emergono molto spesso. Finalmente Lu si
distrae per mandare dei messaggini dal cellulare e Lo si impossessa
dello Swaroski, tutta un'altra cosa. Se ci fosse un chioschetto di
Swaroski, Lo se ne comprerebbe uno immediatamente anche per 10000
euri. Ad un certo punto spunta una foca curiosa a pochi passi da noi e
nella stessa sbinocolata vediamo foca e balena, ma la povera foca
viene totalmente ignorata. Le balene rimangono a lungo e piano piano
si dirigono verso sinistra, ancora piu' profondamente nel fiordo. E
pensare che noi poveri ingenui le cercavamo in mare aperto, le abbiamo
trovate in fondo ad un fiordo (N66 03 15.1, W22 45 16.3) a piu' di
100km in linea d'aria dal mare aperto! Finalmente decidiamo di montare
la tenda, mentre le balene sono ancora li', ma durante la cena se ne
vanno finalmente. Lu passa la notte a cercare di vederle ancora:
vivono qui di fronte, decide sicura. Lo invece crolla come un
sasso. L'unica cosa che succede di notte e' che una delle panciute
pecore inciampa clamorosamente in un tirante della tenda e lancia un
rabbioso belato: a Lu viene un infarto acuto del miocardio e teme il
collasso della tenda. Alla mattina Lu crolla inerme dopo la notte
insonne ed e' quindi Lo che sente e poi vede le balene tornare! Lu
salta su con occhi rossi, affetta da zombaggine acuta, ma subito
inizia a scrutare l'orizzonte. La colazione migliore della nostra vita
in compagnia delle balene poco lontano che fanno la loro. Lo, che per
gentile concessione di Lu puo' usare lo Swaroski, sta seguendo una
balena lontana quando d'improvviso la balena salta!!!!! Esce tutta
dall'acqua e riatterra con uno spruzzo immane! Che scena
incredibilmente maestosa e gioiosa al tempo stesso! Lo non e' mai
stato cosi' eccitato e descrive la scena a Lu che tenta disperatamente
di reimpossessarsi del binocolo, ma Lo combatte strenuamente e non lo
molla! Lo e' talmente contento che inizia a saltare per tutta la
spiaggia, non ricorda di essere mai stato cosi' felice come
ora. Questo momento vale da solo tutto il viaggio, anzi
collettivamente tutti i viaggi in bici mai fatti. Lu, impossessatasi
nuovamente del binocolo riesce a vedere un secondo salto!! Lo si
avvita il suo binocolino agli occhi, ma la balena ha deciso che due
salti erano sufficienti e se ne va via tranquilla. Chiaramente sono
megattere (humphback whales) e Lo vince 30 pizze di scommessa: aveva
riconosciuto la gobba e la caratteristica coda. Rimaniamo ancora a
lungo, ma le balene vanno via e la strada ci chiama. Partenza! Lo e'
al settimo cielo e continua a inventarsi canzoni a squarciagola che
descrivono balene che saltano. Lu, incontentabile, dice che per morire
felice deve solo piu' vedere l'aquila di mare, e infatti neanche 5 km
di strada piu' avanti c'e' un'aquila di mare che svolazza a fianco
della strada. Lu non puo' credere ai suoi occhi che il suo piu'
recondito desiderio di naturalista (balena+aquila) sia stato esaudito
cosi'! La sua inchiodata solleva scintille dai dischi dei freni e
strappa l'asfalto dalla strada: nuovamente le borse esplodono per
pescare lo Swaroski. E' proprio l'aquila di mare! Siccome il totem di
Lu e' la megattera e il totem di Lo e' il falco (ma ci possiamo
accontentare anche dell'aquila), siamo veramente al settimo cielo: e'
quasi un'esperienza mistica! Il resto della giornata procede in una
nebulosita' sia dei nostri animi che del cielo. Ci fermiamo in un
altro paesino costituito unicamente da uno stranissimo albergo cadente
dove acquistiamo del pane e Lu si spara due frittate con panna ai
mirtilli e Lo una brownie. Probabilmente le frittate hanno anche del
plutonio arricchito perche' Lu riparte a razzo e si spara l'intero
fiordo da 40 km ad una media oraria di Mach 1, mentre Lo arranca
dietro. Ci fermiamo appena prima della salita che ci portera'
dall'altra parte dei Westfjords. Ormai siamo proprio alla punta
estrema del fiordo, ma cerchiamo ancora (invano, ahime') le balene. In
compenso una foca curiosa osserva a lungo la nostra tenda sulla
spiaggia: cosa sara' mai quest'oggetto? Stasera, per la prima volta
abbiamo dovuto montare la tenda sotto la pioggia, ma per fortuna cessa
proprio per i cinque minuti necessari al montaggio e riusciamo ad
avere quasi tutti i vestiti asciutti (e stendiamo nella tenda quelli
piu' umidi). Appena la tenda e' pronta inizia il diluvio universale,
ma noi ormai siamo al sicuro e non c'e' niente di piu' rilassante di
essere al calduccio nel sacco a pelo ascoltando la pioggia scorrere
sulla nostra supertenda, guardando la pioggia increspare le tranquille
acque del fiordo. Che cozy! Il giorno dopo si sale al passo che divide
l'oceano atlantico dal mar glaciale artico. Se le nostre amiche balene
volessero seguirci, invece dei nostri 40 km ne dovrebbero fare forse
1000 o 2000! Il passo e' molto tranquillo stavolta, anche se si sale
fino a quasi 500 metri: la salita e' graduale e tranquilla e scorre
via tra discussioni filosofiche, non c'e' certo da stare attenti al
traffico qui! La temperatura scende drasticamente con la quota e
presto vediamo dei ghiacciaietti ed enormi nevai. L'impetuoso torrente
e' attraversato da un solido ponte di neve e Lo vuole farsi fare la
foto sopra, nonostante Lu paventi il solito worst-case-scenario di un
meteorite che faccia cadere il ponte proprio mentre Lo vi e'
sopra. Purtroppo c'e' un profondo crepaccio che impedisce
l'avvicinamento al ponte, peccato. Ci consoliamo con un fantastico
picnic in cima al passo, svaccati su un tappeto di muschio spesso
almeno trenta cm. Una brevissima discesa consuma immediatamente tutta
l'energia potenziale gravitazionale che avevamo cosi' faticosamente
accumulato, e arriviamo al paese di Holmavik. Decidiamo di fermarci al
campeggio che e' ancora annesso alla piscina termale, action! C'e' di
nuovo magari bisogno di una doccia dato che l'ultima risale al paese
dei pescatori. Anche qui ci sono diverse vasche con il cartello con la
temperatura. Lo si fionda in quella da 40 gradi e quasi muore di shock
da abbassamento di pressione. Sopra la vasca da 40 c'e' una telecamera
che probabilmente serve al bagnino per soccorrere quelli che veramente
hanno un collasso. Che bello svaccarsi nella vasca. Poi andiamo in
paese a mangiare in un localino che secondo la guida di Lu fa "cucina
tipica", ma oggi c'e' baccala' alla puttanesca, certo ci aspettiamo
una reinterpretazione in chiave locale del piatto laziale, ma non si
tratta altro che baccala' su cui hanno versato della salsa presa da un
barattolo del supermercato. Comunque siamo talmente affamati che
mangeremmo anche i sassi con la salsa, e spazzoliamo il piatto fino
all'ultima briciola. Il giorno dopo ripartiamo con molta flemma: ormai
il viaggio volge al termine e siamo molto stanchi: Lo ha male a un
ginocchio e Lu ha le gambe in fiamme per l'acido lattico. Prendiamo
una strada secondaria che segue il fiordo principale e il poco
traffico per Holmavik si azzera. Nuovamente incontriamo dei tratti di
sterrato e c'e' una salita (per la verita' niente di particolare) che
manda Lo al tappeto ed e' costretto poco dignitosamente a spingere la
sua bici. Ci fermiamo oltre un passo in mezzo al nulla su una
spiaggetta bellissima: ultima notte in riva ad un fiordo. La mattina
dopo, mentre Lu sta facendo i suoi bisognini (certo che un bagno con
un panorama del genere chi ce l'ha!?), nota che c'e' una foca che fa
basking in the "sun" proprio di fronte alla nostra tenda, ma lo
stolido Lo, che sta poltrendo in tenda leggendo Hemingway sul suo
fedele Kobo, non si e' accorto di niente! Ultima pedalata fino a
Standvik, alla fine del fiordo. Non e' una citta', la localita'
consiste solamente nella stazione di servizio. Che fortuna, arriviamo
proprio mentre il bus per Reykjavik sta partendo e riusciamo a saltare
sopra (bici e tutto) proprio al volo. A Reykjavik andiamo in centro
con la pista ciclabile, ma decidiamo di proseguire verso l'aereoporto
in bici, piu' che altro per la pigrizia di cercare il bus per
l'aereoporto e per la speranza di vedere un altro po' di Islanda,
visto che il giorno dopo l'aereo e' solo nel pomeriggio. Infatti,
riusciamo a fare un'ultima notte allo svacco in mezzo ad uno
spettacolare campo di lava dormendo finalmente su uno di quei
fantastici tappeti di muschio da 30 cm. Decidiamo di non montare la
tenda, ormai anche se bagnassimo i sacchi a pelo non sarebbe piu' un
problema e ci addormentiamo guardando il cielo azzurro (finalmente) e
gli uccelli che lo solcano in quota. Il giorno dopo riusciamo ancora a
fare un ultimo salto nella fantastica piscina termale di Keflavik, che
spettacolo. Non solo ci sono le solite vasche calde, ma anche la
piscina da nuoto e' riscaldata e c'e' la sauna e perfino lo scivolo
acquatico (dove Lo fa la fila piu' volte insieme a torme di marmocchi,
mentre la seriosa Lu lo guarda divertita da lontano). Che modo
spettacolare di terminare il giro: tutti i giri da cicloturismo
dovrebbero finire cosi'. Il resto scorre via liscissimo: recuperiamo
gli scatoloni, smontiamo le bici, cena in aereoporto, arrivo a
Malpensa dove i genitori di Lo, gentilissimi, si sono offerti di
accompagnarci a Pavia (il nostro volo arriva troppo tardi per prendere
il treno). Siamo a casa sotto la doccia in un baleno. Fantastico giro!
Lu, che come ogni anno promette solennemente che questo e' il suo
ultimo viaggio in bici ("il canto del cigno") ha gia' iniziato a
programmare il prossimo giro in Islanda prima ancora di staccare il
sedere dal sellino! A presto, balenefochetursiopiaquile!
Considerazioni tecniche: abbiamo avuto molta piu' pioggia di
quanto ci aspettassimo, ma contrariamente a quanto ci aspettassimo non
e' mai stato un problema. Non ci e' mai capitato l'incubo di dover
montare (o smontare) la tenda sotto la pioggia battente, ne' di dover
entrare in tenda con i vestiti grondanti d'acqua. Un'unica sera siamo
entrati in tenda con i vestiti un po' umidi ed e' stato sufficiente
appenderli ad un filo nella tenda. La rete che avevamo predisposto
nella tenda e' stata inutile. Mediamente la pioggia e' molto debole ed
e' piu' che altro un leggero fastidio soprattutto psicologico: le
temperature sono abbastanza alte e la pioggia ti si asciuga addosso
prima di bagnarti veramente. Spesso non e' neanche necessario mettersi
il gore-tex, soprattutto sulle gambe (dei buoni pantaloni da bici,
come quelli di Lu, aiutano). Abbiamo avuto pioggia forte con
temperature basse per parecchie ore solo due o tre volte, e quello e'
stato veramente fastidioso (soprattutto per Lo, Lu sembrava impervia e
continuava a sorridere e a salutare gli esterrefatti automobilisti),
ma e' tollerabile con un buon gore-tex (che avevamo) e le ghettine per
tenere asciutti gli scarponi. Guanti seri sono inutili, Lo ha usato i
suoi antichissimi sottoguanti in capilene (Patagonia expedition
weight), mentre Lu ha usato con successo i guanti della sua
muta. Abbiamo piu' volte dovuto riporre la tenda ancora bagnata, ma
(avendo cura di tenere il telo esterno separato dal resto) non e' mai
stato un problema. Anche il vento non e' mai stato un problema: non
era forte e comunque, andando su e giu' per i fiordi, se era contrario
da un lato, sarebbe stato a favore dal lato successivo. In ogni caso
l'interno dei fiordi era sempre abbastanza riparato e c'era vento
soprattutto lungo i promontori. Su questo abbiamo avuto fortuna,
perche' pare che il vento sia un serio problema, soprattutto
all'interno, ma talvolta anche sulla costa. Ad Andenes, all'ufficio
informazioni turistiche ci hanno detto che una coppia francese in bici
e' stata costretta a tornare a casa l'anno prima perche' dopo una
settimana di vento forte non ne potevano piu'.