Lu & Lo cross the Andes (twice!)
17 Luglio - 21 Agosto 2013
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Una parola per descrivere il viaggio: IMMENSITA'. Immensita' degli
orizzonti che nessuna foto potrea' catturare; immensita' del cielo:
uniforme blu cobalto di giorno, ma immensamente popolato di notte;
immensita' delle distanze, spesso su strade sterrate; immensita' della
natura: la forza del vento scatenato, la potenza energetica del sole
d'alta quota, la resilienza degli animali e delle piante dell'arido
deserto; immensita' dell'escursione termica (da -13 a +15 in
giornata); immensita', ma soprattutto DIVERSITA' dei panorami: le
montagne ocra marziane, quelle grigio/nere lunari, l'azzurro intenso e
il bianco immacolato delle lagune, la terra rosa del salar di Cauchari
e il rosso intenso delle colline che lo fiancheggiano, il giallo delle
dune, il bianco delle saline e della neve soffiata d'alta quota,
l'incredibile valle della Luna e i fuochi d'artificio dei colori delle
rocce della cuesta del Lipan nella quebrada di Humauaca: tutti i
colori dello spettro in un incredibile arcobaleno fatto di rocce
giallenerebluverdiviola, le rastrellate della pioggia lungo i versanti
che ricordano le immagini della sonda Cassini da Titano: in sostanza
non troveremo piu' di 20km in tutto il viaggio con lo stesso panorama;
immensita' della fatica (una salita di 2400 m di dislivello da 2450 a
4850 con bici da viaggio stracariche da 40 kg l'una); infine,
immensita' della puzza di piedi (4 calze sintetiche e un solo paio di
scarponi per un mese nel deserto!)
L'incredibile cielo notturno: stelle, nebulose, globular cluster
visibili ad occhio nudo, satelliti che lampeggiano, stelle cadenti
come se piovesse, via lattea cosi' intensa che si vedono pure le
nebulose che la oscurano in parte, l'immensa stella rossa Antares e la
luminosissima Alpha Centauri (la stella a noi piu' vicina, una
passeggiatina di appena 5 anni luce), la croce del sud (che veramente
non e' a sud, ma indica il sud solo indirettamente), la costellazione
dello scorpione dalla lunga coda e Venere luminosissima e altissima
sull'orizzonte.
Lu e Lo partono per un viaggio ambizioso: attraversare le ande 2
(due!) volte: Argentina-Cile e ritorno. Si renderanno presto conto,
poveri, di QUANTO siano ambiziosi i loro piani, ma riusciranno a
portarli a termine? Gia' la partenza da Pavia rivela le difficolta' a
venire, e il trasferimento (in auto) delle bici fino alla stazione
provoca un cardiopalma a Lo che deve fare fischiare le gomme della sua
auto: "Lu, ti avevo detto che bisognava uscire prima!" Tutte le volte
la stessa storia. Lo, dopo aver finalmente mollato la macchina in
garage deve correre alla stazione nella canicola estiva pavese vestito
con scarponi e pantaloni da ghiaccio (in questo viaggio bisogna
assolutamente essere essenziali e Lo ha un unico paio di pantaloni
lunghi e un solo paio di calzature, i suoi fedelissimi
scarponi). Arriva sull'autobus alla temperatura della fusione nucleare
del ferro in pieno infarto acuto del miocardio e Lu si da' da fare a
cercare di rianimarlo. Lo e' devastato anche perche' e' appena tornato
(due giorni prima, due!) dal Giappone e questo e' il quarto (quarto!)
continente che visita in 6 mesi (America del Nord, Europa, Asia e
America del Sud). Il trasferimento di aereoporto a Buenos Aires e'
meno sereno del previsto: si scopre che oggi in Argentina iniziano le
vacanze invernali e Lu e Lo si devono sorbire delle code infernali sia
per prendere l'autobus (stracolmo) che per il secondo check in: una
bolgia infernale, ma finalmente riescono a sbolognare le bici ai due
ragazzi panciuti dei bagagli fuori misura che si divertono a guardare
la bolgia! A Salta per fortuna trovano un tassista con la macchina
enorme dove si possono caricare entrambe le bici e tutta
l'attrezzatura fino al Palacio Escondido, un pretenzioso affittacamere
dove la proprietaria, a cui piace chiacchierare, intrattiene Lu fino a
farle colare sangue dalle orecchie mentre Lo stolidamente fa finta di
non capire niente di Spagnolo e si da' da fare a ristemare le bici:
per fortuna l'attrezzatura ha resistito al viaggio (solo un disco dei
freni leggermente deformato) e non abbiamo dimenticato nulla nella
frenesia dei preparativi! Fa un freddo porco, pare che mai in
Argentina abbia fatto cosi' freddo, e si sentono voci di temperature
da -11 a Buenos Aires. Sicuramente c'e' una perturbazione antartica in
corso e tutti i passi per il Cile sono chiusi compresi quelli che Lu e
Lo volevano fare, speriamo bene... Partenza in bici, finalmente!!!
L'uscita da Salta e' abbastanza allucinante: il traffico e' caotico e
le persone sembrano rigurgitate in mezzo alla strada da ogni sorta di
veicolo. Lu, terrorizzata dal freddo, si ferma a comprare un gilet di
windstopper che si rivelera' un ottimo acquisto e un casco da
bici. Sbagliamo subito clamorosamente strada, e un signore premuroso
ci avvisa di cambiare direzione perche' ci stiamo dirigendo
stolidamente verso la parte brutta della citta' dove ci avrebbero
sicuramente derubatostupratouccisoespiantatogliorgani. Il primo posto
di nota e' Campo Quijano, dove Lu si fa subito ridere dietro cercando
le foglie di coca alla farmacia! Inizia una strada sterrata, ma i
nostri eroi non si fanno intimidire dai primi guadi e dalle prime
famigerate ondine di terra nella strada e proseguono imperterriti fino
alla sera, nonostante i guaiti di Lo che vorrebbe fermarsi in un
boschetto di cactus: meglio morire delicatamente tra le spine che
continuare la tortura della pedalata annebbiata da una serie di jet
lags ormai accumulatisi dopo aver attraversato una ventina di fusi
orari nella settimana passata. Nonostante tutto, la pedalata e'
gradevole in un'ampia valle dove c'e' solo la nostra strada sterrata e
l'improbabile ferrovia del Tren A Las Nubes che e' costellata di
arditi ponti e viadotti. Il traffico (tranne un mulo solidamente
piantato in mezzo alla strada) e' quasi inesistente. Lu imperterrita
non vuole fermarsi e viene arrestata solo dalla notte improvvisa, meno
male! Dormiamo come papi in un rudere nel deserto ben nascosti dalla
strada. Anche se c'e' ancora la luna, si intuisce gia' l'incredibile
cielo stellato che si svelera' solo nei giorni prossimi. La mattina
dopo, la tragedia! Si e' alzato un vento mostruoso (naturalmente
contrario, cosa poteva essere?!?) che ci soffia in faccia la sabbia e
la polvere del deserto. Siccome siamo ancora in bassa quota, Lo e'
ancora ottimista che il vento non ci impedira' il tragitto, povero
illuso. Il vento continua a salire di intensita' e ben presto diventa
improponibile stare in sella (Lu viene sbattuta a terra piu' volte e
anche la solidissima bici di Lo che ha la stessa massa di una stella
di neutroni viene sbattuta a terra in mezzo ad una costellazione di
imprecazioni del povero guidatore sbatacchiato senza cerimonie). Ci
fermiamo a rifornirci ad un negozietto, ma come al solito le persone
sono totalmente ininformative. Uno dice che non ha mai visto un vento
cosi', quello a fianco ci dice che succede una volta al mese, l'altro
dice che e' cosi' tutti i giorni, ecc. Alla fine capiamo che quando si
alza questo vento, tipicamente dura almeno 3-4 giorni e siamo un po'
scoraggiati. In tutta la giornata di strenua fatica riusciamo a fare
forse una ventina di km, cosi' non va proprio! Ci fermiamo distrutti
nuovamente in mezzo al deserto e Lo muore delicatamente nel sacco a
pelo che si sta, ahime', gia' riempiendo di sabbia! C'e' da dire che
il deserto e' spettacolare con tutti i puntuti cactus, e le prime
montagne multicolorate colorate (rosso fuoco e tutte le possibili
sfumature di marrone) e per fortuna di notte il vento si placa, ma
comunque siamo ben riparati anche stanotte. La mattina dopo, la prima
foratura! Cercare l'impalpabile sibilo di un foro in una camera d'aria
in mezzo ad una bufera di vento antartico e' improponibile, e Lo
presto perde la pazienza: per fortuna si puo' rapidamente cambiare la
camera d'aria. L'inizio del viaggio non e' dei piu' promettenti, ma
per fortuna presto cambiera' il tono! Anche oggi l'incedere e'
improponibile e Luelo perdono presto la pazienza e decidono che non si
puo' pedalare in queste condizioni. Ovviamente e' domenica e oggi i
numerosi autobus non ci sono (a meno di aspettare le 21!), quindi si
decide per l'autostop. Lu, non avvezza a questa forma di trasporto, si
lancia sotto al primo pickup che passa e lo ferma imperiosa come se
fosse un vigile. Non l'avesse mai fatto, la moglie del gentile
guidatore e' completamente psicopatica e si aspetta che Lu e Lo tirino
fuori bisturi e pompa per aspirare gli occhi ed espiantino gli organi
delle loro bambine... Lo viene fatto "accomodare" nel pianale
posteriore del pick up (con un manubrio piantato nella schiena e un
paio di borse appoggiate sulla nuca), non sia mai che decida di
espiantare un rene con il coltellino svizzero direttamente sui sedili
dell'auto, mentre Lu, forse giudicata piu' innocua (gia' questo
dimostra la totale psicopaticita' della signora), puo' anche entrare
nell'abitacolo. Tutto sommato va bene cosi', ma purtroppo Lo si
accorge che nella fretta abbiamo caricato male le biciclette e tutto
il peso delle biciclette e dei pacchi e' poggiato sul cerchione di una
delle due biciclette (e sono troppo incastrate per muoverle): questo
e' veramente un guaio perche' di li' a pochi km inizia nuovamente lo
sterrato e saremmo sbatacchiati sicuramente: se si rompesse il
cerchione sarebbe veramente un problema. Per fortuna, prima dello
sterrato il pick up si ferma perche' Lu e' preoccupata che Lo sia
scomodo: decidiamo di non rischiare di compromettere la bici e
scendiamo. Ci troviamo in un "villaggio" (tre case) in mezzo al nulla
attraversato dal rettilineo del nastro d'asfalto spazzato dal vento
furioso. Un indigeno molto gentile ci offre di aspettare dentro al suo
garage di lamiera un improbabile autobus che "dovrebbe"
passare.. Accende perfino un piccolo braciere per scaldare Lu che sta
delicatamente congelando in un angolino. Questa dovrebbe essere la
semplice tappa di trasferimento per uscire dalla civilta'?!? Siamo
seriamente preoccupati per le condizioni atmosferiche che stanno
rendendo impossibile il nostro viaggio: sopra ai 4000m le condizioni
oggi saranno completamente improponibili.. Per fortuna le condizioni
miglioreranno nettamente nei giorni successivi. Dopo un paio d'ore di
attesa diventa chiaro che l'autobus non passera', e iniziamo a pensare
nuovamente a fare l'autostop, ma non passa nessuno! All'orizzonte
spunta un enorme autotreno a 18 ruote. Lo prova timidamente ad alzare
il pollice ed immediatamente si ferma in mezzo ad un polverone
immenso, immediatamente trasportato via dal vento. Almeno non
manchera' lo spazio se Lo dovesse viaggiare nuovamente sul pianale,
abbiamo circa 1000metri cubi di spazio per due biciclette. In realta'
il camionista e' gentilissimo e non solo ci aiuta volentieri a tirare
su le biciclette, ma le fissa al camion con robuste corde. Lo si
chiede il motivo di questa strana solerzia, ma diventera' chiaro una
volta che arriveremo al pessimo sterrato prima di san Antonio de Los
Cobres. Ci invita (entrambi!) nel caldo, comodo e spazioso
abitacolo. E' uno dei numerosi tir che lavorano nelle miniere della
zona. Arrivati a san Antonio, un paese di strade sterrate e case di
mattoni di fango a 3800m di altitudine, vediamo la "nevicata" delle
Ande: si tratta di una nube di cristalli di ghiaccio che vengono
spinti in ogni direzione dalla bufera di vento: destra, sinistra, su,
dentro, fuori, ogni direzione tranne che verso il basso! Infatti la
neve non si deposita in nessun luogo, viene solo spinta dal
vento. Vedremo poi in quota che la neve si ferma solo dove viene
depositata dal vento, come se fosse stata asportata tutta la neve
depositata e fosse stata lasciata solamente la neve ventata. Vedremo
accumuli spaventosi alti piu' di 5 metri che nelle alpi potrebbero
accumularsi solo per via di slavine. Troviamo una marcissima hosteria
scelta da Lu, che di solito ha occhio, ma stavolta sbaglia
clamorosamente: la notte senza riscaldamento la temperatura interna
alla stanza arriva a 3 gradi e il cesso continua a otturarsi con
grande entusiasmo di Lu che gioisce alla vista della cacca
spumeggiante che si aggira nella tazza. Per fortuna la doccia e'
caldissima (fin troppo) ed in fondo questa e' la cosa piu' importante
in questo momento. Mangiamo una buonissima cazuela di llama
(spezzatino di carne di lama) e bistecca della medesima
specie. Aspettiamo una giornata nella speranza che il vento diminuisca
e ne approfittiamo per una passeggiata nei dintorni della
citta'. Facciamo la via crucis che arriva a 4000m, ed e' proprio una
via crucis in mezzo alla bufera di vento: le antenne e i cavi sulla
collina dietro alla via crucis fischiano con un do diesis maggiore a
causa del vento. Lo cerca di calcolare la velocita' del vento dalla
tonalita' del fischio. Dopo andiamo alla stazione e saliamo sulle dune
di sabbia dietro, una lunga passeggiata nel deserto: basta
allontanarsi di un km che ci troviamo in mezzo al nulla piu' totale,
in lontananza delle altissime montagne. Il giorno dopo, il vento e'
finalmente scomparso totalmente, ma il passo Sico per il Cile e'
ancora clamorosamente chiuso (rimarra' chiuso per un mese!), e
decidiamo di cambiare il nostro giro: andiamo verso Susques passando
da Sey. Usciamo dalla citta' con un tempo spettacolare per la pedalata
e ci troviamo su uno sterrato comodo e senza traffico. Sosta a
Viaducto La Polverina, due case sotto ad uno spettacolare viadotto del
treno che pare sia il piu' alto (come altitudine) di tutto il
continente. C'e' anche un negozietto per "turisti" molto ingenuo. Per
fortuna che siamo in bici, perche' altrimenti Lu avrebbe comprato
tutto: berretti, maglioni, ponchi, tisane, tutto a base di lana di
lama (anche le tisane). Lu riesce finalmente a comperare le foglie di
coca contro il mal di montagna, un intruglio disgustoso: sembra di
succhiare francobolli muffiti. L'aria e' comunque molto fredda e i
nostri eroi si concedono una tisana di coca (Lu) e una cioccolata
calda (Lo): si tratta di latte scaldato con dentro un paio di
quadretti di cioccolato sciolti, buonissima. Rifocillatisi, si riparte
con un clamorosissimo guado nel deserto che la perturbazione antartica
ha reso una impeccabile lastra di ghiaccio
scivolosissima. Naturalmente la leggiadra Lu passa senza problemi,
mentre il sovraccarico Lo sfonda clamorosamente il ghiaccio in una
pioggia di imprecazioni: guai a bagnarsi l'unico paio di scarpe a
queste temperature!!! La pedalata e' incredibilmente bella e la strada
si snoda in larghe valli in mezzo al completo e totale nulla. I colori
delle montagne sono spettacolari e attraversiamo alternativamente
paesaggi marziani (rosso ocra) e lunari (grigio/nero), ma con
abbondanti graminacee gialle che danno un tocco di colore che
contrasta il blu profondo del cielo. Ad un certo punto ci troviamo in
un infinito altipiano dominato da una montagna (vulcano?) altissima
che si erge nel mezzo della pianura. Verrebbe voglia di piantare la
tenda qui e provare a salirci! La strada continua a salire finche'
arriviamo al passo a oltre 4500m di altitudine, dove stremati
decidiamo di fermarci. Anche oggi siamo in un comodo rudere (ma
perche' a questi benedettissimi andini non gli interessa avere un
pavimento liscio e in piano!??). Fa un freddo cane, ma siamo ben
attrezzati e questo non e' un grosso problema, tranne che alla mattina
dobbiamo rompere il ghiaccio delle sacche d'acqua (dromedary) per
cercare di spremere quel po' di acqua liquida rimasta per fare il
te'. Uno spettacolino che ci diventera' presto familiare durante
(quasi) tutti i nostri pernottamenti nel deserto. Gli ultimi giorni ci
faremo furbi e (quando non c'e' vento) metteremo l'acqua nella teiera
gia' alla sera prima. La mattina dopo, una nuova foratura, ma oggi
l'entusiasmo e' alle stelle ed e' quasi un piacere sistemare la bici:
in 5 minuti si riparte. Si scende lungo una valle lungo un torrente,
valle costellata di enormi roccioni caduti da delle spettacolari
falesie che ci circondano come una corona. Ci fermiamo per una seconda
colazione (che fame a pedalare!) sotto un sasso al sole in mezzo al
nulla, com'e' bella la vita cosi'! Passiamo da Sey, uno degli
allucinanti paesini persi in mezzo al nulla. Tutto e' rosso: le case
(muri, tetti, porte, perfino finestre), le strade, i lama e perfino i
polverosi abitanti! Siamo ora in una infinita pianura che sembra
estendersi per centinaia di chilometri (e forse e' proprio cosi'!). La
strada e' un rettilineo che si perde all'orizzonte come nei
film. Vediamo i primi avvistamenti naturalistici: dei vicunas (lama
selvatici) e un uccello che Lu battezza il gufo del deserto. Purtroppo
a Lu viene uno dei suoi scleri da pedalata e non vuole piu' fermarsi,
anche se attraversiamo posti spettacolari: vuole arrivare a tutti i
costi a Susques e finiamo per accumulare una quantita' impressionante
di chilometri su sterrato. Susques e' un posto allucinante dove le
strade (tutte naturalmente sterrate e attraversate da rigagnoli di
acqua putrida) sono tappezzate di lunghissimi tir che sostano a motore
acceso ammorbando l'aria. Le case sono tutte mezze demolite o
cadenti. Dei tre alberghi in citta' il primo (scelto da Lu via
internet) sembra abbandonato e sembra che sia esplosa una granata nel
cortile, il secondo e' chiuso, e veniamo scacciati in malo modo dal
terzo: una stanza?!? che richiesta assurda. Per fortuna avevamo visto
un albergo appena fuori citta' e ci dirigiamo a questo che e' tutto
sommato gradevole. Ha anche una stufa elettrica e gia' pensiamo di
dormire al caldo ma la stufa cessa irrimediabilmente di funzionare
dopo pochi minuti: che sola clamorosa. Almeno la doccia e' calda e la
colazione (spazzolata in un microsecondo) e' buona: cubetti di
mappazza (una specie di pasta sfoglia salata) con marmellata e latte
caldo o te'. Riusciamo a fare la spesa a Susque con gran schifo di Lu,
che osserva i cani randagi del paese entrare senza problemi nel
negozietto e mettersi tranquillamente a mangiare la spazzatura
accumulata sul pavimento. Si parte con molta flemma per il passo di
Jama, che e' il secondo passo andino che avevamo in programma. La
strada ora e' asfaltata e scorre via veloce. Dopo pranzo, una volpe
viene attirata dalla puzza di pesce della pessima scatoletta di alici
del pranzo (alici, cubetti di mappazza e banane) e ci accompagna
speranzosa per un paio di tornanti. Scendendo per una discesa
intravediamo in lontananza una delle meraviglie del viaggio: un enorme
salar (Salar di Ollaroz) che costeggiamo per decine di chilometri. In
lontananza della altissime montagne svettano all'orizzonte. Le
montagne piu' vicine a noi sembrano interamente di sabbia. Rettilinei
infiniti durano intere ore di pedalata. Ciononostante il panorama
continua a cambiare: in tutto il viaggio raramente vediamo lo stesso
paesaggio per piu' di venti chilometri! La bici si rivela ancora una
volta il mezzo ideale per visitare queste zone (almeno quando non c'e'
vento!). Purtroppo un po' di vento ora si alza, ma e' piu' che
accettabile per fortuna. Lo tenta inutilmente di spiegare il concetto
di progressione in scia, ma la stolida Lu continua a perdere la scia
di Lo. Ci fermiamo in mezzo a due enormi montagne di sabbia in pieno
deserto e dormiamo comodissimi sulla sabbia. Siamo sicuri di bucare
con tutti i cactus che costellano il deserto, ma siamo fortunati! Il
giorno dopo nuovamente sbuchiamo su immensi altopiani marziani e ci
aspettiamo di vedere dietro qualche curva i nostri eroi robottini
Spirit e Opportunity che stanno esplorando assiduamente. Ad un certo
punto vediamo degli animali stranissimi: sono i nandu', una specie di
struzzi andini. Arriviamo a Pueblo de Jama a fianco ad un ennesimo
salar, e Lo con il binocolo da lontano ha gia' individuato un posto
per la notte poco oltre il paesino: povero illuso!! Al paese veniamo
messi a terra: il passo e' chiuso e non si puo' attraversare la
frontiera che e' appena fuori del paese. Cerchiamo di pietire la
inflessibile doganiera: in bici ci metteremo almeno due, forse tre,
giorni per arrivare al passo. Se il passo aprira' nei prossimi giorni,
ci faccia passare lo stesso! Le preghiere di Lo rimangono
inascoltate. Almeno scopriamo che in un paio di giorni il passo
aprira' e gia' questa e' un'ottima notizia, visto che e' stato chiuso
per oltre una settimana, forse una decina di giorni. Tutto sommato il
deserto qui e' molto bello e decidiamo che dedicare un giorno alla sua
esplorazione non e' certo tempo buttato. La stazione di servizio ha un
paio di stanze ed e' accogliente nonostante la poca gentilezza dei
benzinai. Almeno ci fanno mettere le bici direttamente nella stanza e
cucinare con il fornelletto (a benzina) direttamente nella stanza:
siamo comodissimi tutto sommato, anche se il riscaldamento fa le
bizze. La mattina dopo il passo e' ancora chiuso, e, come previsto,
decidiamo per un giro nello spettacolare deserto. Seguiamo una strada
sterrata che si addentra nel nulla e dopo un paio di chilometri ci
troviamo effettivamente nel mezzo del nulla: la strada finisce ad una
sperdutissima fattoria abbandonata dietro cui non c'e' piu'
niente. Molliamo le bici lungo un torrente paludoso completamente
congelato e superiamo delle basse dune: siamo in uno spettacolare
altipiano incoronato da altissime montagne. In lontananza una oasi e'
circondata da vicunas che corrono velocissimi per il deserto. Ci
rilassiamo passeggiando nel deserto e discutendo di cose nostre. Si
torna al motel e stiamo tranquilli per il resto della giornata,
facendo la conoscenza con alcuni simpaticissimi camionisti del
Paraguay e Uruguay che su lunghissimi tir portano scassatissime
macchine impilate l'una sull'altra dal Giappone al loro paese per il
mercato dell'usato. Sono stupitissimi del nostro giro e ci chiedono
divertiti se lo facciamo per qualche competizione. Il giorno dopo,
come promesso, il passo viene aperto e si scatena la corsa al
passaggio. Temiamo di trovare un traffico mostruoso, perche' i tir si
stanno allineando alla frontiera dal giorno prima attirati dalla
promessa dell'apertura del passo. In realta', per fortuna non sara'
cosi'. Le pochissime macchine passano tutte praticamente assieme a noi
e ci lasciano subito indietro, mentre i tir vengono centellinati dalla
frontiera (e scopriremo presto il motivo). Dopo la frontiera si sale
bruscamente e si attraversa un nuovo lunghissimo altopiano
marziano. Si arriva poi ad un salar immenso dove Lu vede i rarissimi
fenicotteri cileni ed entra nel Nirvana della piena modalita'
naturalistica. Per fortuna Lo aveva portato il suo binocolo compatto
che viene consumato visibilmente a furia di guardare. Sopra alla
laguna c'e' una doppia montagna marziana che e' identica a quella
"twin peaks" della famosa foto della sonda Pathfinder. Si procede fino
ad una seconda laguna spettacolare bordata da montagne marziane dove
ci fermiamo per pranzo. Nuovamente purtroppo Lu entra in modalita'
pedalata e non vuole piu' fermarsi fino allo stremo delle
forze. Effettivamente forse vale la pena pedalare finche' non c'e'
vento. I nostri eroi quindi si arrampicano verso il passo piu' alto
del giro a 4850 metri di altitudine (grossomodo l'altezza del Monte
Bianco, la piu' alta vetta in Europa). Attraversano un altopiano
costellato da stranissime formazioni di roccia che sembrano enormi
menhir piantati da un gigante. Ad un certo punto, uno spettacolo
totalmente inaspettato: una fila chilometrica ininterrota di tir fermi
nel nulla del deserto. Lu scoppia a ridere: un attimo prima era in
ansia da isolamento desertico e di colpo si trova in mezzo ad una
congestione stradale degna di Roncobilaccio/Barberino del
Mugello. Superiamo agilmente tutti i camion in fila, che putroppo
rovinano il paesaggio totalmente alieno di alte guglie di roccia e
falesie che stiamo attraversando, ma forse lo rendono ancora piu'
surreale: sembriamo personaggi di un quadro di Dali'. Un camionista ci
apostrofa divertito dal finestrino: "usted es locos!" Effettivamente
siamo una coppia piuttosto improbabile. Dopo un po' scopriamo il
motivo della congestione: uno dei tornanti della strada appena sotto
il passo e' completamente bloccato per la neve. "Completamente"
bloccato e' un understatement: c'e' un accumulo spesso oltre cinque
metri e lungo un paio di chilometri (come scopriremo solo molti giorni
piu' avanti). Addirittura hanno dovuto aprire con le scavatrici una
strada nel deserto e i tir non riescono a fare la salita ripida sullo
sterrato e devono essere trainati dalle ruspe uno per volta. Luelo,
con i loro potenti mezzi fuoristrada salgono agilmente lo sterrato
verticale sotto gli sguardi divertiti dei camionisti e dei
ruspisti. Eccoci al passo: il punto piu' alto di tutto il giro!
ACTION! Via di corsa: bisogna cercare di arrivare al prossimo muretto
perche' a queste quote non ci fidiamo a dormire con la tenda in mezzo
al deserto, se si alzasse il vento sarebbe un guaio! Lungo la strada
ci sono (a distanze di una trentina di chilometri) alcuni muretti
circolari dove ci si puo' riparare dal vento. Arriviamo stremati al
muretto mentre il sole sta gia' tramontando e montiamo rapidamente la
tenda (la prima volta che la usiamo) al riparo del muretto. Il muretto
affaccia su un aquitrino infinito e spettacolare. Lo stellato stanotte
e' il piu' bello che Lu e Lo abbiano mai visto: siamo a centinaia di
chilometri dal paese e dalla luce elettrica piu' vicini a 4600 m di
altitudine in mezzo ad un deserto secchissimo e non c'e'
luna. Miliardi e miliardi e miliardi di stelle occhieggiano. Il bianco
della neve sull'aquitrino riflette il chiarore quasi abbagliante della
via lattea! Nonostante il freddo intenso, Luelo si affacciano
ripetutamente dalla tenda avvolti dai loro sacchi a pelo tattici per
bearsi dello stellato spettacolare. Il giorno dopo siamo tutti rotti
per la pedalata del giorno prima, ma vogliamo approfittare delle
condizioni climatiche bellissime. Oggi abbiamo un altro passo ad oltre
4800m. Prendiamo l'acqua rompendo il ghiaccio con gli scarponi: puzza
di zolfo terribilmente, ma tutto sommato e' bevibile. Con un sonoro
schianto di ghiaccio fratturato, Lo finisce con le scarpe nell'acqua
in una nuvola di imprecazioni e risate della perfida Lu, ma per
fortuna riesce a non bagnarsi le preziosissime calze. Il passo si
affaccia sul vulcano Licancabur che a sua volta si affaccia su una
laguna boliviana bellissima (Laguna Verde). Decidiamo, ahime', che
vale la pena andare a dormire li' e abbandoniamo l'asfalto per il
pessimo sterrato che si avvia verso la Bolivia. La dogana sembra
completamente abbandonata e Lu e Lo sono gia' entrati clandestinamente
in Bolivia quando vengono fermati dallo strombazzare del clacson di un
fuoristrada che scende a rotta di collo dalle pendici del Licancabur:
ecco il poliziotto della dogana che probabilmente era andato a farsi
un giro con i suoi amici delle fantozziadi che portano i turisti in
fuoristrada alla laguna. Certo che probabilmente eravamo i primi
turisti a passare la frontiera in almeno una settimana! Lu si
arrabatta a spiegare che non siamo clandestini e cerca di compensare
promettendo che avremmo fatto un viaggio interamente in Bolivia l'anno
prossimo. Il doganiere ci guarda divertito: certo non si aspetta
clandestini che vogliono entrare in Bolivia, e sicuramente non
attraverso questo passo e magari non su biciclette da 1500 euro l'una
(almeno quella di Lu, quella di Lo e' ormai un rottame da 20
euro). Nonostante le false promesse dei cartelli stradali (forse qui
non conoscono il sistema metrico decimale?), la pedalata fino
all'ingresso del parco delle lagune e' lunghissima. Finalmente
arriviamo, ma siamo clamorosamente messi a terra: la guardiaparco ci
dice che non si puo' dormire in tenda nel parco. Si puo' solo dormire
nel rifugio, ma accettano solo soldi boliviani. Siccome non c'e' certo
una banca dietro l'angolo e il pesos boliviano non e' una delle valute
principali, la cosa suona strana. Alle nostre proteste, scopriamo che
e' anche possibile usare pesos cileni o dollari americani. Siccome noi
abbiamo solo pesos argentini ed euro, siamo complementari! Nonostante
l'assurdita' della situazione (il parco e' al confine con Cile e
Argentina, perche' accettano solo valuta cilena?!) e le nostre offerte
di pagare con cio' che abbiamo, la guardiaparco e' inflessibile. Senza
neanche offrirci un bicchiere d'acqua ci espelle dal parco. Siamo a
pochi minuti dal tramonto, in mezzo ad un deserto, in bicicletta (e il
ritorno e' in salita!). Chiediamo almeno di poter mettere la tenda
fuori i confini dal parco, ma non c'e' verso: il parco si estende fino
alla frontiera, bisogna proprio uscire dal paese. La cosa e' veramente
grave: se si alzasse il vento ora sarebbe per noi proprio un guaio
serio, non c'e' certo tempo di trovare un riparo prima del
tramonto. Per fortuna (molta fortuna) non c'e' un alito di
vento. Partiamo arrabbiati neri e il povero poliziotto di frontiera ci
rivede stupito poche ore dopo che eravamo passati nel verso
opposto. Veramente la Bolivia e' stata poco accogliente
(understatement). La laguna, intravista in lontananza, e' pero'
bellissima, con un azzurro intenso che riprende il colore del cielo e
un bianco immacolato del sale. Ci fermiamo poco dopo la frontiera in
mezzo al deserto: Lu e Lo non riescono piu' a muovere un passo. Per
fortuna siamo abbastanza comodi nonostante il freddo, e non c'e'
assolutamente vento. Il giorno dopo rientriamo sull'asfalto e via fino
a san Pedro. Lungo la strada vediamo un campo minato (ci mancava pure
questo!), residuo di una guerra dimenticata tra Argentina e Cile. Alla
frontiera cilena dobbiamo fare passare tutte le borse attraverso ai
raggi X, non sia mai che importiamo illegalmente qualche fico secco!
Strano che non dobbiamo smontare i telai delle bici. Dopo una pausa di
arrivo alla piazza del paese, troviamo un bel residencial che la
preziosa Lu trovi di suo gradimento, gestito dal simpatico Mattias che
guadagna milioni di punti anche presso Lo quando ci suggerisce il
migliore ristorante di San Pedro: "Le delizie della senora Carmen",
dove c'e' un'ottima empanada de pino, lo strudel di mele e lo jugo di
mango, una delizia di cibi locali (e un po' meno locali, ma lo strudel
era buonissimo!) Diventeremo presto degli habitue', e ceneremo dalla
senora Carmen tutte le sere di San Pedro, tranne l'ultima sera dove
siamo abbagliati e finiamo nella classica trappola per turisti, dove
Lo ordina un pollo al curry (anche questo non molto locale!) e se lo
vede arrivare in un improbabile contenitore che e' una noce di cocco
svuotata (che cosa c'entri con il pollo al curry o con San Pedro di
Atacama bisognerebbe chiederlo al cuoco, ma probabilmente deriva dagli
abbondanti funghi allucinogeni che evidentemente il cuoco deve
ingerire in quantita'). Lu si diverte un sacco. La mattina dopo,
invece di riposare, siamo di nuovo in sella alle nostre fedeli bici:
vogliamo assolutamente visitare la valle della Luna. Lo si aspetta di
essere catapultato sull'omonimo satellite, perche' sulle Ande aveva
gia' visto panorami che sembravano copiati pari pari dalle foto
dell'Apollo 17, ma non e' cosi'. A parte qualche scorcio, la valle
della Luna non ricorda molto la Luna, ma e' comunque un luogo
completamente alieno e sembra di essere sul set di Star
Wars. Improbabili canyon scavati nel sale con stranissime stalagtiti e
stalagmiti di roccia; goulotte dove colate di sabbia prendono il posto
del ghiaccio e della neve; dune liscissime e delicatamente ondulate
che sembrano rappresentazioni di funzioni matematiche a 3 dimensioni;
coloratissime e ondulatissime creste di colline che unanimemente Lu e
Lo decidono essere copiate pari pari dalla casa Batlo' di Gaudi' a
Barcellona, oppure dalla cresta di un drago o di uno stegosauro;
liscissime e colorate falesie dove uno si aspetta di vedere indiani in
agguato pronti a saltare addosso agli sventurati cowboy di passaggio;
anche qui l'orizzonte e' immenso e in lontananza tra le guglie della
valle della luna spunta l'imponente vulcano Licancabur che domina su
tutta la larghissima valle. Lu e Lo scattano foto a manetta,
consapevoli che nessuna macchina fotografica potra' dare una pallida
idea di tutto cio'. In tutto il parco non c'e' assolutamente nessuno e
Lu e Lo devono attendere a lungo per trovare un unico turista che gli
faccia la foto, dove sono tutti? Questo e' il posto piu' ovvio da
visitare! Viene fuori che le fantozziadi da San Pedro arrivano solo
alla sera per via del caldo e quindi i nostri eroi possono aggirarsi
ed ammirare i colori e le strutture artistiche naturali tutto il
giorno indisturbati. Il caldo si sente, ma e' sopportabilissimo per Lo
e fa praticamente freddo per la termofila Lu. Iniziano solo alla sera
ad arrivare i pulmini e le macchine in affitto dei turisti, quando noi
siamo gia' pronti a tornare a casa. Lo riesce a rendere la giornata
piu' interessante decidendo di perdere le chiavi del lucchetto delle
bici in mezzo al deserto quando ormai ci stiamo gia' avviando verso
San Pedro, e dobbiamo rifare il giro ancora una volta per ritrovarle,
nonostante la probabilita' termodinamicamente trascurabile di avere
successo in una tale impresa. Eccole! Lo le trova e ha la rivalsa su
Lu che dice sempre che lui non osserva niente. Rientriamo al paese (e
alle delizie della senora Carmen) totalmente disfatti dalla
stanchezza, ma con gli occhi pieni di meraviglie. Il giorno dopo
decidiamo di riposare, ma nulla puo' tenere ferma Lu, vediamo la
pubblicita' di una fantozziade che pubblicizza un viaggio in bici ad
una laguna a "soli" 18 km di distanza e decidiamo di andare a
rilassarci sulla riva della laguna. Peccato che la strada di 18 km non
appaia nelle nostre scadentissime cartine (possibile che in tutta
l'Argentina e Cile non esistano delle cartine geografiche che non
sembrano disegnate da un dodicenne con i pastelli a cera tracciando
dei segni a caso!?). Quindi partiamo convinti lungo la strada
principale e al diciottesimo km di noiosissimo asfalto scopriamo
sgomenti che siamo circa a meta' strada per la laguna, e che il resto
della strada e' uno sterrato pessimo: ondine e sabbia! Come Dio vuole,
dopo aver fatto quello che ci sembra essere 2000km di deserto tutto
assolutamente uniforme, finalmente arriviamo alla laguna e sveniamo
delicatamente sulla bianca spiaggia di sale. Effettivamente il viaggio
ne valeva la pena: ci sono due lagune azzurrissime e bordate di
spiagge bianche di sale. Sembra uno scorcio di Seychelles piovuto dal
cielo in mezzo al deserto cileno, un contrasto incredibile. Se non ci
fosse il Licancabur che occhieggia in lontananza, ci verrebbe il
dubbio di essere stati teletrasportati in qualche isola tropicale! Lu
e Lo gia' si pregustano il bagno, ma basta infilare i piedi per
scoprire che l'acqua e' alla temperatura dell'azoto liquido. Inoltre
un, ormai purtroppo familiare, vento polare si alza ben presto e
spazza senza mostrare alcuna pieta' l'immensa pianura. Certo non siamo
invogliati a fare il bagno. Arriva un rasta che per farsi bello
davanti alla sua improbabilmente splendida donna si lancia di getto
nell'acqua. E' buffo vedere che non riesce proprio ad andare a fondo:
l'acqua (salatissima) ha quasi la densita' del mercurio e il rasta
galleggia vistosamente. Lo si sente punto sull'orgoglio e decide che
anche lui deve fare il bagno, mentre Lu (che tipicamente non ha
problemi a lanciarsi nell'acqua gelata) accampa la scusa che le piaghe
al sotto-sedere dovute al sellino si infetterebbero a contatto con
l'acqua salata. Effettivamente, e' probabile che le acque siano
assolutamente tossiche con sali di litio, potassio, arsenico (e tutto
il resto della tavola periodica) come per il mar morto, e forse non e'
proprio il caso di farsi il bagno con ferite aperte. Lo opta per la
tecnica graduale e riesce piano piano ad immergersi con grande invidia
per il rasta che ha esaurito tale temibile tortura in pochi
millisecondi tuffandosi di testa. Finalmente anche lui galleggia, ma
fa troppo freddo: fuori di corsa. Il costume rimane totalmente rigido
di sale e sembra fatto di cartoncino. Grosse croste di sale lo
ricoprono da testa a piedi. Per fortuna il ritorno a San Pedro e' meno
devastante perche' ora troviamo la famosa strada da 18 km ed e' quasi
scorrevole: poche ondine e poca sabbia. La sera decidiamo anche noi di
partecipare ad una fantozziade, che si rivela, fortunatamente
tutt'altro che una fantozziade: la visita guidata al cielo di
Atacama. Un pulmino ci porta fino ad una casa che e' ancora
praticamente in citta', ma cionostante il cielo e' scurissimo (non
certo come lungo il passo di Jama, ma possiamo decisamente
accontentarci!). Un omone entusiasta piu' largo che alto ci illustra
con il suo puntatore laser verde il cielo australe e ci fa vedere le
sue meraviglie attraverso due bellissimi telescopi
amatoriali. Scopriamo cosi' le costellazioni dell'altro emisfero e
tutte le ricchezze che esso presenta. Non solo vediamo Saturno e i
suoi anelli che da entrambi i telescopi si vedono perfettamente, ma
vediamo pure un'altra galassia, la famosissima "sombrero galaxy" che
e' visibile (appena appena) solo al telescopio: uno scorcio
dell'universo che forse e' il luogo piu' lontano che Lo abbia mai
visto ad occhio nudo. Il cielo qui e' talmente luminoso e pieno di
stelle che gli antichi andini vedevano le costellazioni non
congiungendo le stelle come facciamo noi, bensi' guardando le poche
zone scure del cielo. Per loro la costellazione del lama era una
nebulosa scura sulla via lattea, ecc. Non solo il cielo e' bellissimo,
ma anche l'entusiasmo del nostro largo cicerone e' veramente
contagioso. Ci porta anche al piano di sotto dove, dopo un breve
rinfresco di biscotti, te' e superalcolici, proietta su una pareta
alcune foto spettacolari prese dai telescopi andini: non lontano da
qui ci sono i telescopi della rete ESO (European Southern Observatory)
che sono i migliori al mondo, escludendo l'Hubble space telescope. Il
giorno dopo ci facciamo abbindolare nuovamente da una pubblicita' di
fantozziade: pubblicizza i geiser del Tatio, che scopriamo essere dei
bellissimi geiser ad "appena" un centinaio di km da San Pedro: che ci
vuole?! Scopriremo presto cosa ci vuole!! Secondo la nostra cartina
tali geiser sono a 4200m di altitudine (scopriremo dopo che in realta'
e' quasi 4400!) e a 90km di distanza. Ingenuamente pensiamo che avremo
una salita graduale dai 2400m di San Pedro. Ad un bivio, decidiamo
(piu' o meno a caso) di prendere una delle due possibili strade
segnate dalle nostre pessime cartine, ma sbagliamo clamorosamente. La
strada inizia impietosamente a salire verticale, il fondo stradale
peggiora sempre piu', e presto si inizia a spingere le bici cariche su
strade verticali che da noi verrebbero classificate free climbing di
grado 5a+. Non passa assolutamente nessuno. Ci fermiamo a dormire
vicino ad un torrente secco in mezzo al nulla. Ora che sappiamo
riconoscere i riferimenti del cielo, ci divertiamo a ritrovarli e a
guardarli con lo scassatissimo binocolino di Lo. All'inizio non fa
neanche troppo freddo. Cosa c'e' di piu' bello di rintanarsi in un
caldo e morbido sacco a pelo, stesi sulla sabbia, guardando con un
binocolo un meraviglioso cielo stellato per ore?! Solo l'estrema
stanchezza ci fa prendere finalmente sonno e perdiamo conoscenza come
se ci avessero anestetizzato. Il giorno dopo purtroppo riprende il
vento e la strada continua impietosa a salire! Arriviamo a 4300m e
siamo solo a una trentina di km da San Pedro. Iniziamo a disperare di
arrivare ai geisers e ormai siamo convinti che abbiamo sbagliato
strada: in tutta la giornata non e' passato neanche uno dei pulmini
delle fantozziadi che siamo sicuri vanno ai geiser
numerosissimi. Abbiamo anche quasi finito l'acqua, nonostante avessimo
fatto abbondanti scorte a San Pedro: il paese dove pensavamo di
rifornirci d'acqua (segnato su tutte e tre le nostre penosissime
mappe) non esiste proprio. Semplicemente, li' dove avrebbe dovuto
esserci il paese non c'e' assolutamente nulla, neanche un rudere!
Arriviamo ad un altopiano e Lu inizia a dare segni di cedimento. Lo e'
preoccupato perche' Lu tipicamente va tranquillamente fino a quando
cede di schianto, si siede e decide che non si muove neanche di un
micrometro. Qui una situazione del genere non si puo' fare,
soprattutto in assenza di acqua. Il vento inizia a prendere forza e
presto diventa anche difficile pedalare. Vicino ad un paese
completamente abbandonato vediamo che la strada sembra salire
all'infinito (scopriremo poi che arriva a 5300m di altitudine) e ci
scoraggiamo definitivamente. Lo fa un ultimo tentativo, lasciando Lu a
riprendersi un attimo mentre si gode il panorama: va fino in fondo al
rettilineo per vedere se per caso ci fosse un bivio (che sembrerebbe
ovvio aspettarsi) o almeno un torrente o un accumulo di neve dove
prendere l'acqua. Niente! Lu nel frattempo si e' per fortuna ripresa
grazie al panorama spettacolare. Domina l'altipiano un altissimo
vulcano dal nome buffo quanto volgare, su cui si vede in lontananza la
bufera di neve sollevata dal vento. L'altopiano infinito, popolato
solo dai vicunas (a parte i pochi ruderi nell'angolino), sembra preso
da un altro pianeta. Ciononostante la vegetazione sembra molto
rigogliosa, dominata da strani verdissimi cespugli che incuriosiscono
molto Lu. Decidiamo che ne abbiamo avuto abbastanza e torniamo a San
Pedro, dove scopriremo (guardando google maps dal cellulare) che dal
punto dove siamo tornati indietro mancavano solo un paio di km dal
bivio che effettivamente avevamo intuito! Inoltre il dislivello era
finito: saremmo rimasti piu' o meno alla stessa quota fino ai famosi
geisers (e la strada che saliva a 5300 non era da prendere!) Peccato,
ma in queste condizioni e' sempre meglio essere conservativi e, viste
le informazioni che avevamo sulla strada e l'apparente impossibilita'
di fare rifornimento di acqua, la nostra era la sicuramente strategia
da tenere. Lu, grandissima, la prende con molta filosofia: decide che
comunque ne e' valsa la pena perche' abbiamo attraversato un
bellissimo deserto molto diverso da quelli che avevamo visto in
Argentina (molto piu' desolato e arido) e perche' l'altopiano del
vulcano e il vulcano spazzato dal vento erano veramente
spettacolari. A San Pedro perdiamo conoscenza dopo una spettacolare
cena dalla senora Carmen che meriterebbe un monumento e una medaglia
d'onore per lo strudel. Il giorno dopo, Lu incrollabile vuole visitare
altri milioni di posti. Lo si impone: oggi non si muovera' di
picometro, che Lu vada pure dove vuole, lui se ne vuole stare
tranquillo a recuperare. Lu parte quindi all'esplorazione, fa amicizia
con un'improbabile ragazza tedesca che ha un negozio di sapone a San
Pedro e visita il museo antropologico e milioni di altri posti
interessantissimi, comparendo all'ostello di quando in quando nel
disperato quanto vano tentativo di smuovere lo statuario (nel senso di
immobile) Lo che si e' avvitato il sedere ad un'incudine da officina e
resiste ad ogni tipo di lusinga. Decidiamo che e' ora di tornare in
Argentina. Anche se ormai e' solo una domanda accademica, chiediamo se
il passo Sico e' stato finalmente riaperto, e il sorpreso doganiere ci
guarda come se gli stessimo chiedendo di una strada per Alpha
Centauri: certo che e' ancora chiuso il passo Sico, cosa pensavate?!
Partiamo quindi nuovamente per il passo di Jama, ma fatto al contrario
sembra un altro posto: la prospettiva e' completamente ribaltata. Ad
esempio, stavolta l'infinita discesa finale e' una infinita salita:
2400 m di dislivello (da 2450 a 4850) senza soluzione di
continuita'. Con le bici stracariche di viveri e acqua, non e' affatto
uno scherzo. Il primo giorno riusciamo comunque a farne 1800 prima di
svenire delicatamente al lato della strada sotto al vicinissimo
Licancabur. Il secondo giorno siamo superaction: passiamo in
scioltezza il primo passo godendoci (stavolta ad una distanza di
sicurezza) la bellissima Laguna Verde boliviana. Ci fermiamo per il
pranzo all'acquitrino dove avevamo dormito all'andata. Visto di giorno
e' bellissimo. Siamo supermotivati e si alza anche un po' di vento,
finalmente a nostro favore! Decidiamo quindi che cerchiamo di
raggiungere il successivo muretto per la notte. Attraversiamo una
larghissima valle che all'andata ci eravamo completamente persi per
via del vento contrario e del crepuscolo. E' un posto spettacolare, di
una bellezza mozzafiato, soprattutto per l'idea di quanto e'
totalmente isolato, selvaggio e in mezzo al nulla. In lontananza si
vedono delle valli nascoste che vanno verso il nulla piu'
totale. Guardando la mappa si vedono buchi bianchi grandi centinaia di
km, dove non c'e' assolutamente nulla. Valli, colline e altissime
montagne senza soluzione di continuita'. Con l'aiuto del vento a
favore, riusciamo anche a fare il secondo passo a 4800 in
scioltezza. Questa e' vita!! La strada e' ora stata pulita e vediamo
il solco delle scavatrici che hanno sgomberato gli incredibili
accumuli da 5 metri: un'opera titanica. La discesa con il vento a
favore e' incredibile: a Lo cade l'occhio sul tachimetro e scopre con
terrore che sta andando a 87 km/h, quando gli sembrava di stare quasi
fermo! Sicuramente ha stabilito il record di velocita' per mountain
bike in assetto da spedizione. Anche la prudentissima Lu ferma il "max
speed" del suo gps su un rispettabilissimo 60 km/h senza neanche
essersi messa il casco. Meglio darsi una regolata: il vento e' ora
evidentemente salito parecchio! Ci fermiamo al muretto della laguna e
nuovamente montiamo la tenda (per la seconda e ultima volta). La
laguna al tramonto e' spettacolare. La mattina dopo Lu, detta occhio
di lince, vede un altro fenicottero e scopre anche che la laguna fuma
da un angolino. L'intrepido Lo si lancia alla scoperta e trova che
effettivamente in un angoletto il ghiaccio e' sciolto e bolle di
dubbioso gas sicuramente velenosissimo si sollevano dalla
laguna. Sicuramente un effetto geotermico. Arrivati alla frontiera
Argentina ci fermiamo allo stesso motel marcio della stazione di
servizio, ormai a noi familiare. Il giorno dopo si riparte: ancora il
vento a favore ci fa godere il panorama molto piu' che
all'andata. Sembra che di qua non siamo passati affatto: colline
marziane e il salar sembrano l'ennesimo nuovo panorama da
attaversare. Sotto "suggerimento" della perentoria e infaticabile Lu,
decidiamo di non tornare fino a Susques, ma di deviare verso sud lungo
il bellissimo panorama del salar di Cauchari. Ottima scelta: il salar
(lungo cui avevamo gia' fatto decine di km piu' a nord all'andata, a
nord e' il salar di Ollaroz) e' uno dei panorami piu' belli che
vedremo. Una distesa di sabbia rosa perfettamente liscia, circondata
da colline coloratissime. Dal nostro lato le colline sono verdi,
scavate dall'acqua che ha portato alla luce la sottostante roccia
rossissima. Sembra che un enorme drago abbia dato un'artigliata alla
collina che ha iniziato a sanguinare dalle ferite. Le colline
dall'altro lato sono invece totalmente rosse di ogni tonalita'
dall'ocra a rosso fuoco che viene evidenziato dallo spettacolare
tramonto. Ci fermiamo a dormire quando Lo, stremato, si
inchioda. Siamo in mezzo al deserto, ma troviamo per fortuna un posto
abbastanza riparato. Ci godiamo un meraviglioso riso condito con
sgombro direttamente dalla scatoletta e olio extravergine "di Peppino"
delle campagne di Lu. Con la nostra fame e davanti ad un tale
spettacolo ci sembra un piatto da ristorante a 4 stelle, o forse e'
veramente un piatto buonissimo? In ogni caso, e' un'ottima alternativa
alla solita polenta istantanea condita con il sugo di pomodoro delle
buste knorr che si trovano qui. Nella notte si alza un vento
fortissimo e ci svegliamo in mezzo ad una furiosa tempesta di
sabbia. Altissime colonne di polvere rosa si sollevano dal salar
all'orizzonte, illuminate di lato dalla luce radente della mattina:
uno spettacolo della natura di una potenza incredibile, talmente bello
da farci quasi dimenticare che la strada di oggi dovra' passare
proprio laddove quelle nuvole vengono spinte dal vento! Iniziamo a
pedalare e inizia l'incubo. La pedalata e' veramente faticosa
all'inizio, finche' il vento e' di traverso. Quando finalmente
prendiamo la strada principale (la stessa strada che avremmo dovuto
fare scendendo dal passo Sico) speriamo che la situazione migliori con
il vento da dietro. Purtroppo il fondo stradale e' patetico: ondine e
sabbia profonda. Quasi impossibile procedere. Siamo quasi grati di
essere nel pieno di una tempesta di sabbia: almeno ci spinge avanti,
perche' pedalare con le bici cariche in queste condizioni e' quasi
impossibile. Lu ha la bici ammortizzata, ma la schiena e i muscoli
dorsali di Lo risentono ampiamente del dover manovrare il pesante
manubrio della sua bici rigida e sovraccarica. La tempesta aumenta di
intensita' finche' siamo interamente avvolti da nuvole e nuvole di
polvere. La visibilita' e' quasi nulla: per fortuna non c'e' nessuno
per la strada tranne noi due che avremmo fatto bene a rimanere a
migliaia di km di distanza invece di venire qui a fare gli asini sulle
biciclette. Ci fermiamo a prendere un po' di provviste di emergenza ed
una bottiglia d'acqua ad un paesino allucinante (Olacapato) in mezzo
al nulla. Il vento tiene tutti tappati in casa e sembra uno scenario
apocalittico da "the day after". La signora del negozietto e'
completamente basita e sembra appena atterrata da un'astronave: non
capisce neanche che vogliamo comprare il pane e bisogna ripeterglielo
dieci alla ventiquattro volte, "pan" non e' una parola complicata,
suvvia! Vivere qui deve essere una sorta di confino volontario. Che
posto! Lu e' incrollabile e vuole procedere nonostante tutto. Lo
preferirebbe morire delicatamente sul lato delle strada, ma si lascia
convincere. Fermarsi a dormire nella tempesta non sarebbe molto
gradevole, inoltre, se cadesse il vento, procedere su questa orribile
strada il giorno dopo sarebbe una tortura giapponese! Arriviamo
finalmente al passo (Alto Chorrillo, 4560 m!) passando attraverso dei
panorami bellissimi di valli attraversate da ruscellanti torrenti
semigelati, ma non ci godiamo questa pedalata affatto: le condizioni
sono veramente estreme. Le bici sorprendentemente sopravvivono senza
alcun problema, nonostante l'attraversamento di dune di sabbia che
coprono i cerchioni, i colpi secchissimi ricevuti a causa della
pessima strada e la continua smerigliatura dalla sabbia che ha ormai
quasi cementato ogni parte in movimento. Decidiamo di superare il
passo nella speranza (purtroppo vana) che il passo fermi la tempesta
di sabbia. Ci fermiamo ad un "paesino" di tre case abbandonate poco
oltre il passo, dove dormiamo (si fa per dire) in un rudere senza
tetto che ci ripara (piu' o meno) dal vento, ma non dalla sabbia: ad
ogni folata di vento arriva una manciata di sabbia direttamente nel
naso o nella bocca, come indirizzata con un imbuto. Lu (forse stremata
dalla giornata?) dorme come un sasso nonostante il freddo, la sabbia e
la quota, ma stavolta Lo non chiude occhio! Il giorno dopo vediamo uno
stranissimo animale grigio dalla folta coda pelosa. L'esperta Lu
stavolta non si sbilancia e decide che e' genericamente un
"mustelide". Oggi (il vento e' calato, meno male) finalmente ci
godiamo anche questo tratto di pedalata, intuendo misteriose valli
nascoste sotto ad altissimi picchi rosso fuoco. Si arriva a San
Antonio de los Cobres e si decide di comune accordo di andare
all'albergo super per i turisti occidentali: chissenefrega della
scoperta dei costumi locali e del tenere un basso profilo, stavolta
vogliamo rilassarci. Un'altra spettacolare cazuela di llama ci cementa
lo stomaco e possiamo svenire felici nei comodi letti dopo una
fantastica doccia. Addirittura funziona il cesso! La mattina dopo ci
accade la colazione migliore del giro: pane caldo, mappazze, croissant
dolci e marmellata di pere artigianale in abbondanza. Si decide di
andare verso nord per vedere salina grande: dalla ormai
proverbialmente scadentissima cartina sembra che la strada costeggi o
addirittura attraversi la salina. In realta' passiamo quasi due giorni
ad attraversare un deserto stranamente quasi uniforme. La strada e' di
nuovo a tratti ondine e sabbia e Lu decide categoricamente che non
fara' mai piu' sterrati in vita sua. Dormiamo in mezzo al deserto
uniforme vicino al bordo strada. L'indomani finalmente arriviamo alla
salina che finora avevamo solo intuito in lontananza. Lu vede una
spettacolare laguna azzurra e decidiamo che sara' un ottimo posto per
il picnic, ma dopo 5 km durante cui non ci avviciniamo di un
picometro, ci rendiamo conto che si tratta di un miraggio! Ci fermiamo
quindi in mezzo alla salina a mangiare la nostra mappazza con le
alici. Pedalare sulla salina sembra di pedalare sulla neve
crostosa. La statale attraversa la salina in un lunghissimo rettilineo
e ci fermiamo a comperare l'acqua da un antipaticissimo barista
completamente imbacuccato contro il sale (sciarpa sulla bocca che lo
copre completamente fino agli occhialoni da sole) alla casa della sal:
una casa fatta interamente di mattoni di sale. Perfino le sedie e i
tavoli sono fatti di sale! Intorno il sale viene raccolto con enormi
ruspe e camion e accumulato in grossissime montagne. Ci fermiamo a
dormire nel deserto dopo la salina, ma la strada e' veramente pessima:
ci troviamo a spingere la bici sulle dune di sabbia che hanno invaso
la strada. Decidiamo quindi di seguire la strada asfaltata per
arrivare a Castro Tolay che Simo ci aveva consigliato di
visitare. Rimaniamo pero' a dormire su una duna di sabbia e ci
barrichiamo con i teli, temendo il vento che si sta alzando, invece
abbiamo la notte migliore di tutto il giro, niente vento e soprattutto
niente freddo: possiamo goderci lo stellato incredibile senza neanche
doverci rintanare nei sacchi a pelo. Decine di stelle cadenti, ma
anche dei misteriosissimi satelliti che lampeggiano ritmicamente. Non
sono aerei perche' si affievoliscono fino a tramontare andando verso
ovest, ma non sono neanche il classico puntino luminoso che si muove
nel cielo. Stranissimo. La mattina dopo, arrivati a Castro Tolay
vediamo che effettivamente il posto merita: il paesino e' molto
carino, anche se pure questo e' poverissimo. Qui pero' sembra molto
civilizzato: il parco cittadino con la statua al fondatore, la
chiesetta con il cancelletto attorno, la scuola vociante di bambini,
dei negozi dove i cani non possono entrare, e addirittura una piccola
bibliotechina (chiusa). Il paesino immerso nel deserto (15 km di
strada sterrata dalla piu' vicina asfaltata) e' bordato su un lato da
una falesia impressionante che si perde all'orizzonte e che lascia
cadere enormi blocchi sul deserto sottostante. Un incredibile
spettacolo alieno: il paese sembra una colonia perfettamente
autosufficiente su un pianeta di una galassia lontana lontana. Lu e
Lo, ormai in giro nel deserto da tre giorni pieni, fanno scorta di
provviste (comperando i famosissimi mandarini croccanti di Castro
Tolay che entreranno nel gergo familiare per il resto dei nostri
giorni) e tornano indietro: Lu ha la smania di muoversi e non ha
voglia di fermarsi in paese fino alla sera. Si attraversa nuovamente
la salina, ma stavolta non ci fermiamo. Ci si ferma poco piu' avanti
in mezzo al deserto, godendoci il sole che tramonta sulla salina. Il
giorno dopo entriamo nella cuesta del Lipan, senza aspettarci nulla se
non una noiosa tappa di trasferimento fino a Pumamarca. In realta'
iniziamo lentamente a rifarci gli occhi gia' salendo verso il passo,
visto che le montagne iniziano lentamente a colorarsi. Arrivati al
passo, ci facciamo una foto in mezzo a incuriositi turisti. Lo
clamorosamente vince una pizza quando la quota del passo rimane a
4198, mentre Lu aveva scommesso che sarebbe stata oltre i
4200. Scendendo, appare un enigmatico cartello che dice che la
quebrada di Humauaca e' un patrimonio dell'umanita' riconosciuto
dall'Unesco. Siamo incuriositi: per ora i panorami, per quanto
bellissimi, erano sicuramente paragonabili ad altri che avevamo gia'
visto altrove. Piano piano pero' ci ricrediamo, in un crescendo di
stupore. Prima qualche montagna leggermente colorata, poi dei solchi
coloratissimi, poi montagne sempre piu' colorate in mezzo ad altre
normali, poi montagne accesissime in mezzo ad altre colorate, ecc. Il
tutto costellato di puntuti cactus in un crescendo di effetti
geologici che si puo' solo paragonare ad un esplosione di fuochi
d'artificio. Ogni volta che si pensa che sia finito, si gira un
tornante e si rimane nuovamente a bocca aperta: magari spunta una
intera montagna giallo canarino, oppure una vena di rocce viola acceso
su un costone verde. Uno spettacolo incredibilmente bello, soprattutto
per noi che non ce lo aspettavamo minimamente. Un crescendo di effetti
cromatici e di strutture naturali (canyon profondissimi, guglie
aguzzissime, valli e montagne puntute) sempre piu' incredibile. Le
guglie sembrano un'altra struttura di Gaudi', prese in prestito dalla
Sagrada Familia. Arriviamo a Pumamarca in un'esplosione di colori
accesissimi veramente inaspettata e incredibile. Sopra al paese c'e'
una collinetta dove sembra che l'arcobaleno si sia cristallizato
pietrificandosi nella roccia. Senza volerlo, abbiamo percorso la valle
nella direzione corretta: e' praticamente impossibile percorrerla
nella direzione che abbiamo fatto noi a meno di non arrivare dal Cile
o di non attraversare il deserto con 100km di sterrato (noi abbiamo
fatto entrambe le cose), ma l'effetto crescendo si ha scendendo la
valle, non salendola da Pumamarca. Lu si mangia le mani fino ai
gomiti: la macchina foto ha smesso di funzionare ormai da settimane, e
anche il suo telefono cellulare (dopo 4 notti di fila in mezzo al
deserto) e' ormai scarico, anche se Lo si da' da fare a cercare di
tenerlo in vita con l'attrezzino comperato appositamente in Giappone
che usa le batterie caricate ad energia solare dal famoso pannellino
di Lo. Senza consultarci, decidiamo autonomamente entrambi che questo
e' senz'altro uno dei panorami naturali piu' belli che abbiamo mai
visto: l'Unesco aveva ragione. Ci fermiamo ad un'ottima Hosteria, ma
il giorno dopo Lu butta giu' il povero Lo a calci dal letto: bisogna
rifare (a piedi) tutta la valle, appositamente per rivedere con calma
le meraviglie che avevamo intuito dalla bici e fare le foto! Lo si
frigge i poveri piedi arrancando dietro alla risoluta Lu che parte
spedita e si spara una ventina di km a piedi per rivedere almeno la
parte bassa della valle con calma. Lu entra in modalita' naturalista e
si studia con gusto e con gridolini eccitati ogni singola pietrina e
coccetto. Lo si stende al sole in mezzo al deserto e si mette a
ronfare sonoramente. Per il picnic a base di mappazza, ci piazziamo
decisi in mezzo ad una distesa di cacti: ahia! Decidiamo di rimanere
ancora a Pumamarca un altro giorno: il posto merita sicuramente. La
sera siamo a cena all'osteria Entre Amigos, dove il cibo non arriva
alle prelibatezze della senora Carmen, ma c'e' l'empanada de llama e
soprattutto c'e' la musica dal vivo e la birra artigianale che fanno
salire Lu direttamente al Nirvana "senza passare dal via". Il mattino
dopo andiamo in bici a Tilcara. Siamo curiosi di vedere se anche la
parte principale della quebrada di Humauaca e' cosi' bella come la
cuesta del Lipan, ma rimaniamo molto delusi. Le montagne colorate ci
sono anche qui, ma sono delle pallide imitazioni dello spettacolo
incredibile di Pumamarca. Inoltre la strada del fondo valle e'
trafficatissima e le macchine, i tir e i bus ci superano ad altissima
velocita' in barba ai ridicoli limiti di velocita'. Arriviamo a
Tilcara che e' una citta' completamente caotica come un inferno
dantesco di minuscole stradine attraversate da enormi quanto
scassatissime macchine. Prendiamo i soldi all'unico bancomat del paese
dopo una lunga fila (il bancomat di Pumamarca e' ormai guasto da
giorni e non funzionera' per tutta la nostra permanenza, con grande
disappunto dei turisti che ormai sono tutti senza soldi!) e scappiamo
a gambe levate rientrando immediatamente alla molto piu' gradevole
Pumamarca. Lu si dirige verso il mercato del paesino e si studia i
maglioni di lana da acquistare. Dopo ci dirigiamo verso il Camino
Colorado, il sentiero che attraversa le coloratissime montagne e
colline appena sopra al paese. Lo spettacolo e' incredibile: sembra
che le montagne siano state pitturate con colori vivissimi e Lu e Lo
vagano nel deserto fino al tramonto e alla, ormai scontata, empanada
di Entre Amigos. Il giorno dopo Lu non resiste e si deve comperare due
maglioni, ma non abbiamo abbastanza soldi argentini: il bancomat e'
ancora guasto. Per fortuna trova una bancarella dove sono ben contenti
di accettare un pagamento in euro: scopriremo che l'inflazione e'
molto alta e quindi le monete straniere sono molto diffuse. Il viaggio
sembrerebbe concluso e pensiamo di avere solo due giorni di puro
trasferimento per rientrare a Salta. In realta' solo il primo giorno
si rivelera' effettivamente un giorno di tappa di trasferimento
abbastanza noioso (e anche bruttino quando si tratta di attraversare
San Salvador de Jujuy). Arriviamo stremati ad El Carmen dove troviamo
sorprendentemente un Hostal veramente carino di un ospitale e
sorridente argentino con nonno siciliano. Il giorno dopo abbiamo una
piacevolissima sorpresa. La strada piu' breve per Salta e' una
microscopica stradina di montagna dove due macchine fanno fatica a
passare affiancate. Quindi tutto il traffico passa per l'autostrada e
ci troviamo a fare una gradevolissima pedalata in una foresta
subtropicale dove non passa quasi nessuno (e i pochi veicoli che
passano devono andare piano) e la strada e bordeggiata da piante
stranissime. Addirittura c'e' un albero che vive in simbiosi con una
specie di palma che gli cresce sui rami! La pedalata nella foresta e'
veramente gradevole e costeggiamo anche dei bellissimi laghi: sembra
un panorama uscito da una cartolina dell'Africa. Effettivamente la
latitudine e l'altitudine a cui siamo sono quelle tipiche dell'Africa!
Simo ci dira' che qui vivono dei pitoni da 5 metri, ma non ne vediamo
neanche uno, peccato. Arrivando a Salta incontriamo una sagra di paese
dove buffi cowboys cercano di prendere al lazo dei vitelli. Lu si
ferma da un venditore ambulante a mangiare la sua prelibatezza
preferita sulla strada: una specie di piadina (farina e acqua) molto
spessa e farcita di prosciutto e formaggio, cucinata alla brace sulla
griglia. La signora che ce lo vende orgogliosa rimane a bocca aperta
per la risposta di Lu alla sua ingenua domanda "Da dove venite?" Un
cane randagio si materializza e immediatamente si siede educatamente
fissando la piadina di Lu con uno sguardo piu' intenso di quello della
Gioconda di Leonardo, cercando di impietosirla per farsene lanciare un
pezzo. Fa clamorosamente finta di non accorgersi che e' evidente che
Lu non ha la piu' pallida intenzione di condividere la sua amatissima
piadina: e' gia' tanto se getta qualche scarto di crosta (dove non
c'e' ne' prosciutto ne' formaggio) all'affamato consorte. L'episodio
del cane immediatamente entra di diritto nel lessico familiare! Ultima
pedalata nella periferia di Salta e finalmente siamo di nuovo al
Palacio Escondido dove la signora ciarliera puo' sfogarsi con Lu
mentre Lo stolidamente dimentica tutto il suo spagnolo in modo da
poter smontare le bici in tranquillita'. Fine del viaggio in
bici. L'odometer del gps si ferma a 1650km, anche se i km percorsi qui
hanno veramente poco significato, vista l'eterogeneita' delle
condizioni della strada e i dislivelli. Festeggiamo con un gelato
(stranamente ottimo) al centro di Salta, seguito dal museo di
archeologia d'alta quota, dove vediamo la mummia di una bambina inca,
sacrificio umano, trovata sulla cima di un vulcano a oltre 6000 m di
altitudine. Nel museo ci sono anche altre 2 mummie di bambini (ma se
ne puo' vedere solo una per volta) con tutti i loro elegantissimi
corredini. E' impressionante che la bimba aveva il cranio conico: ai
bambini nobili inca veniva messo un cappuccio stretto in modo da
fargli venire la testa a punta. Ora ci attende solo l'interminabile
viaggio intercontinentale fino alla nostra casetta di Pavia, ma tutto
scorre liscissimo stavolta: riusciamo pure a montare (5 minuti netti)
la bici di Lo alla stazione di Pavia, cosi' lui puo' pedalare fino a
casa e possiamo fare un solo viaggio in macchina con la sola bici di
Lu. Concludiamo finalmente il viaggio con un piattazzo di trofie al
pesto che Lu si sognava da settimane. Addio Ande!!